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Nell'esortazione apostolica Gaudete et exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo (19 marzo 2018) a un certo punto, nella sezione dedicata a L'attività che santifica, si legge: "Non è sano amare il silenzio ed evitare l'incontro con l'altro, desiderare il riposo e respingere l'attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all'azione, e ci santifichiamo nell'esercizio responsabile e generoso della nostra missione" (n. 26). [...]
Ciò che colpisce è la confusione unita alla superficialità, il tutto condito con il livore. Come sarebbe a dire che "non è sano amare il silenzio"? E come si può pensare che amare il silenzio voglia dire "desiderare il riposo"? E come si può pensare che "ricercare la preghiera" sia qualcosa da contrapporre al servizio? E perché mettere "l'incontro con l'altro" in cima a tutto quando, semmai, ciò che conta è l'incontro con Dio?
Tutto in quelle parole mi sembra sbagliato, frutto di una visione difficilmente comprensibile. In ogni caso non ci ho più pensato.
Poi, pochi giorni dopo l'uscita di Gaudete et exsultate (documento che non mi convince sotto molti altri aspetti), il Vaticano rende nota Cor orans, istruzione applicativa sulla vita contemplativa femminile, che porta la data del 1° aprile 2018 e le firme del cardinale João Braz de Aviz e di monsignor José Rodríguez Carballo, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Testo prolisso (108 pagine nell'edizione della Libreria Editrice Vaticana), Cor orans è una sorta di manuale di applicazione di Vultum Dei quaerere. [...]
UNA RIVOLUZIONE PER CANCELLARE IL PASSATO
Con Vultum Dei quaerere si fa piazza pulita di ciò che la Chiesa ha prodotto in precedenza in materia: articoli del Codice di diritto canonico, costituzione apostolica Sponsa Christi di Pio XII (1950), istruzione Inter praeclara della Sacra congregazione per i religiosi (1950), istruzione Verbi sponsa sulla vita contemplativa e la vita delle monache (1999). Nelle disposizioni finali il tono è perentorio: superare tutto. Ma perché? Con quale scopo?
Leggendo con attenzione si scopre che la questione è l'autonomia (a tutti i livelli) dei monasteri. È questa autonomia che si vuole colpire. È questa autonomia, antica e radicata, che si vuole superare. E di nuovo torna la domanda: perché?
Prima di rispondere occorre ricordare che cos'è un monastero e quale valore ha la sua autonomia.
All'interno di un ordine religioso (San Benedetto, San Domenico, Santa Chiara eccetera), ogni monastero nasce come piccola isola di un arcipelago, nel quale i collegamenti con gli altri monasteri sono spontanei e comunque blandi. Contrariamente alle case delle congregazioni religiose femminili, i monasteri di monache sono sui iuris: significa che, in relazione al regime interno, sono autonomi e indipendenti. Hanno quindi il diritto di governarsi da soli senza essere soggetti ad altri superiori oltre a quello interno, eletto dal capitolo. L'abbadessa, o priora, governa la comunità senza che i suoi atti siano verificati, moderati o confermati da un altro superiore maggiore. I monasteri non hanno tra loro relazione o subordinazione alcuna in quanto al regime, ma sono assolutamente e perfettamente indipendenti. Tra loro e con l'ordine religioso sono uniti da vincoli morali e spirituali, in quanto riconoscono tutti il medesimo fondatore o la medesima fondatrice, professano la stessa regola, godono degli stessi privilegi, si aiutano con suffragi e con la fratellanza di orazioni e comunicazioni spirituali. In base all'autonomia, i sudditi si aggregano per tutta la vita alla comunità e con la professione s'incorporano direttamente ad essa, prima ancora che all'ordine. Ecco perché ogni monastero ha il suo noviziato e lo spirito comune dell'ordine offre in ciascuno di essi modalità particolari, con uno spiccato carattere familiare, così che i membri formino una famiglia permanente sotto il governo dell'abbadessa o priora.
Per ciò che riguarda l'esterno, i monasteri dipendono dal papa come loro superiore supremo, ma sono anche sottoposti alla vigilanza (non all'autorità) dell'ordinario del luogo o dei superiori dell'ordine maschile corrispondente, se sono ad esso collegati. L'autonomia e la mutua indipendenza dei monasteri, "ottenuta piuttosto di fatto che di diritto" (art. VII, par.2 degli Statuti generali delle monache di Pio XII, 1950), derivano dall'organizzazione e dal carattere particolare che la regola di San Benedetto diede all'istituzione monastica e in particolare, per i monasteri femminili, è la diretta conseguenza della stretta clausura e della vita contemplativa, alla quale le monache si dedicavano totalmente ed esclusivamente.
