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Per non dimenticare tre anni di abusi di potere
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C'è qualcosa di inquietante in tutta la vicenda del blitz di Cerveteri, che va ben oltre il fatto locale ed è un drammatico campanello d'allarme su quanto sta accadendo in Italia e non solo. Il fatto è noto: causa ordinanze in materia di coronavirus, domenica due poliziotti hanno interrotto una messa in una chiesa vuota, perché alcuni fedeli la stavano seguendo dall'esterno della chiesa (che aveva le porte aperte), peraltro pochi e a distanza di sicurezza. Il fatto in sé, come dicevamo ieri, è di una gravità inaudita, una violazione palese della legge e della Costituzione, tanto più che nessuno stava violando alcuna disposizione in materia di contenimento del coronavirus.
Ma c'è qualcosa di ancora peggiore: la totale indifferenza - della Chiesa locale anzitutto - davanti a questa invasione di campo da parte dello Stato italiano, come se fosse un gesto normale o giustificato dalla emergenza. Sui social, poi, non potevano mancare accuse e insulti al povero don Mimmo, che qualcuno vorrebbe addirittura in galera per aver celebrato la messa: evidentemente non è un caso che lo stop alle "messe con popolo", nella mentalità comune è passato come un divieto di messa puro e semplice. Peraltro quello di Cerveteri non è neanche un caso isolato, giorni fa abbiamo già documentato forme di pressione indebita da parte delle autorità civili nei confronti di alcuni parroci, ma non si era ancora arrivati a tanto.
Il fatto è che ormai in nome della lotta al coronavirus si tollerano, o addirittura si invocano, veri e propri abusi di potere. E se davanti all'irruzione della polizia che entra in chiesa e blocca una messa non si alza alcun tipo di protesta, in primis dal vescovo competente, si prepara la strada alla sua normalizzazione. E domani qualsiasi altro motivo, che le autorità potranno definire grave, giustificherà analoghi blitz o divieti di messa e incontri di cattolici. Come accade in qualsiasi dittatura.
RISCHIO TOTALITARISMO
Ancora una volta il panico diffuso, lo stato di paura (tanto per citare il titolo di un illuminante libro di Michael Crichton) è l'ingrediente base per l'affermarsi di un autoritarismo o, peggio, di un sistema totalitario.
Non si vuole qui minimizzare la gravità della situazione sanitaria legata alla diffusione del coronavirus, anche se - come abbiamo già avuto modo di scrivere - ci sarebbe da ragionare, numeri alla mano, su quanto il problema sia la letalità del virus e quanto l'inadeguatezza del sistema sanitario.
Non si vogliono neanche mettere in discussione alcune misure restrittive che si sintetizzano nello slogan "restate a casa". In caso di necessità si deve essere anche pronti a qualche sacrificio per il bene di tutti. Ma allo stesso tempo non tutto può essere giustificato in nome dell'emergenza, soprattutto quando certe restrizioni e cambiamenti hanno tutta l'aria di non essere temporanei. Del resto alzi la mano chi crede davvero che tutto possa tornare alla normalità il 4 aprile. Credo che oggi nessuno scommetterebbe neanche sull'uscita dall'emergenza alla fine di aprile.
E nel frattempo ci si abitua, ad esempio, a un presidente del Consiglio che vara provvedimenti con lo strumento del Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (DPCM), quello usato per stabilire la chiusura di luoghi pubblici ed esercizi commerciali. Si tratta di uno strumento di infimo rango normativo, una forzatura dal punto di vista costituzionale eppure sta diventando un normale strumento di governo. In questo modo, passo dopo passo, si sono bloccati gli spostamenti delle persone, anche da comune a comune, si sono bloccate le scuole e le università, i concorsi, si sono chiusi tutti i luoghi pubblici e sospese tutte le manifestazioni, chiusi negozi e attività varie, non parliamo poi della questione della sospensione delle messe con popolo (su cui abbiamo già detto molto in altri articoli). C'è da dire che alcuni governatori vorrebbero misure maggiormente restrittive, chiudere qualsiasi attività lavorativa, in una gara a chi vuole proibire di più.
