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Sarà l'anno dei Pesci. L'«anno delle rotture». Un anno speciale per comprendere il quale non basterà consultare le previsioni del segno zodiacale, ma occorrerà darsi da fare, prendendo in attenta considerazione anche quello del segno ascendente al momento della nascita. Il 2019 è appena iniziato e in televisione e sulla stampa impazza la febbre dell'oroscopo, come testimonia l'onnipresenza di astrologi che, con fare suadente, spiegano cosa c'è da attendersi dall'anno nuovo. D'accordo, ma come deve porsi un cattolico dinnanzi a questo festival mediatico dell'astrologia? La risposta è: con enorme prudenza, anzi con aperto scetticismo.
LA CHIESA CI METTE IN GUARDIA
Del resto che l'astrologia - pratica antica che affonda le radici prima di Cristo in varie religioni pagane, avente come obiettivo principale la predizione del futuro basandosi sul movimento dei corpi celesti - sia da prendere a dir poco con le molle lo spiegava già san Tommaso, il quale avvertiva che «dall'osservazione degli astri, non è possibile desumere altra previsione degli eventi futuri, all'infuori di quella che consiste nel prevedere gli effetti dalle loro cause», con la conseguenza se ci si «serve dell'osservazione degli astri per prevedere il futuro casuale e fortuito, oppure per predire con certezza gli avvenimenti umani, ciò si deve a un'opinione falsa e menzognera».
Una spiegazione ancora più chiara e definitiva, sul tema, la offre poi il Catechismo, laddove sottolinea: «La consultazione degli oroscopi, l'astrologia, la chiromanzia, l'interpretazione dei presagi e delle sorti, i fenomeni di veggenza, il ricorso ai medium manifestano una volontà di dominio sul tempo, sulla storia ed infine sugli uomini ed insieme un desiderio di rendersi propizie le potenze nascoste. Sono in contraddizione con l'onore e il rispetto, congiunto a timore amante, che dobbiamo a Dio solo» (n. 2116). Meglio dunque andarci piano, quando si ha che fare con un conoscitore o presunto tale delle stelle.
Anche perché, come spiegato bene dal padre e scrittore José Antonio Fortea, al di fuori di Dio (che è eterno e nell'eterno, dunque al di là del tempo), nessuno può davvero scrutare il futuro. Neppure il diavolo. Da questo punto di vista, Satana e i suoi seguaci - che pure sono esseri di enorme intelligenza, molto superiore all'umana per capirci - possono, al massimo, osservare ciò che accade sulla Terra e offrire una predizione di quello che potrebbe accadere. Ma senza prevedere, di fatto, nulla.
NON AVRAI ALTRO DIO
Da che cosa nasce, allora, l'insidia spirituale dell'astrologia? Semplice: dall'attribuire a terzi facoltà che solo l'Onnipotente possiede. Con la conseguenza che, nel momento in cui crediamo agli oroscopi, Dio ne esce sostanzialmente ridimensionato, reso se non scontato quanto meno prevedibile. Mentre invece ci sono cose che solo Lui può conoscere. Ne deriva, ha aggiunto padre Fortea, autore di Summa Daemoniaca, testo interessante sulla demonologia e sugli esorcismi, che «gli unici che di solito traggono beneficio» dalle previsioni di inizio e fine anno, alla fine sono «gli imbroglioni professionisti, che sono i primi a non crederci e che sanno come dosare le loro previsioni in modo da non pizzicare le dita».
In effetti, è difficile non ascoltare con attenzione un oroscopo senza rimanere colpiti dalla totale genericità di previsioni che hanno evidentemente il solo scopo di affascinare, di colpire, di sedurre. Ma di concreto, a ben vedere, dicono poco o nulla. Mentre sono concretissimi i denari che gli astrologi chiedono per vendere i loro libri o per essere consultati; meglio allora tenersene alla larga anche perché, per dirla ancora con padre Fortea, «nessun cristiano dovrebbe mai consultare questo tipo di persone in nessuna circostanza» dato che «la consultazione di un mago, veggente o santone è sempre un peccato grave».
Nota di BastaBugie: Antonio Socci nell'articolo seguente dal titolo "Gli oroscopi, il cielo stellato e il senso della vita" parla di come sono nate le costellazioni e come erano considerate in antichità.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Libero il 30 dicembre 2018:
A fine anno, per i media, è tempo di oroscopi. Il frivolo divertimento di leggere, sulla nostra vita, "previsioni" che non si avverano mai sembra inspiegabile, eppure fa emergere la brama che abbiamo di cercare, in qualche modo, le tracce del nostro destino.
