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«I suoi genitori sono stati semplicemente incapaci di accettare che la macchina della ventilazione venisse spenta... (il padre) si aggrappa a qualsiasi segno che possa minare queste conclusioni mediche catastrofiche, indicando il movimento e la ritrazione delle gambe, che sono reazioni spinali e non cerebrali». No, non sono le parole riferite al papà di Alfie Evans, Thomas, dal giudice dell'Alta Corte di Londra, Anthony Hayden. Ma quelle rivolte ad un'altra famiglia dallo stesso giudice che ha condannato Alfie. Il succo però è identico: i movimenti del bambino sono reazioni meccaniche, quindi non provano che il suo cervello sia ancora attivo. Peccato che Alfie abbia smentito il ritornello del giudice in mondovisione.
CLINICAMENTE MORTO?
Il pronunciamento del 2015 di Hayden riguarda appunto la famiglia di un bambino di 19 mesi ricoverato il 6 febbraio dello stesso anno dopo un principio di soffocamento causato dall'ingerimento di un gambo di mandarino che i medici avevano faticato a rimuovere dopo il ricovero. A seguito di numerosi tentativi di liberare le vie respiratorie presso il Royal Manchester Children's Hospital, al piccolo stava per essere applicata la tracheostomia. Ma in seguito ad un arresto cardiaco i medici lo avevano rianimato e ventilato per poi chiarire che però era rimasto troppo a lungo senza una dose di ossigeno sufficiente, per cui fu dichiarato "clinicamente morto". In ogni caso il bambino continuava a muoversi e a respirare con l'ausilio della ventilazione.
A quel punto suo padre aveva chiesto che il piccolo fosse trasferito per ulteriori trattamenti in un ospedale dell'Arabia Saudita, sicuro che lì non avrebbero rimosso i supporti vitali. L'amministrazione ospedaliera invece che permettere il trasferimento, lasciando alla famiglia la libertà di scegliere dove curare il figlio e di fare un ulteriore tentativo, l'ha trascinata in tribunale.
Hayden ha avuto il coraggio di dire che «devo fare una dichiarazione su quello che ora considero come un corpo». E poi ha aggiunto: «Parlare di best interest è quindi superfluo, ma rispettare la sua giovane e breve vita, la sua dignità ed autonomia, mi richiede di fare a breve la cosa giusta». Infine, come da copione già sentito, Hayden ha sentenziato: «Pur esprimendo rispetto profondo per le opinioni del padre ora è giunto il momento di spegnere la macchina della ventilazione». Le stesse parole furono rivolte al papà di Alfie. E non è una coincidenza.
MORTE PER SOFFOCAMENTO
Nel luglio del 2016 i genitori di un altro bambino di 3 mesi e mezzo si erano opposti alla volontà del Northampton General Hospital di rimuovere la ventilazione del loro bambino. L'ospedale era quindi ricorso contro i genitori chiedendo all'Alta Corte di Londra di giudicare del best interest del piccolo. Sempre Hayden aveva spiegato che, siccome il bambino soffriva fin dalla nascita di un tipo di atrofia muscolare spinale definita incurabile dai medici, doveva essere estubato. La famiglia aveva ribattuto che non era ancora giunto il momento per il figlio di morire, anzi sua madre aveva definito il piccolo "incredibile", un "combattente". Anche in questo caso il giudice aveva elogiato i genitori, ammettendo che il bambino «non avrebbe potuto avere difensori più forti dalla sua parte... i suoi genitori hanno portato raggi di sole nella sua vita».
Ma ovviamente ha chiarito che non bisognava solo tenere conto dell'importanza della vita, ma anche della sua qualità. L'autonomia e la dignità del bambino andavano rispettate. Come? Con la morte per soffocamento: il giudice Hayden autorizzava l'ospedale a rimuovere la ventilazione. Di fronte alla sentenza la madre di 22 anni del bambino era scoppiata a piangere.
RIAVVIARE UNA VITA CHE È GIÀ TERMINATA?