Il tutto bisogna aggiungere con una buona approvazione da parte dei cittadini, ormai presi letteralmente dal panico, al punto che molti si sono trasformati in delatori ai danni di vicini che escono di casa o si intrattengono a parlare con altri. Il tutto accompagnato da una crescente esaltazione sui media e tra gli opinionisti del "modello cinese", che ha avuto il plauso anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero dell'uso indiscriminato della forza e di ogni arma tipica di una dittatura spietata (compresa la menzogna) per isolare città e regioni.
AVANZA IL PROCESSO CHE RESTRINGE LE LIBERTÀ PERSONALI
È un altro elemento questo che ci fa interpretare l'attuale periodo di emergenza non già come una parentesi temporale destinata ad essere superata a virus vinto, quanto a un passaggio in un processo che vede rafforzarsi la tendenza a superare la democrazia e restringere le libertà personali. Ne è un elemento fondamentale anche il ruolo della scienza, che assurge a ispiratrice e giudice ultimo delle scelte. Gli scienziati in realtà hanno idee diverse, ma ben presto viene tappata la bocca a coloro che non si allineano alla narrazione ufficiale.
È un film già visto, il problema è che ci stiamo abituando a vivere in stato di emergenza, una situazione in cui diventano accettabili misure e provvedimenti a cui un uomo libero non darebbe mai il suo consenso. Forse lo abbiamo dimenticato, ma appena si allenterà l'emergenza coronavirus, ritornerà prepotente l'emergenza climatica nella quale stiamo vivendo ormai da anni e in virtù della quale stiamo accettando la distruzione delle nostre società industrializzate.
Ricordiamo che appena prima dell'epidemia di coronavirus, nel dicembre 2019, la Camera dei deputati ha approvato la dichiarazione di emergenza climatica; l'Europarlamento lo aveva già fatto poche settimane prima, e in Italia lo hanno fatto anche sei regioni e un centinaio di comuni. Anche qui c'è sempre la scienza che dice cosa fare, e gli scienziati non allineati messi a tacere con le buone o con le cattive. E un flusso enorme di fondi viene distolto dai servizi essenziali per finanziare un fallimentare business verde, ovviamente a spese dei contribuenti che, in stato di emergenza, sono ormai disposti a subire di tutto.
Non si tratta neanche di un fenomeno recente. Già nel 1991 il Club di Roma - che tanto ha influenzato la politica dagli anni '70 in poi diffondendo la paura della sovrappopolazione e dell'esaurimento delle risorse - pubblicò un rapporto sulla "Prima rivoluzione globale", in cui si afferma: «La democrazia non è una panacea. (...) Per quanto possa suonare sacrilego, la democrazia non è più appropriata per gli obiettivi che abbiamo davanti. La complessità e la natura tecnica di molti dei problemi di oggi non sempre permettono a rappresentanti eletti di prendere decisioni corrette al momento giusto».
L'episodio di Cerveteri e tante altre cose che stanno avvenendo in questo periodo ci fanno capire che c'è già ormai la base culturale per una svolta illiberale delle nostre società.
Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 38 secondi) si vede il parroco che viene colto di sorpresa da due agenti che intimano al sacerdote di interrompere la celebrazione. Del fatto si parla nell'articolo seguente in cui si racconta di preciso cosa è avvenuto a Marina di Cerveteri (Roma).
ART. 405 DEL CODICE PENALE
Non solo il Codice di Diritto Canonico (can. 1375), ma anche il codice penale dello Stato Italiano punisce il turbamento di funzioni religiose.
Ecco il testo dell'art. 405 del codice penale: "Chiunque impedisce o turba l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si compiano con l'assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni".
https://www.youtube.com/watch?v=hSrQSUQG5E8
ADESSO È TROPPO: LA POLIZIA INTERROMPE LA MESSA
Ecco l'articolo completo di Nico Spuntoni dal titolo "Adesso è troppo: la polizia interrompe la Messa" pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 16 marzo 2020:
La polizia irrompe in chiesa ed interrompe la Santa Messa dall'altare. Cronache dalla Cina comunista? No, siamo in Italia. Precisamente a Cerveteri, comune immerso nella (fu) campagna romana, noto soprattutto per essere sede di una delle più importanti necropoli etrusche. Il blitz della polizia municipale avviene nella fase finale della celebrazione che ha luogo nella parrocchia di San Francesco d'Assisi, località Marina di Cerveteri.
