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Nelle narrazioni che circolano sui media e sui social, la strategia con cui l'Italia sta affrontando l'epidemia di SARS Covid-19 è la migliore possibile, un modello ovviamente invidiato e ammirato come tutto il resto del Made in Italy. Evidentemente si tratta di una delle forme di training autogeno messe in atto nel Paese, dai flash mob sui balconi ai video con canti patriottici che inondano whatsapp.
Un bagno di sano realismo viene invece da un articolo apparso ieri sul New York Times, a firma di Jason Horowitz, esperto di affari italiani. L'analisi di Horowitz è lucida e impietosa. L'Italia ha commesso una serie di terribili errori strategici nella modalità di affrontare l'epidemia. L'Italia è il Paese in Europa dove l'epidemia si è di gran lunga più diffusa, e questo dovrebbe fare riflettere. Dove il numero di morti ha addirittura superato quello della Cina, che ha un numero di abitanti 25 volte superiore. E' evidente che qualcosa non ha funzionato.
Per certi versi si potrebbe dire che l'Italia sta diventando sì un modello per gli altri Paesi, ma come esempio di come non si debba procedere. In primo luogo, come avevamo fatto già notare un mese fa, al deflagrare dell'epidemia, l'Italia è arrivata impreparata al conflitto, come spesso è accaduto nella sua storia. Molto è stato detto ma molto resterebbe ancora da dire sulla insufficienza di posti letto, in particolare di terapia intensiva, sugli esigui organici medici ed infermieristici, persino sulla scarsità di approvvigionamenti di materiale di prevenzione. Insomma, in termini bellici, è come se il Governo avesse mandato allo sbaraglio i suoi soldati e ufficiali, come quando nella Prima Guerra Mondiale i generali mandavano i reparti al massacro fuori dalle trincee. [...]
MANCATI CONTROLLI E SUCCESSIVA MILITARIZZAZIONE DEL PAESE
Il tutto è stato poi ulteriormente complicato e peggiorato dalle scelte del Governo Conte. Horowitz punta il dito sull'attendismo, sulle incertezze di azione, sulla scarsa comprensione del fenomeno, sui mancati controlli sui rientri dalla Cina, motivati dall'intento di non apparire razzisti, di non fare regali alle forze politiche di opposizione.
Se l'esperienza italiana ha qualcosa da insegnare, fa notare Horowitz, è che le misure per isolare le aree colpite e per limitare gli spostamenti della popolazione devono essere adottate immediatamente, messe in atto con assoluta chiarezza e fatte rispettare rigorosamente. In Italia non è avvenuto. Si è guardato sì al modello draconiano cinese, che ha funzionato (se ha funzionato) perché applicato da una delle più terribili dittature del pianeta, ma lo si è applicato in modo confuso e rabberciato. Lo si è applicato in mezzo alle contraddizioni che venivano dai leader stessi del principale partito di Governo, con la ormai tristemente celebre gita-aperitivo a Milano di Zingaretti mentre i contagi da Covid avevano già raggiunto i 400 casi e i decessi superavano la decina.
Intanto il virus si era da tempo diffuso, silenziosamente, a causa della mancanza di controlli sugli arrivi dalla Cina. Ormai sappiamo che ben prima del celebre caso uno di Codogno il virus era già attivo da settimane in Italia, trasmesso da persone asintomatiche e spesso scambiato per un'influenza stagionale. Si è diffuso in Lombardia, la regione italiana con le più forti relazioni commerciali con la Cina.
CHIUDERE LA BOCCA ALL'ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
Nei suoi tentativi di interrompere il contagio, adottati uno per volta, isolando prima le città, poi le regioni, quindi chiudendo il Paese in un blocco intenzionalmente permeabile l'Italia si è sempre trovata un passo indietro rispetto alla traiettoria letale del virus. Ora ci troviamo con dei provvedimenti restrittivi che sono pari se non superiori a quelli della Cina, mentre la curva epidemica continua inesorabilmente a salire. [...]
La tragedia che l'Italia sta vivendo rappresenta un monito per gli altri Paesi europei e per gli Stati Uniti, dove il virus sta arrivando con la stessa velocità.
Molti Paesi hanno già attuato campagne di informazione e di sensibilizzazione della popolazione, hanno provveduto ad approvvigionarsi di materiali di protezione, stanno potenziando gli ospedali, stanno cercando di attuare misure di contenimento del contagio senza ricorre ad eccessive limitazioni delle libertà.
Compresa la libertà di pensare e di ragionare: l'ultima pensata di Conte sarebbe infatti quella di chiudere la bocca all'Istituto Superiore di Sanità, colpevole agli occhi del Premier di avere sottolineato che una percentuale molto significativa delle vittime andrebbe classificata come "morti con Covid" e non morti per Covid. Una distinzione epidemiologicamente importante, perché ci dice che per molte di queste persone l'infezione virale è stata una sorta di colpo di grazia in una situazione clinica già compromessa da altre patologie.
Conte non vuole questo tipo di comunicazione, perché oggi è funzionale alla sua strategia che la gente abbia il terrore della malattia, per non uscire da casa, che è la sua unica arma attualmente a disposizione per la prevenzione di nuovi casi.
Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "Senza la libertà non c'è neanche tutela della vita" fa notare che nei commenti dei politici e degli opinionisti così come nelle reazioni della gente, c'è la percezione che quella contro il coronavirus sia una guerra che giustifica la sospensione delle libertà. È un vecchio dibattito che ha visto impegnati molti filosofi, ma la realtà ci dice che quando il potere toglie la libertà non garantisce nemmeno la sicurezza e la vita.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 20 marzo 2020:
Ormai è sulle bocche di tutti: "siamo in guerra!". Si vive quella del coronavirus come la situazione di eccezione di cui si sono occupati i principali teorici della politica, primo fra tutti Carl Schmitt. Secondo lui la sovranità politica consiste nel decidere del caso di eccezione, come nel caso di una guerra dove l'opposizione amico/nemico raggiunge il suo proprio livello politico. L'eccezione si configura tale quando, data la sua urgenza, per fronteggiarla bisogna azzerare tutte le norme, le prassi e le garanzie. Quando vengono meno la norma e il diritto, allora il potere manifesta pienamente se stesso: decide al di fuori del diritto ma la sua decisione ha valore giuridico. Di più: per Schmitt il potere non consiste solo nel decidere davanti allo stato di eccezione, ma anche nel decidere quando ci sia uno stato di eccezione. Senza un potere così inteso, la società viene travolta dalla guerra civile che, secondo Schmitt, è il male peggiore di ogni male.
Non so se Schmitt sarebbe d'accordo a considerare la pandemia in corso come situazione di eccezione paragonabile alla guerra. La gente che dice "siamo in guerra!" la pensa però così, pur non essendo Carl Schmitt. Vengono sospese le norme e le libertà personali in molti ambiti, crescono i poteri esecutivi su quelli legislativi, aumentano i Decreti del Presidente del Consiglio, il Parlamento è in quarantena, spesso la Costituzione non viene rispettata, si attuano soprusi senza nessuna protesta come nel caso della sospensione della messa a Cerveteri, si invita a non usare i contanti per motivi sanitari e intanto si controlla l'uso del denaro.
La percezione della gente è di una situazione di eccezione, un caso estremo con il relativo scontro tra sicurezza e libertà. La vecchia dicotomia di Thomas Hobbes torna di attualità, con la sua sottostante visione pessimistica dell'uomo: l'umanità prova paura davanti a se stessa e solo il potere come decisione la può salvare.
Ernst Jünger, nel suo Trattato del ribelle, metteva in luce il pericolo di una organizzazione capillare della sanità da parte del sistema politico, al quale contrapponeva il valore della libertà: "Le fabbriche della salute, con medici assunti e mal retribuiti, le cui cure sono assoggettate al controllo burocratico, sono sospette: da un giorno all'altro - e non soltanto in caso di guerra - potrebbero assumere un volto inquietante". Ipotizzando l'estensione del potere oltre la sanità, "non è impossibile che proprio da tali schedari ordinati in modo esemplare - egli diceva - escano i documenti che serviranno a internarci, a castrarci o a liquidarci".
Il caso di eccezione chiama in causa la decisione del potere come ultima istanza, ma essendo che al potere spetta anche decidere quando si verifica il caso di eccezione, questo potrà essere individuato domani in un'altra emergenza e domani l'altro in un'altra ancora. Alla fine, per dirla ancora con Jünger, "nessuno di noi può sapere oggi se per caso domani mattina non si troverà a far parte di un gruppo dichiarato illegale".
Se Jünger teme il sovranismo davanti alla situazione di eccezione, altri sottolineano le difficoltà della democrazia parlamentare a far fronte alle emergenze. Per Donoso Cortes quella borghese è una "classe che discute" (clase discutidora), che ritiene che la società umana sia un grande club, che la verità nasca da sola attraverso la votazione e che, alla richiesta di scegliere tra Cristo e Barabba, risponderebbe istituendo una commissione per esaminare la faccenda. Contro il decisionismo del potere di Schmitt, la democrazia liberale è attendista e irrisoluta: incapace di fronteggiare l'eccezione.
Queste reminiscenze libresche - fatti i debiti aggiornamenti - ci aiutano a capire i valori in gioco oggi in tempo di coronavirus: siamo disposti a rinunciare alla libertà per avere la sicurezza? Vogliamo sottometterci ad un dispotismo decisionista per avere salva la vita?
La sospensione della libertà per la decisione di un potere sovrano davanti ad una situazione di eccezione non è accettabile: chi infatti può dire quando si sia veramente in questa situazione? Se a stabilirlo è il potere, allora la libertà non è solo ridotta per l'emergenza coronavirus ma potenzialmente eliminata. In questo modo si finirebbe per auspicare anche da noi un sistema cinese che però, come tutti sanno, non garantisce la sicurezza, toglie solo la libertà.
Se la pandemia si allargasse ulteriormente si richiederebbe un potere politico mondiale che decidesse per tutti della situazione di eccezione, dal quale però non si tornerebbe più indietro e che certamente non si dimetterebbe dopo la fine del pericolo sanitario, con tutti i costi conseguenti. Quando il potere toglie la libertà non garantisce nemmeno la sicurezza e la vita, nonostante ciò non emerga dai testi di Hobbes, mentre si lascia intravvedere da quelli dello sconsolato Schmitt. Quando per paura si mette la vita in mano al potere in cambio della libertà, non si conserva la vita, dato che la si mette a disposizione, e si perde la libertà.
Per conservare la vita è necessaria la libertà. Junger scriveva che il volto meccanico del sistema sanitario può essere usato a buon fine "se viene fuori la sostanza umana del medico". Se da un lato si deve resistere al decisionismo del potere come risposta alla situazione di eccezione, dall'altro bisogna ripulire il nostro concetto di libertà e di democrazia, ancora troppo legate ad una "clase discutidora", inefficiente e produttrice di rischio. Ma non bisogna rinunciare alla libertà.
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