In fondo desideriamo scoprire che la nostra esistenza non è un accidente del caso e non si consuma in un ingorgo di eventi senza scopo, ma che c'è un disegno e qualcuno lassù ci ha voluti.
Vorremmo poter dire, come il salmista, a quel Qualcuno: "tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto... Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno".
Vorremmo essere rassicurati ascoltando parole così: "Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode... Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte. Il Signore ti custodirà da ogni male: egli custodirà la tua vita" (e sto citando ancora parole dei salmi).
Ma noi siamo così evoluti, nel XXI secolo, che liquidiamo con un sorrisetto la Sacra Scrittura. Ci riteniamo "superiori". Però siamo incuriositi dagli oroscopi e interpelliamo gli astri.
Da dove vengono gli oroscopi? Fin dalla notte dei tempi gli uomini hanno scrutato il cielo stellato pensando che nella misteriosa scrittura della volta celeste fosse svelato l'enigma di ciò che accade sulla terra.
Ma quando e perché è nato lo Zodiaco? Tutti gli indizi portano in Mesopotamia e in particolare ai Sumeri attorno al IV millennio a.C. Questo straordinario popolo "inventò" lo Zodiaco per motivi scientifici, dopo una millenaria e acutissima osservazione dei movimenti dei corpi celesti.
"Le costellazioni dello Zodiaco" scrive Elio Cadelo "non furono fissate a caso, ma in maniera razionale e 'scientifica': furono fissate una ogni 30° lungo l'eclittica corrispondenti ad un'ora sumerica. In altre parole, a quel tempo, ogni ora sorgeva e tramontava una costellazione nel cielo o, se si preferisce, l'apparizione nel cielo notturno di una nuova costellazione indicava il trascorrere di un'ora. Furono le 12 costellazioni a dividere il tempo del giorno che, in base al sistema sessagesimale, fu di 12 ore. Ma i Sumeri" aggiunge Cadelo "fecero di più. Suddivisero anche l'anno in 12 mesi e ogni segno zodiacale sull'eclittica corrispondeva a un mese dell'anno che fu chiamato 'la via di Anu'. Un sistema perfetto".
Dunque, secondo Ruppert Gleadow, "lo Zodiaco crebbe (e non poteva essere altrimenti) come un congegno per misurare il tempo. Solo più tardi poté essere usato per la divinazione ed ancora dopo per l'analisi del carattere".
E' evidente che queste antiche civiltà avevano acquisito ed elaborato conoscenze (anche matematiche) davvero molto significative. Peraltro il cielo stellato veniva da loro usato anche come una perfetta macchina per l'orientamento nella navigazione in mare aperto.
Uno degli aspetti più stupefacenti è il fatto che lo Zodiaco era conosciuto da gran parte delle popolazioni e delle civiltà antiche, anche quelle che si riterrebbero isolate, per lontananza, dalle altre. Cosa che suscita molti interrogativi sulla circolazione delle conoscenze, ma anzitutto sulle rotte di navigazione percorse da quegli antichi uomini che probabilmente ebbero una capacità per noi sorprendente di solcare i mari.
Quindi, diversamente da ciò che crediamo non c'è stato in questo caso un "pensiero magico" che ha preceduto il pensiero scientifico, ma, al contrario, lo Zodiaco nasce come astronomia e solo molto tempo dopo diventa astrologia.
Quello che resta immutato nel corso dei millenni è lo stupore per la magnificenza della volta stellata e per la meccanica celeste.
Piero Boitani, che ha dedicato un bellissimo libro "Il grande racconto delle stelle" (Il Mulino)alle stelle nella letteratura, da Omero ai giorni nostri, fa capire che lo scienziato di oggi e Giacomo Leopardi, il quale contemplava da poeta le "vaghe stelle dell'Orsa", sono accomunati proprio dalla stessa meraviglia per la bellezza.
Boitani cita infatti queste parole del grande matematico Henri Poincaré: "Lo scienziato non studia la natura perché ciò è utile, la studia perché ne prova piacere e ne prova piacere perché essa è bella. Se la natura non fosse bella non varrebbe la pena di conoscerla e la vita non varrebbe la pena di essere vissuta (...) parlo di quella bellezza (...) che viene dall'ordine armonioso delle parti e che un'intelligenza pura è capace di afferrare".
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