Era invece il 2013 quando una famiglia perdeva il ricorso in appello affinché un loro parente di 72 anni non fosse privato dei sostegni vitali. Secondo Hayden, lasciare che l'uomo fosse alimentato, idratato e ventilato significava «riavviare una vita che è già terminata». Ora, a parte il fatto che pensare che un macchinario possa resuscitare una persona è quanto meno delirante, il giudice riaffermava che la vita di quest'uomo, siccome malata, era già finita da un pezzo.
Non a caso il giudice aveva fatto notare che, oltre ad aver subito un ictus, l'uomo soffriva di diabete e di problemi renali. Per questo doveva camminare con l'aiuto di un ausilio e dipendeva in tutto dalla sua famiglia, ancor di più dopo l'attacco di polmonite che aveva peggiorato la situazione clinica dell'uomo.
Era bastato questo a spingere i medici a parlare alla famiglia della possibilità legale di non rianimare l'uomo in caso di una crisi (Do not resuscitate act). I familiari avevano risposto che non avrebbero accettato un'omissione di soccorso. [...] Ma dopo aver elogiato la famiglia per essersi presa cura «del padre affinché vivesse una vita ricca e felice nonostante le sue condizioni», Hayden aveva stabilito che l'ospedale poteva negare i trattamenti all'uomo in caso di una crisi. Perché, aveva ripetuto un'altra volta il giudice, «questo non servirebbe a prolungare la vita ma a farla ricominciare quando ormai si è fermata».
NON SOLO INTOLLERABILI
Ma non è che Hayden dia ragione solo e sempre alle istituzioni sanitarie. Perché nel caso di una donna di 74 anni, affetta da demenza senile e ricoverata in una clinica (Salford Royal NHS Foundation Trust), nel 2017 novembre 2017 il giudice ha dato ragione alla figlia di una donna che chiedeva la rimozione dell'alimentazione e dell'idratazione della madre. La figlia aveva cercato in tutti modi le prove per affermare che sua mamma preferiva la morte a quella condizione. Dopo diverse ricerche aveva trovato una email di quattro anni prima in cui, dopo aver visto un programma sulla demenza senile, la madre le scriveva così: «Se divento così... prepara un cuscino».
Ma l'infermiera e la clinica che avevano in cura la donna avevano sollevato dei sospetti sulla figlia e su altri familiari opponendosi alla richiesta di eutanasia. Respingendo l'invito della clinica a ricordare che era nell'interesse della donna essere nutrita ed idratata per vivere, Hayden è poi stato irremovibile. E alla fine dell'anno scorso, parlando come se la donna fosse già morta, ha sottolineato che lei «avrebbe giudicato le sue attuali condizioni non solo intollerabili ma umilianti».
Come però riportato dal Daily Mail questo è solo uno dei moltissimi casi, sebbene in maggioranza non siano pubblici, che finiscono con la morte per autorizzazione giudiziaria tramite un protoccolo processuale identico, ripetuto, quindi già stabilito. Il problema non è quindi appena di Alfie, il piccolo martire scelto dal Signore per scoperchiare il vaso di Pandora della cultura della morte, ma di tutte le vittime di un sistema giudiziario democraticamente eugenetico.
Nota di BastaBugie: Marco Respinti nell'articolo sottostante dal titolo "Alfie, ennesima vittima del socialismo sanitario" spiega perché Alfie è stato prigioniero di un Paese libero, occupato dal socialismo medico-giuridico. L'articolo è stato scritto prima della morte di Alfie e ipotizza che se per caso potesse lasciare Liverpool e poi trovasse un'assistenza medica migliore fuori dal Regno Unito, sarebbe un imbarazzo umiliante per lo Stato che porta in palmo di mano proprio il suo sistema sanitario nazionale.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 aprile 2018:
Alfie Evans è un'altra, nuova, ennesima vittima del socialismo. Lo spiega acutamente Kira Davis, giornalista di RedState, uno dei più seguiti portali conservatori statunitensi "di base", nell'articolo This Is the Real Reason Britain Won't Release Alfie Evans to Italy, cioè "Ecco il vero motivo per cui la Gran Bretagna non permette al piccolo di venire in Italia". Proviamo leggerlo assieme.
