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Nel Rapporto sull'Islam politico dell'Osservatorio cardinale Van Thuân di cui si occupa la Nuova Bussola Quotidiana c'è un punto molto importante che rischia di passare inosservato nel gran numero di argomenti che il Rapporto tratta. Esso è strettamente connesso con la Dottrina sociale della Chiesa, punto di vista da cui il Rapporto considera e valuta gli aspetti politici dell'Islam. Il punto è il seguente: segnalando le difficoltà presenti in alcuni aspetti dell'Islam politico, la Dottrina sociale della Chiesa non vuole difendere l'Occidente così come esso è, né intende proteggere la versione occidentale di quelle stesse questioni.
LA DEMOCRAZIA NELL'ISLAM
Facciamo il caso della democrazia. Nell'Islam politico il concetto di democrazia non esiste o, se esiste in qualche versione pratica, è piuttosto incompatibile con l'impianto teologico di quella religione. La democrazia ha bisogno di alcuni elementi complementari che nell'Islam o non esistono o sono di difficile attuazione: la laicità, la libertà religiosa, la differenza tra legge coranica e legge civile, il pluralismo, la mancanza di un diritto naturale in cui far convergere un consenso politico autonomo dalla religione e così via. La Dottrina sociale della Chiesa esamina su questo punto l'Islam, ma con ciò non intende difendere semplicemente (e ingenuamente) la democrazia occidentale relativista, procedurale, irreligiosa, priva anche essa di un diritto naturale come fondamento, soggettivistica e così via. In questo caso si crea come un triangolo interpretativo: la Dottrina sociale è un vertice del triangolo e guarda criticamente agli altri due vertici rappresentati da Islam e Occidente politico. Del resto, anche gli altri due vertici fanno così. La cultura occidentale politica, per esempio, guarda con favore all'Islam per eliminare la presenza pubblica cattolica in una società cosiddetta multi-religiosa.
I DIRITTI UMANI NELL'ISLAM
Possiamo anche fare l'esempio dei diritti umani. La nozione di diritti umani nell'Islam o non c'è o è molto diversa da quella occidentale. Uguaglianza tra tutti gli uomini e quindi tra uomo e donna non sono presenti nella cultura islamica così come li intendiamo noi in Occidente. È giusto quindi sottoporre a critica questa loro visione per la quale la differenza religiosa - essere musulmani o meno - diventa anche una differenza antropologica in quanto esprime due diverse forme di umanità subordinate tra loro. Però senza cadere nella celebrazione della concezione occidentale, liberale e illuministica, dei diritti umani intesi come meri diritti soggettivi non espressivi di un diritto e quindi privi del concetto di "giusto". Molti dicono che anche questa ultima visione dei diritti deriva dal cristianesimo e quindi è in un certo senso cristiana, ma così non è. La visione libertaria dei diritti oggi tanto in voga in Occidente non può nascere dal cristianesimo perché antepone la libertà alla verità. Le istituzioni europee ed anche i singoli Stati membri dell'Unione affrontano il problema Islam armati solo di quella loro concezione libertaria dei diritti, il che li rende perdenti fin dall'inizio. Essi chiedono una integrazione fondata su quei diritti a cui l'Islam non potrà mai dare il proprio consenso, e nemmeno la Dottrina sociale della Chiesa. Ecco allora che si ripropone il triangolo interpretativo di cui si parlava sopra.
L'Occidente ha talmente perso contatto con i fondamenti della propria civiltà giuridica da accettare la sharia, o legge islamica, come sta avvenendo per esempio ufficialmente in Inghilterra, e come avviene di fatto in altri Paesi. E come avverrà - aggiungiamo - se e quando un partito islamico entrerà organicamente in un governo politico di un Paese europeo. Criticando l'ammissione della charia nei nostri ordinamenti giuridici, la Dottrina sociale della Chiesa non intende però anche avvalorare il distacco tra diritto positivo e diritto naturale che è avvenuto in essi lungo i decenni. Perché è proprio questo che indebolisce la nostra cultura giuridica e la apre a concessioni ad una legge religiosa.
Queste indicazioni di fondo del Rapporto dell'Osservatorio Van Thuân sono molto importanti dal punto di vista delle politiche religiose nei confronti dell'Islam. Affinché queste vengano fatte avendo presente cosa l'Occidente dovrebbe essere. La Dottrina sociale della Chiesa deve fare proprio questo: valutare politicamente l'Islam e nello stesso tempo l'Occidente post-cristiano.
Nota di BastaBugie: Souad Sbai nell'articolo seguente dal titolo "Jihadisti in Sardegna, i frutti avvelenati del Qatar" parla L'arresto di un aspirante attentatore di origini palestinesi, Alaji Amin, a Macomer, nella provincia di Nuoro è l'ennesima prova del vero fine della politica di "colonizzazione dolce" del Qatar. I cui massicci investimenti sull'isola non a caso coincidono con un processo di radicalizzazione.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 30 novembre 2018:
Più Qatar, significa più terrorismo: l'arresto di un aspirante attentatore di origini palestinesi, Alaji Amin, a Macomer, nella provincia di Nuoro, ne è l'ennesima prova. Il pericolo terrorismo in Sardegna è infatti conseguenza della massiccia presenza del Qatar nella regione, dove gli emiri del clan Al Thani hanno da tempo stabilito il proprio feudo personale. I massicci investimenti nei settori più disparati, dal turismo alla sanità, servono a nascondere l'estremismo e la radicalizzazione propagati dal regime di Doha attraverso le moschee illegali, le associazioni pseudo-culturali e i sedicenti imam che fanno capo alla Fratellanza Musulmana.
