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L'avesse fatto oggi, Celentano, il film Yuppi Du, non l'avrebbe passata liscia. C'è, infatti, una scena in cui lui, al bancone del bar, è affiancato da un coloured di stazza imponente. Lui ordina al cameriere un Negroni e quello un bianchetto. Risate. Ma il film è del 1975 e tanta acqua è passata sotto i ponti. L'impero sovietico non era ancora crollato e il Pci era ancora di obbedienza moscovita. Oggi si è riciclato in partito radicale di massa e riceve gli input dalla sinistra liberal americana.
Da questa ha importato tutto, perfino la ridicolaggine tutta yankee di chiamare i negri «neri». Negli Usa prima della Guerra di Secessione i negroes erano gli schiavi, e ancora ai tempi di Kennedy negli elenchi telefonici gli afroamericani avevano un asterisco accanto al nome.
GLI ALTISSIMI NEGRI
Noi italiani non abbiamo mai avuto né schiavismo né razzismo, potevamo perciò permetterci canzoni popolarissime come Faccetta nera e I watussi, «gli altissimi negri» di Edoardo Vianello. Il quale ha ottant'anni e ancora la canta, facendo ballare interi villaggi turistici. Il termine «negro» è spagnolo e deriva dal latino «nigrum», che vuol dire «nero». In Italia si usa(va) la parola «negro» per indicare una persona di origini africane, anche lontane; «nero» era solo il colore.
Quando i Marcellos Ferial cantavano Sei diventata nera tutti capivano che parlavano di una donna abbronzata; avessero cantato Sei diventata negra tutti avrebbero capito ben altro. Poi, con la rivoluzione sessantottarda, che da noi assunse spiccati connotati marxisti, i «neri» divennero gli estremisti di destra, a ricordo della camicie nere d'epoca fascista. Perciò chiamare «neri» i negri genera solo confusione, quantunque politicamente corretta. Ora, è tipico del politicamente corretto pensare per astrazioni.
I politicamente corretti amano l'Umanità ma non il vicino di casa, sono buonisti ma non buoni, sono per le frontiere aperte tranne la porta di casa propria.
IL DENTISTA DI MESTRE
Così è successo che un dentista di Mestre si è ritrovato pieno di buone intenzioni fino a quando il problema non l'ha toccato personalmente: la moglie era stata aggredita da un immigrato che di colpo è diventato «negro», e il dentista è diventato leghista. Ha appeso nel suo studio un cartello in cui si racconta ai pazienti uno dei tanti episodi di cui è costellata ormai la nostra quotidianità. Gli hanno fatto presente che il colore della pelle dell'aggressore è solo un caso, perché anche altre etnie, tra cui l'italica, delinquono. Lui ha così risposto ai critici: «Non mi do ragione di questa gioiosa sottomissione a un'immigrazione senza filtro, un'illegalità diffusa, una microcriminalità dilagante, non la accetto. Le leggi sono permissive, la magistratura buonista, gli avvocati ci marciano. A me bastano i miei criminali, la mafia, la Mala del Brenta, dobbiamo importarne altri?».
Il presidente dell'ordine dei medici ha però replicato: «Esprimo solidarietà al collega per quanto accaduto alla moglie, turbata e ferita, ma come medici per giuramento accogliamo le persone indipendentemente dal colore, dalla razza e dalla professione. L'attività delinquenziale è da condannare in senso lato, a prescindere dalla pelle. Il termine 'negro' può essere inteso come dispregiativo».
Politicamente corretto allo stato puro. Insomma, un negro ti sbatte in terra, ti ruba il telefono e la bicicletta (come è accaduto alla signora di cui sopra), ma se gli dai del «negro» passi i guai, mentre lui, dato il reato di lieve entità (v. decreto svuotacarceri) se ne va a piede libero a ri-delinquere nella strada accanto. E poi si meravigliano della valanga di voti leghisti. E poi chi l'ha stabilito che l'uso della parola «negro» è «dispregiativo»? Perché devono essere sempre i radical-chic a comandare sul linguaggio? Chi comanda sulle parole comanda sul pensiero e chi comanda sul pensiero comanda su tutto. Ma i cosiddetti moderati, ahimè, non l'hanno mai capito.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Rino Cammilleri, nell'articolo seguente dal titolo "Gli immigrati stupratori protetti dal silenzio giacobino" si chiede perché le notizie di stupro commesse da immigrati passino praticamente sotto silenzio, in fondo alle notizie di cronaca. La risposta è semplice: per lo stesso motivo per cui gli immigrati stupratori non vengono né incarcerati né espulsi dal paese. Perché così vuole l'utopia giacobina che ancora annebbia le menti della classe dirigente.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24 agosto 2018:
A Moncalieri, nel parco delle Vallere, una donna non giovanissima (44 anni) e madre di famiglia il 22 agosto faceva jogging quando è stata aggredita da Abdul F., 28 anni, ghanese, irregolare e pregiudicato. L'uomo l'aveva sbattuta per terra e mezzo spogliata quando aveva dovuto desistere per via dell'intervento di un cittadino allertato dalle urla disperate della vittima. Il cittadino, un anziano, aveva spinto via l'aggressore, il quale si era allontanato in tutta tranquillità e poi, bontà sua, non aveva opposto resistenza all'arresto.