IL FALLIMENTO DELLE FEDERAZIONI
Le norme applicative della regola, ossia le costituzioni e gli eventuali altri codici, dopo aver ricevuto l'approvazione della Santa Sede, possono variare da un singolo monastero a un altro. Le differenze tra monasteri dello stesso ordine, pur poggiati sulla stessa regola, possono quindi essere notevoli. Ogni monastero, di solito radicato nella realtà locale, declina la propria spiritualità in modo originale, dando vita a tradizioni che attraverso i secoli rendono i monasteri stessi altrettanti universi completamente unici e diversi tra loro.
Ma ecco che a un certo punto entra in campo un nuovo soggetto: si tratta delle federazioni. Previste dalla costituzione apostolica di Pio XII Sponsa Christi (21 novembre 1950), che le incoraggia e raccomanda, ma non le impone, le federazioni vogliono essere uno strumento per l'aiuto reciproco. Siamo nel dopoguerra e moltissimi monasteri versano in condizioni critiche, anche per quanto riguarda i beni materiali. Le federazioni di monasteri nascono quindi come organizzazioni di supporto. Di fatto però, nel corso degli anni, finiscono col mettere a repentaglio l'autonomia attraverso continue intrusioni nella vita comunitaria e pressioni psicologiche perché tutte le comunità si uniformino alla linea dettata dalla maggioranza. Spesso ci sono conseguenze negative sulla vita spirituale delle singole monache. Inoltre l'alternanza tra due autorità (da una parte l'abbadessa, dall'altra la presidente della federazione) crea conflitti e confusione, esponendo le monache, almeno quelle più fragili e meno preparate a fronteggiare i drammi di coscienza, alla paura di mancare all'obbedienza e ai voti, senza contare le spaccature all'interno delle comunità e i continui disturbi alla vita di contemplazione.
Insomma, in base a questa esperienza devastante, un provvedimento sensato sarebbe stata l'abolizione delle federazioni, o per lo meno un loro deciso ridimensionamento, così da consentire il rispetto delle tradizioni religiose sotto ogni profilo (spirituale, liturgico) e il ritorno alla piena autonomia. Invece avviene esattamente il contrario. Con Vultum Dei quaerere, infatti, le federazioni sono rese obbligatorie e Cor orans, attraverso i suoi 289 punti, lo ribadisce nel dettaglio, inserendo i monasteri all'interno di una struttura burocratica che non ha nulla a che fare con la loro indipendenza ma, anzi, sembra fatta apposta per svilirla. Infatti oltre alle federazioni abbiamo le associazioni dei monasteri, le conferenze dei monasteri, le confederazioni, le commissioni internazionali e le congregazioni monastiche. Tutti organismi dotati di loro organi di governo, secondo una logica che sembra mutuata da quella dei partiti politici e dei sindacati.
STRAVOLTA LA VITA DI PREGHIERA
Questa ossessione per l'organizzazione piramidale e il controllo oscura completamente il senso più profondo della vita monastica. Orazione e adorazione diventano quasi un dettaglio. In primo piano c'è invece la struttura, pensata per mortificare l'autonomia e "normalizzare" le comunità.
Ma è tutta l'impostazione ad apparire distorta. In Cor orans un campanello d'allarme suona subito, al punto 19, dove leggiamo: "Un monastero di monache, come ogni casa religiosa, viene eretto tenuta presente l'utilità della Chiesa e dell'Istituto". Come sarebbe a dire "tenuta presente l'utilità"? Da quando in qua per una comunità di contemplative si pone come fondamentale il criterio dell'utilità? E in che modo, poi, si può determinare l'utilità di un monastero nel quale le suore, magari di stretta clausura, trascorrono la vita in preghiera? In che modo un monastero, per giustificare la propria esistenza, può dimostrare di essere "utile"?
Il criterio dell'utilità si collega a quello dell'azione. Sei utile se accogli il migrante, se curi il malato, se educhi il bambino, se aiuti il povero. Ma se sei un monastero di vita contemplativa, la tua "utilità" è di altro tipo.
Al documento però non sembra interessare più di tanto la qualità della vita di preghiera, che in fin dei conti corrisponde all'identità stessa di un monastero. Ciò che Cor orans fa con grande impegno è invece sottolineare la necessità della "continuità" con il Concilio Vaticano II e la sua teologia, alla luce delle mutate condizioni sociali. Dunque, se una comunità monastica, in virtù della sua spiritualità e di una tradizione secolare, volesse per esempio pregare e rendere gloria a Dio mediante il rito antico, sarebbe fuori legge?
