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Provvedimenti, decreti, ordinanze, Dpcm, protocolli: da oltre 100 giorni la macchina della burocrazia italiana emana articoli, commi, faq senza posa nel tentativo di arginare il coronavirus e alleviare le sue conseguenze sociali ed economiche. E per farlo sempre meglio, la politica si avvale di esperti, task force, commissari, straordinari e non, che richiedono una montagna di carte, un mare magnum di procedure che però alla fine producono scarsi o punto risultati.
323 ARTICOLI DI DPCM E DL CON ALLEGATI E FAQ
Secondo i calcoli del Sole24Ore dal 22 gennaio, giorno in cui il ministero della Salute fece uscire la prima circolare sul virus dal titolo "Polmonite da nuovo coronavirus in Cina", governo e regioni hanno emanato in tutto 763 atti. Più di sette al giorno così suddivisi: 224 sono i provvedimenti centrali di Palazzo Chigi, Protezione civile e commissario straordinario per l'emergenza, 539 gli atti regionali, 22 i decreti legge (9) e i famosi Dpcm, i decreti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte (13), 323 gli articoli complessivi di detti dl e dpcm senza considerare una trentina di allegati e altrettante Faq per chiarire che cosa c'è scritto, 127 atti ministeriali tra circolari, ordinanze, decreti e direttive. Ma non finisce qui, perché tra Stato e Regioni sono state istituite ben 50 task force per un totale, tra incarichi e strutture per l'emergenza, di 1.460 esperti.
UNA MONTAGNA DI CARTE INUTILI
È chiaro che politica e burocrazia hanno attinto a tutto il campionario disponibile e la mole degli atti non deve stupire. Quando un governo decide che deve normare anche chi sono i congiunti, fino a quale grado di parentela è concesso un incontro (ma non un abbraccio), quando calcola la distanza esatta che deve intercorrere tra la residenza di una persona e la montagna o il mare per decretare chi può recarvisi e chi no, quando come nota il giornale di Confindustria rispolvera «i vecchi codici Ateco per dire chi apre e chi no, senza contare che le filiere produttive mescolano le aziende ben oltre le schematiche definizioni ferme al secolo scorso», quando discrimina tra le celebrazioni che si possono svolgere in chiesa, quando stabilisce che i parchi sono aperti ma lo scivolo e l'altalena no, che il bar può alzare la saracinesca ma solo se vende sigarette, quando inventa cinque o sei autocertificazioni, sempre più complesse, quando alla seconda settimana di maggio non ha ancora emanato il decreto Aprile, come potrebbe non produrre una montagna di carte inutili?
IL VIRUS DELLA BUROCRAZIA NON DÀ RISULTATI
Per il Sole24Ore è il «virus della burocrazia», che sarebbe anche accettabile se producesse buoni risultati, ma che invece paralizza tutto. Basta guardare i dati: su 241.079 richieste di cassa integrazione in deroga, hanno ricevuto l'assegno solo 32.622 persone. Per avere i prestiti da 25 mila euro garantiti al 100 per cento dallo Stato servono dai quattro ai 21 documenti, ecco perché al 30 aprile ne avevano fatto richiesta solo lo 0,9 per cento delle aziende intitolate ad averlo. A questo disastro si aggiunge quello delle mascherine, il cui costo è stato definito da un'ordinanza della Protezione civile a 50 centesimi e che sono introvabili nel 65 per cento delle farmacie di Roma, Milan, Torino, Genova e Napoli. Chi le ha, le vende al triplo del prezzo fissato dal governo non si sa ancora con quale criterio.
Con il moltiplicarsi delle ordinanze e delle disposizioni, aumentano anche le interpretazioni, le ambiguità, gli errori formali e di sostanza. È il virus della burocrazia, un «moloch che tutto divora e tutto rende vischioso».
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