Tuttavia, questo schema del "doppio binario" - ovvero comprare la compiacenza della classe dirigente politica ed economica italiana, da un lato, per consentire all'agenda islamista della Fratellanza Musulmana di avanzare, dall'altro - è attuato dal Qatar in tutta Italia, come dimostrano le numerose perquisizioni effettuate solo qualche giorno fa in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Abruzzo, nell'ambito delle indagini riguardanti l'arresto di un giovane egiziano radicalizzato e anch'egli aspirante attentatore. Senza dimenticare la lunga serie di arresti ed espulsioni attraverso tutto lo stivale, Meridione incluso, nel corso di quest'anno.
Nell'indifferenza del mondo politica, la salvezza dell'Italia si confermano ancora una volta le forze di polizia e i servizi d'informazione, che continuano a svolgere responsabilmente il compito di garantire la sicurezza del paese. Ma di fronte al crescere dell'estremismo e della sua pericolosità - secondo le prime rivelazioni Amin era pronto a utilizzare veleno o armi chimiche -, non è più sufficiente "cavarsela" impedendo che la minaccia di un attacco terroristico si concretizzi. Occorrerebbe invece impedire alla minaccia di formarsi, facendo molto di più nel prevenire la diffusione del retroterra ideologico che trova poi sfogo nel terrorismo. Da questo punto di vista, si registra purtroppo una deriva a dir poco inquietante.
Le porte aperte del Quirinale e dei palazzi del potere alla "colonizzazione dolce" del Qatar continuerà a favorire la radicalizzazione all'interno della comunità islamica in Italia, e le forze di polizia e i servizi d'informazione saranno sempre più impegnati a impedire che "ci scappi il morto". Ma appunto: fino a quando durerà senza morti e feriti? Senza misure più stringenti e davvero efficaci volte a stroncare all'origine ogni forma di proselitismo in territorio italiano da parte della Fratellanza Musulmana, il numero degli aspiranti attentatori - "martiri" secondo la distorta visione della realtà che caratterizza gli ambienti jihadisti - è destinato ad aumentare ulteriormente. Riusciranno le forze di polizia e i servizi d'informazione a fermarli tutti prima che entrino in azione? In caso contrario, la responsabilità ricadrà tutta sulla politica e sulle istituzioni.
Nel frattempo, la caccia al jihadista sta riempendo le già sovraffollate carceri italiane. Ed è sempre la Sardegna al centro dell'attenzione. Il carcere di Sassari, dove esiste un settore dedicato ai soli detenuti per reati di terrorismo, è infatti in subbuglio, come denuncia un sindacato locale: sia per il sovraffollamento, che per le difficili condizioni nelle quali la polizia penitenziaria si trova a svolgere il proprio lavoro. In nome della "vigilanza dinamica" e del "regime penitenziario aperto", è stato ridotto il numero di sentinelle sui muri di cinta delle carceri, con conseguente aumento delle evasioni, e i controlli nei confronti dei detenuti, autorizzati a passare fuori dalla cella tra le 8 e le 10 ore giornaliere, sono sporadici e occasionali, con conseguente aumento degli episodi critici.
Lo sfascio e lo smantellamento delle politiche di sicurezza nel carcere di Sassari descritto dal sindacato, va incontro alle esigenze della Fratellanza Musulmana, che nei centri di detenzione ha uno dei suoi principali bacini per l'indottrinamento e il reclutamento di nuovi seguaci. È pertanto in un quadro di sostanziale libertà per la radicalizzazione jihadista che nella Casa Circondariale di Sassari - Bancali "Giovanni Bachiddu", Hafiz Muhammad Zulkifal Zulkifal, pakistano ed ex imam di Zingonia, provincia di Bergamo, può continuare a salmodiare e a guidare la preghiera di soggetti come Nabil Benamir, marocchino arrestato alla fine del 2017 con l'accusa di appartenere all'ISIS e protagonista di un paio di rivolte con altri suoi sodali in nome del Califfato.
Al fenomeno della radicalizzazione delle carceri e alla pericolosa presenza del Qatar, si aggiunge la questione dei continui sbarchi di migranti sulle coste della Sardegna, soprattutto di nazionalità algerina. Tra questi, è lecito pensare che non manchino soggetti già radicalizzati o facilmente radicalizzabili. La situazione nella regione rischia di precipitare e ciò chiama in causa la politica e le istituzioni. I ministri competenti dell'attuale governo del cambiamento ascolteranno il grido d'allarme proveniente da Sassari e dal resto della Sardegna?
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