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EUTANASIA PER TUTTI: LA CORTE COSTITUZIONALE DICE SI ALL'AIUTO AL SUICIDIO
Per sapere cosa accadrà nei prossimi anni in Italia, basta guardare come sono saltati i paletti negli altri Paesi che avevano aperto all'eutanasia (Olanda, Belgio, Canada)
di Giuliano Guzzo
 

Adesso che la nostra Corte Costituzionale ha pensato bene di «aprire» al suicidio assistito, ancorché ponendo dei paletti (paziente consapevole, sottoposto a trattamenti salvavita e in presenza di patologie irreversibili che causano sofferenze fisiche e psicologiche), è lecito chiedersi: che cosa accadrà in Italia? Quali saranno le conseguenze del riconoscimento ufficiale della «dolce morte», secondo solo a quello indiretto introdotto con il biotestamento eutanasico già nel 2017? Non c'è modo migliore, per rispondere a questa domanda, che una breve panoramica internazionale sui Paesi che la «dolce morte» l'hanno già introdotta e che son caratterizzati - tutti - da una preoccupante escalation mortifera.

OLANDA
Iniziamo con l'Olanda dove, nel 2018, le morti anticipate sono calate rispetto all'anno precedente del 7%. Fatto positivo, certo, ma da esaminare criticamente con delle considerazioni. La prima concerne il fatto che, se da un lato è vero che nel 2018 le morti indotte (6.126) sono calate di oltre 450 casi rispetto ai 6.585 decessi 2017, dall'altro occorrerà aspettare quanto meno l'anno prossimo prima di trarre qualsivoglia conclusione sul fenomeno. Tanto per cominciare perché un calo, anche se più ridotto, della «dolce morte» nei Paesi Bassi si è già verificato ben due volte - nel 2003 rispetto al 2002 e nel 2016 rispetto al 2015 -, senza che questo, nei fatti, abbia poi impedito un aumento esponenziale della stessa.
Va poi sottolineato come i dati parziali dei primi mesi del 2019 pare siano peggiori di quelli dell'anno precedente. In terzo luogo, gli esperti segnalano come ogni anno una percentuale di morti indotte che va dal 20 al 23% sfugga, per molteplici ragioni, alle statistiche ufficiali. Per non parlare inoltre della diversificazione della platea di quanti esercitano il cosiddetto "diritto di morire": lo scorso anno, in Olanda, quasi 70 persone hanno ottenuto l'eutanasia non solo pur non essendo malate terminali, ma anche non soffrendo di alcuna patologia che non fosse relativa a condizioni psichiatriche. Sempre nel 2018, si è confermato il radicamento di un fenomeno nuovo quanto inquietante: quello delle coppie che ottengono l'eutanasia. Insieme. Se ne sono contati ben 9 casi anche se solo di uno di questi si hanno informazioni: quello di una coppia nella quale il marito aveva il cancro all'esofago e la moglie la sclerosi multipla, e in cui entrambi hanno chiesto di morire motivando tale desiderio con il disagio ravvisato dalla «prospettiva di dover essere assistito da estranei e nell'incapacità di vivere in modo indipendente».

BELGIO
Se l'esperienza olandese in fatto di «dolce morte» è e resta quindi molto negativa, quella del Belgio non è certo migliore. Tanto per cominciare perché i numeri evidenziano come i primi 235 casi di «dolce morte» del 2003 siano lievitati ad oltre 1.000 già nel 2011, in meno di dieci anni, per poi salire fino agli oltre 2350 del 2018. Non solo. Uno studio pubblicato nel marzo 2015 su The New England Journal of Medicine, basato sui dati del 2013, ha messo in evidenza come solo quell'anno più di 1.000 persone siano decedute con procedure di morte assistita mai richieste in precedenza. E non mancano fatti singoli molto inquietanti. Basti pensare a Godelieva De Troyer, uccisa nell'aprile 2012, a 65 anni, dal dottor Wim Distelmans solo perché depressa e senza neppure che i figli della donna ne fossero informati.