Continueremo in un prossimo articolo l'esame dei nodi critici dell'istruzione applicativa Cor orans, che mettendo a rischio autonomia e indipendenza dei monasteri costituisce un attacco a un secolare e prezioso patrimonio di fede.
Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "La vita contemplativa è necessaria per la Dottrina sociale" spiega come le indicazioni della "Gaudete et exsultate" e delle istruzioni sulla vita contemplativa spingano monaci e monache ad abbandonare la vita contemplativa per dedicarsi all'azione sociale.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 settembre 2018:
Nella Esortazione apostolica "Gaudete et exsultate" del 19 marzo 2018 stupisce la seguente frase: «Non è sano amare il silenzio ed evitare l'incontro con l'altro, desiderare il riposo e respingere l'attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all'azione, e ci santifichiamo nell'esercizio responsabile e generoso della nostra missione» (n. 26). A qualcuno è sembrata una negazione del valore della vita religiosa contemplativa.
Analoghe perplessità e preoccupazione hanno destato la Costituzione apostolica di papa Francesco Vultum Dei quaerere sulla vita contemplativa femminile del 29 giugno 2016 e l'Istruzione Cor Orans della Congregazione per la vita consacrate e gli istituti di vita apostolica applicativa della Vultum Dei quaerere e che porta la data del 1° aprile 2018.
Il discorso della vita contemplativa interessa da vicino la Dottrina sociale della Chiesa, contrariamente a quanto viene da pensare. Si pensa infatti che la Dottrina sociale sia "per l'azione", e questo è vero, però il Magistero dice anche che tutti i soggetti della Chiesa ne sono partecipi e, quindi, anche le vocazioni alla vita contemplativa, secondo una loro specifica modalità.
Il soggetto della Dottrina sociale della Chiesa, come ripetutamente afferma il magistero e come ricorda con chiarezza il Compendio del 2004 al n. 538, è la Chiesa intera, come soggetto transpersonale: questo è il significato dell'espressione "della Chiesa". Naturalmente, la Chiesa ne è il soggetto unitario nella diversità dei carismi. Un posto particolare spetta anche alle religiose e ai religiosi che hanno seguito la chiamata di Cristo nella vita contemplativa. Essi non sono estranei alla Dottrina sociale della Chiesa e si mettono al suo servizio non rinunciando alla vita contemplativa ed aprendosi all'azione diretta nel mondo, ma proprio rimanendo fedeli alla loro vocazione religiosa ed ecclesiale. Per questo l'indicazione della "Gaudete ed exsultate" che vorrebbe indirizzare la vita contemplativa all'azione, privandola della sua specificità, sembra apparentemente corrispondere alle esigenze della Dottrina sociale della Chiesa ma in realtà le disattende.
La vita contemplativa nei monasteri da un lato anticipa in qualche modo la vita beata, che rimane il vero ed ultimo obiettivo anche dell'azione sociale, prefigurando già fin d'ora l'autentica comunità delle persone animate dalla grazia che diventerà realtà piena alla fine dei tempi, e dall'altro prega per il mondo, affinché esso accolga la salvezza cristiana e si lasci purificare dalla croce e dalla resurrezione di Cristo. Le persone dedite alla vita contemplativa non sono isolate dal mondo, anzi, esse lo assumono al massimo grado, prefigurandone il fine escatologico e pregando per la sua salvezza.
Risulta quindi strano chiedere alla vita contemplativa di trasformarsi in vita attiva, dato che proprio la vita contemplativa è il modo per "dedicarsi" in profondità al mondo. Le donne e gli uomini dei monasteri non evadono dal mondo, ma lo assumono in profondità maggiore anche rispetto a chi opera direttamente nel mondo. A loro volta, i cristiani che sono impegnati nel mondo attivamente sanno che non sono soli, perché i monaci e le monache pregano Dio per il mondo e per loro. Questa unione tra chi agisce e chi prega è molto intima e profonda e non c'è bisogno che gli uni o gli altri cambino il loro modo di essere per rafforzarla, anzi sarebbe un modo per indebolirla. La Dottrina sociale della Chiesa ha bisogno dei monaci e delle monache che si dedicano alla vita contemplativa e non chiede loro di rinunciarvi per dedicarsi alla vita attiva.
I monasteri devono rimanere monasteri e non è certo la Dottrina sociale della Chiesa a chiedere alle monache di un ordine contemplativo di aprire un ospizio per i poveri o una casa di accoglienza per le prostitute. La prima a non averne bisogno è la Dottrina sociale della Chiesa che sa bene che c'è quello che spetta a Marta e quello che spetta a Maria.
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