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L'antirazzismo è ormai una ideologia, tutta di sinistra e onnicomprensiva, le cui maglie si sono allargate talmente da quasi prescindere dal vecchio problema del colore della pelle. O di quello, nazista, degli ebrei. Infatti adesso iper-protegge tutte quelle minoranze che sono state dichiarate politicamente corrette e sorvola sul problema antiebraico che pur si sta facendo serio in luoghi, come, per esempio, la Francia.
Di già, come ha riferito su queste pagine Lorenza Formicola, in Germania è entrata in vigore una legge che sanziona pesantemente i social neetwork qualora dovessero incorrere nel reato (sic) di «incitamento all'odio». Tanto per dirne una, un giornalista è stato multato per avere postato su Facebook una foto storica in cui si vede Hitler che stringe la mano al Gran Muftì di Gerusalemme. E' islamofobia, e non si fa. Facebook ha dovuto immediatamente rimuovere la foto incriminata. Qualcuno comincia a preoccuparsi. Sì, perché questa pare proprio censura. Per giunta a senso unico.
Nel piccolo di chi qui scrive, si permetta un aneddoto personale. Diversi anni fa, avevo un blog nel quale i lettori potevano scrivere e commentare i miei post. Uno di questi riportava non ricordo più quale episodio, penalmente rilevante, avvenuto in Italia e che concerneva un gruppo di nomadi. Nessun commento da parte mia, solo il fatto. Un lettore scrisse che (riassumo a memoria) certa gente andrebbe rinchiusa in spazi appositi. Non l'avesse mai fatto. Non molto tempo dopo venni convocato dalla polizia postale, la quale voleva sapere chi fosse quell'incauto. Già: quello lì rischiava di incorrere nella Legge Mancino («incitamento all'odio razziale»), e forse anch'io in qualità di responsabile del mio blog. Non so come sia finita, ma io per precauzione tolsi ai lettori la facoltà di commentare. Blog senza commenti. Infatti, quella per me era solo una battuta da osteria, mica un reato. Per me. Così, non potendo essere nella mente della polizia o di qualche occhiuto magistrato, basta, chiusi i commenti e tanti saluti.
Certo, a farsi un giro per l'Europa si rischia il mal di testa, visto che la severità è tutta e solo politicamente corretta. E il politicamente corretto è ideologia fluida e magmatica, anche ansiogena perché non sai mai come devi comportarti. Per esempio, leggo su Euronews.com del 13 marzo 2018 che la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha condannato la Spagna per aver violato il diritto alla libertà di espressione avendo inflitto una condanna a due manifestanti catalani che nel 2007 bruciarono una fotografia dei reali di Spagna Juan Carlos I e Sofia. Questi due catalani manifestavano in piazza a Girona contro la visita della coppia reale borbonica. Presero una gran foto commemorativa del re e della regina, la misero a testa in giù e diedero fuoco. Carcere o multa, sentenza confermata in appello (multa pagata).
La Corte di Strasburgo, adita, ha deciso che si trattava di libertà di espressione, in quanto i due non ce l'avevano con le persone dei reali bensì con l'istituzione della monarchia. Ma sì, era «una di quelle scene provocatorie che vengono sempre più utilizzate per attirare l'attenzione dei media», insomma «un messaggio critico in termini di libertà di espressione». Il governo spagnolo, dunque, deve risarcire i due piromani e pagare le spese del processo. Bruciare la foto del re non è «incitamento all'odio».
Domanda maliziosa: e se avessero bruciato la foto di qualche imam?
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