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«La separazione tra Stato e Chiesa in Germania è un fatto, ma il crocifisso riguarda più la cultura che la religione». Il sindaco di Deggendorf non ha avuto problemi a mettersi in regola con il provvedimento approvato di recente dal presidente della Baviera, Markus Söder, che rende obbligatoria da giugno l'esposizione del crocifisso in tutti gli uffici pubblici del Land. E anche se la decisione è stata molto criticata dai giornali tedeschi e internazionali come un attacco alla laicità dello Stato, nessuno in Baviera sembra sentirsi sotto attacco.
Söder, protestante, è accusato di avere come obiettivo quello di rubare voti al partito di destra AfD, che minaccia la leadership dell'Unione sociale cristiana (Csu) alle elezioni di ottobre. La Baviera, che ha dato i natali al papa emerito Benedetto XVI, è da sempre una terra orgogliosamente cristiana e il presidente del Land ha giustificato il provvedimento con la volontà di rimarcare l'identità della sua regione: «La croce è parte fondamentale dello stile di vita bavarese».
Dal punto di vista strettamente legale il provvedimento è inoppugnabile, visto che nel 2011 anche la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che il crocifisso è «un simbolo passivo», non una «forma di indottrinamento», e che quindi i paesi europei, in accordo con la loro storia e tradizione, possono liberamente scegliere se esporlo o meno. E la Baviera ha deciso di esporlo.
Come dimostrato dai sondaggi, il 56% della popolazione regionale è favorevole all'iniziativa e secondo Hans Reichart, segretario di Stato bavarese, il motivo è semplice: «La croce ci dà forza e sicurezza. La gente è turbata dalla globalizzazione ed è alla ricerca di punti fermi: il crocifisso è uno di questi», dichiara al New York Times. Il quotidiano americano ricorda anche come perfino i nazisti, che cercarono nel 1941 di togliere i crocifissi dalle scuole bavaresi, dovettero rinunciare dopo l'insurrezione della popolazione locale.
Nota di BastaBugie: Rino Cammilleri nell'articolo sottostante dal titolo "Crocifisso in Baviera, se la Chiesa sceglie la non identità" spiega perché è sbagliato che oggi nella Chiesa vada di moda la «tolleranza» e non l'«identità». Infatti la «tolleranza» è un lusso dei tempi tranquilli, mentre l'«identità» fa comodo in tempi turbolenti.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 4 giugno 2018:
Dall'1 giugno in tutti gli uffici pubblici della Baviera è obbligatorio esporre il crocifisso: «Un chiaro impegno per la nostra identità bavarese e per i valori cristiani». Indovinate chi ha storto il naso. I soliti laicisti? Sbagliato. La Chiesa. L'arcivescovo di Monaco (di Baviera), cardinale Reinhard Marx, che è pure capo della conferenza episcopale tedesca, «ha detto no all'uso politico del crocifisso». Con lui si sono schierate le associazioni dei giovani cattolici (Bdjk) e dei giovani protestanti (Ebj) bavaresi, «che al governatore hanno ricordato che per loro la croce è simbolo di tolleranza e non di identità».
La Germania è pur sempre uno stato federale e ogni Land in certe materie fa quel che vuole. Così, può accadere che nelle scuole sia vietato portare la croce al collo in omaggio alla neutralità religiosa, ma sui muri degli uffici pubblici no, se un decreto apposito, nel Land, lo prevede. In Baviera comanda il Csu, il partito cristiano-sociale, e il Cdu, il cristiano-democratico di Angela Merkel, è praticamente assente tanto è forte l'identificazione dei bavaresi col loro partito. Quest'ultimo è praticamente presente solo in Baviera, solo che questa è la regione più popolosa e più ricca dell'intera Germania, quantunque ne costituisca, geograficamente, il meridione. A fine aprile il governatore Markus Söder si era fatto ritrarre mentre appendeva un'antica e artistica croce di legno alla parete del suo ufficio alla cancelleria, poi l'annuncio su Twitter e infine il decreto.
Ora, la presa di posizione, critica e tutto sommato negativa, del cardinale Marx ricorda quella che prese il suo collega Mario Delpini quando il leader della Lega, Salvini, si presentò a un comizio elettorale con in mano un rosario e un Vangelo. Anche allora il no episcopale fu all'«uso politico» della religione. C'è, comunque, qualche differenza: Delpini non è cardinale, anche se la sua sede, Milano, è cardinalizia per antica tradizione; Salvini brandì i simboli religiosi in un comizio, che non è una sede istituzionale. La similitudine è nella motivazione, sia di Salvini che di Söder: il richiamo all'identità nazionale.
I giovani bavaresi, cattolici e luterani, non ci stanno, come si è visto: oggi va di moda la «tolleranza», mica l'«identità». Si potrebbe osservare che la «tolleranza» è un lusso dei tempi tranquilli, mentre l'«identità» fa comodo in tempi turbolenti. Ne sa qualcosa la Polonia, che, nella sua lunga storia di vaso di coccio tra vasi di ferro, per non farsi stritolare da Prussia protestante e Russia ortodossa si è sempre aggrappata al suo cattolicesimo, appunto per non perdere la sua identità.
Che non è solo simbolica o ideologica, ma implica tutto un modo di vita e di pensare, fin nei minimi dettagli: il sociologo delle religioni Léo Moulin constatava che pure la cucina polacca era diversa, più buona, di quelle dei vicini, pur alle stesse latitudini e con gli stessi prodotti; e connetteva ciò alla ostinata cattolicità polacca. I popoli cattolici hanno, a parità di condizioni, un'arte culinaria superiore, sosteneva Moulin, perché portatori di una diversa concezione della famiglia. E famiglia vuol dire desco comune. Il cattolico, poi, grazie al periodico «scarico» nel confessionale, è meno cupo, ha maggior joie de vivre rispetto al protestante, il quale è più individualista e porta intero il carico delle sue colpe verso Dio.
Certo, oggi lo scenario è cambiato e, per esempio, i popoli cattolici non hanno più il primato del numero dei figli. Ma proprio per questo è da incoraggiare almeno un ritorno al simbolo identitario, laddove le altre etnie alla loro identità ci tengono eccome. Mussolini cominciò la sua carriera come anticlericale e mangiapreti, ma in politica era scaltro (entrata in guerra a parte) e non esitò a rimangiarsi il suo ateismo socialista per firmare il Concordato con la Santa Sede. Una clausola del quale prevedeva il ripristino dei crocifissi in tutte le scuole, l'ora di religione (cattolica, ça va sans dire) obbligatoria nelle stesse, il cattolicesimo quale religione ufficiale dello Stato, eccetera. Insomma, la Chiesa un tempo all'«identità» ci teneva. Sono cambiati i «segni dei tempi»?
VIDEO: CROCIFISSO IN CLASSE e INFERNO VUOTO
https://www.youtube.com/watch?v=mfKfqAshZaU
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