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"Non sappiamo che cosa sia la vita senza un iPad o un iPhone... A volte penso che vogliamo più bene allo smartphone che alle persone"; "I genitori vogliono qualcosa da te... e se tu cerchi di spiegargli: sto giocando online... loro non capiscono"; "Alla mia generazione non piace più socializzare... ci si scrive sul telefono e ognuno resta a casa propria"; "i libri sono noiosi"; "la mia vita non è molto utile". "È sempre meglio evitare i confronti diretti... è rischioso".
Non serve arrivare ad affermazioni tali per riconoscervi i tratti di un figlio adolescente, per cui magari vi siete domandati come mai pare ancora un bambino solo che è già cinico. Un figlio che forse non si ribella troppo, ma che non ha nemmeno grandi aspirazioni, che non fa tardi né si ubriaca, ma che passa ore chiuso in stanza a vivere la vita online. Magari vi siete chiesti come mai sia sempre stanco, non scalpiti per avere la patente, faticando a capire che no, non si può lasciare che ognuno erga a diritto ogni suo capriccio. Beh, se è così, c'è chi si è domandato lo stesso trovando una spiegazione per cui ha battezzato la nuova generazione dei nati fra il 1995 e il 2012 iGen, ossia iPhone Generation. Lei è Jean m. Twenge, docente di psicologia alla San Diego University, che in "iGen", libro uscito nel 2017 è già tradotto in diverse lingue (in italiano "Iperconnessi") dettaglia le ragioni di un mutamento antropologico senza precedenti.
I NUMERI DI UNA DIPENDENZA
Studiando i nuovi dati relativi a 11 milioni di americani contenuti in ricerche governative che da mezzo secolo registrano le differenze generazionali dei cittadini, Twenge si è accorta che, se fino ad ora nella storia i cambiamenti culturali erano lenti e partivano da una cerchia ristretta di giovani, dal 2012 le alterazioni comportamentali ed emotive della massa sono mutate improvvisamente con grafici che si impennano bruscamente: "Non avevo mai osservato niente del genere", spiega. E il libro dimostra che solo una può essere la causa: nel 2011 cominciava la diffusione massiccia dei cellulari con circa il 98% degli adolescenti iscritti ai social. Tutto ciò ha causato qualcosa di nuovo, non più il cambiamento delle mode o del modo, giusto o sbagliato, di esprimere il proprio desiderio giovanile, ma il suo annichilimento: tra il 2012 e il 2015, ad esempio, vi è un calo drastico dei rapporti sessuali e non per motivi etici ma perché agli adolescenti non interessano più, per via della pornografia, ma non solo. Anche il numero dei maggiorenni senza patente si è alzato, un quarto di loro preferisce farsi scarrozzare dai genitori.
Non si pensi ad un fenomeno solo a stelle e strisce, come ha spiegato sul Qn il 30 dicembre scorso Augusto Biasini, già primario dell'ospedale Bufalini di Cesena: "Vediamo anche noi in misura sempre crescente la dipendenza da cellulare". Biasini ha curato anche bambini dai 10 anni in poi che "non riuscivano a staccarsi dal display", spiegando che "sono più depressi, vulnerabili psicologicamente, degli estranei anche per i loro genitori... Il numero dei ragazzi che mantiene l'abitudine di uscire con gli amici è calato del 40%. Sono meno interessati ai corteggiamenti e alle relazioni con l'altro sesso". Ma i dati americani di "Monitoring the Future" rilevano che gli studenti di prima superiore che passano 10 ore o più settimanali sui social hanno il 56% di possibilità in più di essere infelici (se le ore sono 6 si passa al 47), mostrando che non è la depressione a causare l'uso massiccio di internet ma che questa è impennata come conseguenza del suo utilizzo. Al contrario, spiegano i ricercatori della Florida State University, fra i teenager che vivono una vita sociale e sportiva la percentuale dei sintomi depressivi decresce ampiamente. Infine, fra il 2011 e il 2015 è aumentato del 31% il numero degli adolescenti che dicono di sentirsi soli: "è un cambiamento colossale in appena quattro anni", commenta l'autrice. Non serve però arrivare alla depressione patologica per accorgersi delle immense fragilità di una generazione che rispetto al 2009 ha il 64% in più di probabilità di avere qualche problema emotivo, mentre l'insonnia dal 2011 al 2015 è cresciuta del 22% fra i teenager per via dell'uso notturno dei cellulari: i ricercatori della Korea University di Seul hanno notato l'incremento di GABA, (uno dei più importanti neurotrasmettitori) che può causare ansia, insonnia e sfinimento, al crescere dell'utilizzo della tecnologia.
CAMBIA IL CERVELLO
Un'altra conseguenza dell'uso degli smartphone è la stupidità: Lamberto Maffei, emerito di Neuroscienze alla Normale di Pisa, ha dimostrato che la struttura neuronale del cervello sta mutando per via dei media digitali: la riflessione e l'apprendimento vengono meno, perché i neuroni del pensiero lento si spengono in favore dell'istintualità. E che fatichino a ragionare e leggere testi lunghi sono gli stessi iGen a confessarlo. Nel 2005 un 17enne su 3 dichiarava di non aver letto nemmeno un libro perché "facciamo fatica". Il dramma è che al posto loro non ci sono le informazioni reperite online ma ore passate a guardare video idioti (bambini che cadono, galline danzanti, gatti che fanno cose buffe). Una copertina del New Scientist del 2014 parlava dell'incremento della stupidità, misurando i quozienti intellettivi, con risultati sconcertanti: dagli anni '50 (diffusione della tv) ad oggi la media del Qi è scesa del 10%.