Come tutti sanno, il 19 dicembre l'Alder Hey Children's Hospital di Liverpool, il nosocomio dove Alfie è ricoverato e ben noto per precedenti a dir poco scandalosi, accampando una scusa farlocca di accanimento terapeutico sbugiardata da chi è del mestiere, ha presentato domanda all'Alta Corte di Giustizia d'Inghilterra e Galles al fine di sottrarre la genitorialità a Thomas Evans e a Kate James, chiedendo al contempo di sospendere la ventilazione del piccolo, e il 20 febbraio quell'aula ha accolto la richiesta. Da allora Alfie è nelle mani del servizio sanitario nazionale (NHS) e dei tribunali del Regno Unito che gli hanno negato il diritto di espatriare, per esempio in Italia, di cui è diventato cittadino, e che hanno in tutti i modi cercato di procurarne la morte in un Paese dove l'eutanasia è illegale. Alfie è insomma stato sequestrato e condannato a morte per non avere commesso alcun reato dall'istituzione che dovrebbe garantire l'assistenza medica e da quella che dovrebbe assicurare la giustizia. E questo nonostante il bambino sia stato capace di sopravvivere diverse ora a un primo distacco del sistema di aerazione.
«Perché?», si domanda la Davis. Anzitutto, perché, quando «[...] un Paese vota per un sistema sanitario socialistico, dà il consenso allo Stato affinché esso tratti le vite come degli algoritmi». Per la cronaca, l'istituzione dell'NHS, grande battaglia dei Laburisti, avvenne nel 1946, tra l'altro sulla scia delle idee di Benjamin Moore (1867-1922), un biochimico di Liverpool, che nel 1912 creò la State Medical Service Association, proseguita poi nella Socialist Medical Association a partire dal 1930. Cosa c'è di male in un sistema sanitario nazionale come quello britannico? Che costa, spreca e non garantisce assistenza medica, come rilevano gli esperti da tempo, addirittura posizionandosi ai livelli più bassi nella classifica del mondo industrializzato, e questo non per caso, bensì appunto perché è socialista. Il tutto è divenuto persino un caso di studio da parte di addetti ai lavori per i quali il sistema sarebbe in verità solo semi-socialista (lo è negli scopi, per esempio) mancando il Regno Unito delle strutture tipiche di un Paese del tutto socialista. Insomma, quello sanitario britannico è un socialismo che per di più non funziona...
Come ragiona ora l'NHS? Con la logica del letto di Procuste: mantenere in vita Alfie costa, i soldi sono pochi, quindi risparmiamoli per quelli che hanno più aspettativa di vita. Se infatti il metro di giudizio è «[...] il denaro anziché le vite, il rischio che la società si assume», dice la Davis, è quello esemplificato dal "caso Alfie". Infatti, «molto semplicemente, il sistema sanitario nazionale britannico non è in grado di reggere la prospettiva estremante dispendiosa del mantenimento in vita di un bimbo che, date le condizioni irreversibili di salute, probabilmente non vivrà comunque molto più a lungo». Quindi è ovvio che lo Stato non faccia ciò che non «[...] vale lo sforzo profuso». Di una logica agghiacciante.
Quello che invece «[...] non è logico ed è anzi sostanzialmente incomprensibile è la decisione del tribunale non solo di negare ad Alfie le cure, ma anche di negare a lui e ai suoi genitori il diritto di lasciare il Paese per cercare cure altrove». Avrebbe un senso minimo, per quanto cinico, se lo spostamento pesasse, anche solo di qualche ghinea, sul bilancio dell'NHS, cioè «sarebbe un problema di quel fastidioso algoritmo». Ma l'agognato viaggio in Italia lo sosterrebbero le donazioni raccolte e lo Stato italiano. Anzi, liberarsi di Alfie avrebbe sgravato l'NHS di costi e fatiche. Invece niente, porte chiuse violando il più basico principio di democrazia e libertà.