Questa vicenda merita una riflessione. Innanzitutto la notizia è stata riportata, senza firma, sulle pagine locali (io l'ho letta sull'inserto ligure-piemontese del Giornale), segno che non fa più «notizia», sennò sarebbe stata messa tra le pagine nazionali e firmata. Il tentato stupro a opera di africani, insomma, ormai fa parte del panorama, ci siamo già abituati, non è cosa di gran momento. Il ghanese in questione si chiama Abdul, perciò è musulmano o di cultura islamica. Ebbene, i sostenitori dei ponti-ma-non-muri lo sanno che immettere di colpo centomila giovani maschi terzomondiali in una società in cui le donne godono di libertà sessuale è a dir poco folle? Altra cosa: l'aggressore è indicato solo con l'iniziale, il che vuol dire che la sua privacy prevale. Bel colpo. Per giunta, non solo è irregolare ma anche pregiudicato. Che ci faceva a piede libero? E' lo svuota-carceri, bellezza. E lo sa bene anche lui (ghanese sì, fesso no), tant'è che si è fatto arrestare senza storie (si allontanava tranquillamente...): sa che lo rilasceranno ancora una volta. Rimpatriarlo? Si opporrebbero i preti. Condannarlo al risarcimento? Non ha soldi. Costringerlo ai lavori socialmente utili? No, sarebbe lavoro forzato e il buonismo catto-giacobino non consente. D'altra parte il si-guarda-ma-non-si-tocca vigente da noi per uno così è poco comprensibile, è come immettere un bambino in un negozio di giocattoli, è come far annusare una bistecca appena cotta a un affamato.
Una soluzione alternativa l'ha proposta la presidente della commissione pari opportunità del comune di Genova: dotare le donne di spray anti-aggressione. L'opposizione di sinistra ha subito bollato: «Il peperoncino solo sulla pasta all'arrabbiata». Bisogna piuttosto «educare gli uomini», perché «difendersi è arrendersi all'ineluttabilità della violenza». Insomma, il solito armamentario di cortei, scarpe e magliette rosse, manifestazioni e slogan. Contro lo stupro etnico, l'educazione sentimentale. Già fallita in Germania, Svezia, Danimarca, Olanda. Ma i giacobini non sentono ragioni. Abituati, fin dai tempi di Robespierre, ad avvolgersi in nuvole di parole, a pensare per astrattezze filosofiche, a rinchiudersi in gabbie di concetti prefabbricati, non si arrendono neanche all'evidenza e mettono la realtà sul Letto di Procuste (per chi non conosce la mitologia greca, Procuste era un gigante che stendeva i viandanti in un letto: se erano troppo corti li stirava, se troppo lunghi li accorciava; finché non fu sconfitto da Ercole). «Se i fatti non ci danno ragione, peggio per i fatti», così diceva il filosofo marxista Anatolij V. Lunačarskij (1875-1933), massima fatta propria e ribadita dall'altrettanto filosofo e marxista Ernst Bloch. Se ne era accorto anche il capo vandeano Charette, che combatteva i bleus giacobini. Sia i vandeani che i giacobini lottavano per la patria. Ma i primi la patria l'avevano sotto ai piedi, era la terra dei padri, con le sue usanze e tradizioni e religione. I secondi l'avevano «nella testa», cioè era un concetto artificiale e del tutto astratto, creato dai philosophes nelle «società di pensiero», infatti ne scrivevano la parola in maiuscolo, Patria. E ghigliottinavano chi non era d'accordo.
In un Paese catto-comunista come l'Italia il risultato è il voto plebiscitario alla Lega. Cui il catto-comunista risponde, ottusamente, con insulti ideologici: populismo, fascismo, razzismo. Mandando in prima fila il solito clero. Il popolo non è d'accordo con noi? Tanto peggio per il popolo, il Popolo siamo noi, gli altri sono «massa fanatizzata».
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