Di fronte a tale debolezza è chiaro che il potere si lecca i baffi. Claire Fox, scrittrice liberale, ha raccontato i pianti degli universitari davanti alle sue idee, battezzando la iGen "generazione fiocco di neve", per cui nelle università americane si stanno diffondendo i cosiddetti "spazi protetti", dove chi si sente offeso dal commento di un relatore può correre a farsi consolare. Gli studenti di fronte ad opinioni politicamente scorrette strillano come bambini, diventano violenti per paura di essere tolti della loro bambagia. Edward Scholosser, professore progressista, si è detto spaventato dai suoi studenti progressisti che passano così tanto tempo connessi da convincersi che le parole siano pericolosissime e che odiano l'autonomia: gli iscritti a Yale vogliono, ad esempio, che il college somigli ad un asilo dove le istituzioni dirimano anche i più piccoli conflitti. La scrittrice Hanna Rosin ha collegato tutto ciò al bisogno di sicurezza che sta soffocando quello di fare esperienze dirette, con un'infanzia "sterilizzata" che non conosce "le ginocchia sbucciate" (il gioco all'aria aperta è ormai prescritto dai pediatri Usa). Anche l'omologazione non è mai stata tale: difficile trovare in "iGen" un giovane, anche fosse un cristiano praticante, la cui chiesa (cattolica o protestante) chiarisca l'errore di questa visione, che non pensi che l'uguaglianza significhi dare diritti a chi li vuole perché "love is love".
IL POTERE DELLA DOPAMINA
Si capisce ora perché Steve Jobs, così come Bill Gates, abbiano ristretto al minimo l'uso della tecnologia dei loro figli, insieme ad altri leader della Silicon Valley (un sondaggio del 2017 parla di 907 famiglie su queste posizioni): Chris Anderson della 3D Robotics ha dichiarato che sebbene i figli si lamentino, visti "i danni della tecnologia sulla mia pelle non voglio che capiti anche a loro". Alex Constantinople, della OutCast Agency, spiega che i suoi figli hanno solo 30 minuti al giorno di accesso ai media. Pierre Laurent, che ha lavorato per Microsoft e Intel, ha detto alla Cbs News: "Non credo che i genitori ne siano consapevoli, non vedono le conseguenze" perché "non ci sono avvertimenti sul prodotto". Per questo l'ex vicepresidente di Facebook, Chamath Palihapitiya, ha confessato: "Abbiamo creato un sistema di gratificazione a breve termine di like e di feedback guidato dalla dopamina, che sta distruggendo il modo normale in cui la società funziona... quello che dico non è un problema solo americano... ha a che fare con tutto il mondo". Così ai suoi figli "non è permesso usare questa schifezza". Ecco perché i leader della tecnologia hanno creato scuole hi-tec free, facendo pensare ad una cerchia ristretta (i figli di questi milionari) che crescerà più intelligente e libera di una massa facilmente plagiabile.
Ma perché la tecnologia genera una tale dipendenza da far crescere persone impazienti e incapaci di sopportare i "no" e le frustrazioni? Lo spiega Simon Sinek, noto consulente di leadership delle aziende Usa: "La dopamina è il neurotrasmettitore che ha funzioni specifiche di controllo sulla sensazione di piacere... ogni volta che il cervello è stimolato da fattori esterni di piacere o di ricompensa (come i like su Facebook o una notifica) la dopamina viene rilasciata... Ecco perché siamo così dipendenti dalle tecnologie" che fanno "fuggire dalla realtà". Ma questa sudditanza perfetta di una popolazione, che in cambio di piaceri istantanei e di un benessere solo apparente si trova priva di desiderio e libertà, non piace innanzitutto agli iGen che dicono di non essere felici pur non sapendo come uscirne. La soluzione di Twenge, come quella dei leader delle aziende citate, è drastica: evitare più a lungo possibile di regalare il telefonino ai figli, sostituendolo se mai a quelli in cui si può solo chiamare, di non iscriversi ai social o altrimenti di farlo dai computer di casa (ci sono App che ne limitano l'uso), partendo dagli adulti che spesso sono i primi ad abusare dei cellulari con cui dormono e mangiano, propinandoli ai figli perché non disturbino.
Impossibile? Quest'anno il Liceo San Benedetto di Piacenza ha deciso di installare la "Yondr", un sistema di sicurezza per impedire l'uso di internet, con l'esito di un maggior benessere per gli studenti. Il preside ha dichiarato che "il senso più profondo di questa novità è proprio aiutare gli studenti a togliere gli occhi dal display per alzarli al cielo, ad andare metaforicamente oltre, verso qualcosa di più elevato... li aiuteremo nel tempo a capire questa scelta a guardare appunto alle stelle". Un po' come spiega Sinek: "Se non hai il telefono ti puoi anche godere il mondo ed è così che arrivano le idee... quando la mente divaga... questa è innovazione, ma ci stiamo privando di tutti questi piccoli momenti... abbiamo la responsabilità di riparare questo danno".
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