CANADA
D'accordo - si potrebbe obiettare - ma forse sono Olanda e Belgio ad essere stati incapaci, come Paesi, nella gestione sanitaria e culturale della «dolce morte». Un'osservazione a cui si può replicare con un terzo esempio: quello del Canada, da dove poche settimane fa è arrivata la notizia della sconvolgente storia di Sean Tagert, un malato di Sla di 41 anni della British Columbia che ha chiesto e ottenuto la «medically-assisted death», formula con cui il sistema sanitario canadese offre sia l'opzione eutanasica sia il suicidio assistito, non perché piegato sofferenza, ma perché abbandonato dallo Stato in condizioni critiche e perché non riusciva a pagarsi l'assistenza domiciliare di cui aveva bisogno. A proposito di quattrini, «dolce morte» e Canada, uno studio apparso nel 2017 sul Canadian Medical Association Journal ha stimato in 138 milioni di dollari annui il risparmio cui, a regime, potrebbe portare l'eutanasia. Segno che il cosiddetto diritto di morire inizia ad essere apertamente considerato come un modo per far quadrare i conti.
Morale della favola, che si guardi all'Olanda, al Belgio o al Canada, la musica non cambia: ovunque si sia introdotta la «dolce morte», si sono nel giro di poco spalancate le porte dell'inferno. Ma che ne sa la Consulta.

Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "La Consulta fa il legislatore: così sarà eutanasia per tutti" spiega come la Corte Costituzionale ha detto sì all'aiuto al suicidio. Apparentemente solo nel rispetto di alcune condizioni (paziente consapevole, sottoposto a trattamenti salvavita e in presenza di patologie irreversibili che causano sofferenze fisiche e psicologiche), ma nella pratica allarga all'infinito il bacino di utenti che da oggi potrebbero chiedere l'eutanasia, soprattutto tra le persone più vulnerabili.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 settembre 2019:
La Corte costituzionale ha detto "Sì" all'aiuto al suicidio, ma solo nel rispetto di alcune condizioni. Vediamo quali sono.
La non punibilità scatta allorquando la scelta di suicidarsi si è formata liberamente e autonomamente, scelta che è stata presa da soggetto "pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli". Altre caratteristiche personali indispensabili per accedere al suicidio assistito sono le seguenti: il paziente deve essere "tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale". In questa espressione possiamo non solo ricomprendere nutrizione, idratazione e ventilazione assistita, ma qualsiasi terapia salvavita. Dunque il malato oncologico che si sta sottoponendo a cicli di chemioterapia e la cui sopravvivenza, perciò, non dipende da alcun macchinario potrà legittimamente chiedere al medico di aiutarlo a morire. Questa interpretazione, oltre a trovare validità nel tenore letterario delle parole usate dalla Consulta, discende anche logicamente dalla lettura della legge 219/2017, la cosiddetta legge sulle Dat che già aveva aperto ad alcune pratiche eutanasiche. Infatti già con questa normativa i pazienti la cui sopravvivenza dipendeva dalla nutrizione, idratazione e ventilazione assistita potevano chiedere di morire esigendo l'interruzione di tali presidi vitali, previa sedazione. Quindi se l'intervento della Consulta avesse riguardato solo questa categoria di pazienti, tale intervento sarebbe stato pressoché superfluo.
Altra condizione che fa sempre riferimento ad una caratteristica personale dell'aspirante suicida: la patologia deve essere irreversibile. Quindi porte aperte a tutti i malati cronici affetti da patologie di per sé letali che richiedono cure continue, vedi i pazienti in dialisi. Dunque - ed è la notizia più saliente - se uniamo le due caratteristiche appena indicate (pazienti sottoposti a trattamenti salvavita e presenza di patologie irreversibili) ecco che il bacino di utenti che potrebbero chiedere l'eutanasia da oggi si allarga a dismisura. Aggiungiamo un nota bene: non serve essere ricoverati in ospedale per chiedere di suicidarsi. L'assistenza medica volta al suicidio potrà e dovrà essere effettuata anche a domicilio o dove più si aggrada.
Ulteriore condizione di carattere personale: la patologia deve essere "fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili". Va da sé che questa indicazione fa scadere la pratica dell'aiuto al suicidio nell'arbitrarietà. Infatti il criterio qui indicato è meramente soggettivo ed è privo di riscontri oggettivi. In breve qualsiasi sofferenza sarà legittimante la richiesta di morire. Inoltre anche la sofferenza psicologica è criterio valido per chiedere il suicidio assistito.  Ad esempio facciamo il caso di Tizio che ha due bypass al cuore e che, anche per motivi diversi dalla sua cardiopatia, è fortemente depresso tanto da voler morire. Il soggetto, in accordo con quanto indicato dalla Consulta, è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (bypass) e lo stato patologico depressivo viene descritto dal medico come irreversibile. Tizio ha quindi tutte le carte in regola per ricorrere al suicidio assistito. Infatti, almeno stando al comunicato stampa rilasciato dalla Corte, la patologia irreversibile che provoca sofferenze insopportabili (depressione) potrebbe non essere quella per cui il paziente è sottoposto a trattamenti salvavita (cardiopatia).
Occorre inoltre rispettare non solo condizioni soggettive, cioè legate alle condizioni del paziente, bensì anche condizioni oggettive. In questo caso la Consulta da una parte non innova, ma rimanda semplicemente alla disciplina del consenso informato presente nella legge 219/2017. In particolare il futuro sucida dovrà essere edotto sulle alternative percorribili, dovrà rispettare alcune formalità per esprimere la sua volontà di togliersi la vita e potrà avvalersi di pratiche sedative. Su altro fronte la Consulta aggiunge qualcosa di nuovo al quadro normativo vigente: perché si possa legittimamente ricorrere all'aiuto al suicidio, è necessario che la verifica della presenza di tutte queste condizioni e la verifica che la procedura eutanasica avvenga nel rispetto della legge dovranno essere attuate per il tramite "di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente". In breve si scaricano su ospedali, medici e comitati etici l'onere di accertare che tutto sia, dal punto di vista legale, ineccepibile. Onere a dire il vero facile da soddisfare, dato che, come abbiam visto, il filtro per accedere al suicidio assistito è composto da una trama a maglie assai larghe.
La Corte poi motiva questa sua apertura al suicidio assistito "per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili". In realtà accadrà tutto l'opposto: ora che aiutare a togliersi la vita non è più reato, la persona particolarmente vulnerabile sarà assai più tentata di percorrere la via facile dell'eutanasia. Inoltre potrà accadere, con sempre maggior frequenza, che gli stessi parenti e medici suggeriscano al paziente psicologicamente fragile questa soluzione, perché ormai soluzione benedetta dalla legge. Dunque saranno proprio le "persone specialmente vulnerabili" le prime vittime di questa sentenza. Infine non è prevista l'obiezione di coscienza per i medici. Quindi se un paziente chiede di essere aiutato a morire il medico non potrà rifiutarsi.
In chiusura una considerazione che non riguarda la nuova disciplina normativa, bensì l'ambito entro cui si è articolata la sentenza così come sintetizzata dal comunicato stampa emesso ieri (ci vorrà tempo per leggere la sentenza nella sua interezza). La Consulta ha giocato a fare il legislatore. Infatti i giudici non si sono limitati a dichiarare incostituzionale parte dell'art. 580 cp che sanziona l'aiuto al suicidio laddove, ad esempio, non tiene conto di alcune situazioni soggettive meritevoli di tutela demandando al legislatore la specificazione di questi casi, ma sono scesi nel particolare articolando una depenalizzazione parziale del reato che indica con minuzia le condizioni perché non scattino le manette. Una sentenza che è quindi una vera e propria legge. Naturalmente i giudici hanno così operato perché il Parlamento è rimasto inerte nonostante le ripetute sollecitazioni della Consulta. In questo senso l'"indispensabile intervento del legislatore" invocato dalla Corte in realtà non è per niente indispensabile perché è già tutto scritto in questa pronuncia. Semmai il parlamento farà un copia incolla oppure, scenario non improbabile, la maggioranza giallo-rossa aggiungerà alla legittimazione del suicidio assistito così come disegnato dai giudici anche la legittimazione di altre pratiche mortifere come la iniezione letale.
A margine: Cappato, sotto processo perché ha aiutato Dj Fabo a morire, va assolto perché, leggiamo nel comunicato stampa, "rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate". Poteva andare in modo diverso?

 
Titolo originale: Gli effetti della dolce morte
Fonte: Sito del Timone, 27 settembre 2019