È appena terminato il momento più solenne della cerimonia, quello dell'Eucarestia, ma il parroco non fa in tempo a pronunciare la formula di congedo al cospetto di una chiesa vuota e dei fedeli connessi in streaming. Due vigili in mascherina, infatti, piombano dietro all'altare e con fare perentorio dicono al sacerdote che quella celebrazione non s'ha da fare. Motivo dell'intervento? Il parroco ha lasciato le porte della sua chiesa aperta e fuori, sul sagrato, ad una distanza superiore all'ormai comunemente noto metro raccomandato da decreti e circolari, sono raccolti in preghiera alcuni fedeli.
Il parroco, colto di sorpresa proprio nel momento del silenzio successivo alla Comunione, cerca di spiegare ai tutori dell'ordine di aver preso le giuste precauzioni, al punto tale che l'ingresso in chiesa è sbarrato da un leggio posto al centro della navata. Ma non c'è nulla da fare: uno dei due vigili s'impossessa del microfono e fa partire il proclama: "Allora scusate signori, non è possibile fare funzioni religiosi e agglomerarsi tutti insieme. Cortesemente, dovete allontanarvi perché non è possibile". Il sacerdote, però, non si scompone e procede senza battere ciglio con i riti di conclusione. La scena dell'irruzione, ripresa da uno dei pochi fedeli che si trovava - come tutti i presenti - al di fuori della chiesa, è probabilmente la dimostrazione più evidente di quanto abbia ragione papa Francesco nel dire che "non sempre le misure drastiche sono buone".
In questo caso, infatti, il parroco della chiesa laziale ha messo in atto ciò che il Santo Padre ha auspicato nell'omelia pronunciata a Santa Marta in occasione del suo settennato di pontificato: "Preghiamo perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio". I banchi della parrocchia erano totalmente vuoti e l'ingresso ostruito, quindi quella di ieri era a tutti gli effetti una celebrazione senza la partecipazione dei fedeli, in ottemperanza alle disposizioni emanate dal vescovo competente, monsignor Gino Reali, e dalla Cei che ha dovuto accogliere le misure fortemente restrittive del decreto governativo.
Queste stesse regole, inoltre, consentono di lasciare aperte le chiese, dunque non si spiega perché il parroco - che pure si è premurato di scoraggiare l'ingresso dei parrocchiani nell'edificio - avrebbe dovuto chiudere le porte proprio nel momento della Santa Messa domenicale celebrata privatamente. Detto questo, ma possiamo davvero immaginare un sacerdote che interrompe la liturgia per cacciare pochi fedeli arrivati sul sagrato e visibilmente ben distanti l'uno dall'altro? Grazie alle porte aperte, piuttosto, don Mimmo è riuscito ad adottare una misura in grado di non lasciare da solo il santo popolo fedele di Dio, così come giustamente richiesto da papa Francesco venerdì scorso.
Non erano dello stesso parere, però, i due uomini della polizia municipale che non hanno tenuto conto della sacralità del luogo e del momento e nemmeno del codice penale che punisce il turbamento di una funzione religiosa. Qualora fossero stati di fronte ad una violazione così eclatante del decreto governativo sull'emergenza Coronavirus, avrebbero potuto limitarsi a richiamare i fedeli presenti sul sagrato e ad invitarli a tornare a casa. Era davvero necessario irrompere nella casa del Signore in stile Fbi durante la Santa Messa ed interromperla proprio dal luogo più sacro della chiesa, dietro l'altare ai piedi del tabernacolo?
Non risparmiando nemmeno una pubblica umiliazione al povero sacerdote, redarguito in piena diretta streaming e costretto a vedersi sottrarre il microfono per un annuncio di servizio che si poteva benissimo comunicare a voce, fuori, ai pochi presenti. Un plauso va, dunque, a don Mimmo che, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza, ha lasciato le porte della sua chiesa aperta e nonostante il comprensibile turbamento per l'intervento così indelicato dei vigili, ha continuato imperterrito a portare a compimento la Messa.
La triste scena di Marina di Cerveteri ci richiama, sì, le terribili testimonianze di quanto avveniva ed avviene dove i cattolici sono clandestini, ma al tempo stesso - dandoci un po' di speranza - ci riporta alla mente i racconti su quei coraggiosi preti che, durante la Seconda Guerra Mondiale, continuavano a celebrare fino alla fine anche mentre dal cielo cadevano bombe sulla loro testa.
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