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PROCESSO A DARWIN
L'ideologia con pretesa di oggettività è accusata di incongruenze, falsità e luoghi comuni
di Maurizio Stefanini
 

Avremo un paragone valido se pensiamo alla paleoantropologia come a una 'moviola' che ricostruisce le fasi di una partita di calcio, supponendo che disponiamo di pochi fotogrammi, che questi inquadrino solo un piccolo frammento dell'immagine e che per giunta siano stati sfigurati dal tempo (tempo che, in questo caso, si conta in migliaia, centinaia di migliaia e milioni di anni). In simili condizioni di lavoro gli studiosi devono mescolare il talento e le cognizioni di molte scienze con il curioso atteggiamento di chi si vede obbligato a indovinare fatti remoti guardando in una magica sfera di cristallo".
La frase non è originale dell'autore, ma del sacerdote, fisico e filosofo della scienza, lo spagnolo don Mariano Artigas. Da lui citata, riassume però bene il tipo di problemi su cui si basa questo "Processo a Darwin". Che poi non riguarda se non marginalmente il pensatore ottocentesco, pur oggetto di un'altra fulminante battuta ripresa da Artigas: "in effetti Darwin non ha dimostrato la verità delle sue teorie, ma è stato convincente". E cura di distinguere anche tra la microevoluzione, "osservazione empirica delle diversità qualitative e quantitative esistenti tra le specie viventi derivante dalla combinazione diversa degli stessi caratteri", e macroevoluzione, "l'affermazione secondo cui in una specie vivente compaiono organi e funzioni nuove prodotte da una nuova e più complessa informazione genetica".
Una precisazione che rimanda poi a quell'altra tra il dato dell'evoluzione, l'ideologia dell'evoluzionismo, e tutti i tentativi che sono stati fatti per presentare come scienza quella che è appunto un'ideologia.
Insomma, il processo è piuttosto al darwinismo: ideologia con pretesa di oggettività che è accusata di "incongruenze, falsità e luoghi comuni". "Affermare categoricamente l'assoluta validità delle teorie dell'evoluzionismo darwiniano e neodarwinista, basandosi sul fatto che metterle in discussione significa essere antiscientifici per definizione, è la prova peggiore che la ragione umana possa dare di sé", scrive Respinti. Per questo, prima ancora di dibattere sulla biologia il libro affronta dunque il nodo epistemologico: la definizione di metodo scientifico da Aristotele a Lakatos, Feyerabend e Kuhn, con attenzione particolare alla contrapposizione tra Galileo e Popper. E nel finale chiama a giudizio gli stessi lettori.

 
Fonte: Il Foglio, 8 dicembre 2007