Alla Davis questo ricorda un vecchio documentario sul Muro della vergogna di Berlino, in particolare un'intervista a uno degl'ingegneri costruttori che, con grande sincerità, disse: «Il muro abbiano dovuto costruirlo. Troppe persone stavano andandosene in Occidente e per far funzionare il socialismo c'era bisogno di gente. Abbiamo dovuto costruire il muro per tenerli dentro di modo che vedessero quanto era grande il socialismo, vedessero che funziona». Eccolo il motivo dell'accanimento del sistema sanitario nazionale e dei tribunali britannici contro Alfie e contro i suoi genitori: «[...] impedire ai propri liberi cittadini di lasciare il Paese». Perché se fosse loro consentito di «[...] abbandonare le conseguenze strazianti del socialismo, allora anche altri vorrebbero fare lo stesso. Ma come può funzionare un sistema socialista senza la cooperazione di tutti? E come si fa a costringere la gente a cooperare a quel sistema socialista quando essa si accorge che tale sistema può anche uccidere loro o i loro cari?». Facile, «si costruisce un muro». In Gran Bretagna i tribunali hanno cominciato a erigerne uno, adulterando e strumentalizzando la legge. «Proprio come la Germania Est non poteva tollerare la massiccia fuoriuscita di chi se ne andava portandosi dietro la propria professionalità, il proprio intelletto e il denaro con cui avrebbe pagato le tasse, il sistema sanitario britannico non può tollerare la defezione di coloro che potrebbero trovarne uno migliore altrove». Magari quel posto non è esattamente l'Italia dell'eutanasia tra le righe, ma la Davis non lo sa.
Alfie è insomma prigioniero di un Paese libero, occupato dal socialismo medico-giuridico. Perché se per caso potesse lasciare Liverpool e poi trovasse un'assistenza medica migliore fuori dal Regno Unito, «sarebbe un imbarazzo umiliante per uno Stato che porta in palma di mano il proprio sistema sanitario socialistico come fosse una delle meraviglie del mondo occidentale. Non solo sarebbe costretto ad ammettere che i propri dottori e i propri burocrati hanno sbagliato nel negare cure salvavita al bambino, ma dovrebbe pure scendere a patti con le centinaia, forse migliaia di altri cittadini che vogliono lasciare le catene degli algoritmi dell'NHS in cerca di un'assistenza sanitaria più rapida e moderna».
La gente, spiega ancora la Davis, vive del falso mito secondo cui negli Stati Uniti, Paese che non ha un sistema sanitario nazionale di tipo socialistico come quello britannico, «[...] chi non ha un'assicurazione sulla salute non riceve per nulla cure o trattamenti costosi». Il "caso Alfie" mostra esattamente il contrario. «Domandate a chiunque qui [negli Stati Uniti] e nove volte su dieci vi risponderanno che darebbero fino all'ultimo dollaro, venderebbero qualsiasi bene, pagherebbero debiti per il resto dell'esistenza per salvare la vita di qualcuno che amano piuttosto che starsene seduti senza speranza mentre il loro Stato condanna quella persona alla morte solo perché "non è degna" della vita». Se lo Stato controlla l'assistenza medica, ragiona la Davis, finisce poi per controllare quanto vale la vita di ognuno di noi per le persone che amiamo. Prendiamo il Canada, dove la Davis è nata è dove vige un sistema sanitario nazionale socialistico tipo quello britannico: come mai ogni anno un numero enorme di canadesi si reca negli Stati Uniti per operazioni e cure nonostante paghi tasse nel proprio Paese per essere assistito?
Alfie Evans, e Charlie Gard prima di lui, sono diventati «[...] agnelli sacrificali sugli altari dell'orgoglio e del socialismo», e questo è «[...] nient'altro che vero, concreto, genuino male». Sì, questa economia uccide.
DOSSIER "L'EUTANASIA DI ALFIE EVANS"
Cultura della vita contro cultura della morte
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