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«Io sono anni che non parlo più del Corano ai miei alunni di 11-12 anni, anche se dovrei farlo in base al programma. Lavoro in una zona dove gli studenti ricevono una educazione religiosa fondamentalista. L'imam è molto aggressivo. Le prime volte che ne ho parlato i giovani sono insorti con veemenza, dicendomi che avevo torto, che il Corano ha sempre ragione e che prevale sulla legge penale». Così dichiara al Figaro Jeanne, docente di francese in una scuola secondaria del dipartimento degli Yvelines. La paura e la preoccupazione tra gli insegnanti francesi è grandissima dopo la decapitazione di Samuel Paty a Conflans-Sainte-Honorine.
Il percorso che ha portato all'attentato è emblematico. Il 5 ottobre il professore di storia e geografia tiene una lezione sui «limiti della libertà di espressione» nella sua scuola di Bois d'Aulne, mostrando due caricature di Maometto realizzate da Charlie Hebdo. Per impedire che i suoi alunni musulmani si offendano, preannuncia ciò che sta per mostrare, consigliando a chi non se la sente di guardare di uscire per un momento dalla classe o di chiudere gli occhi, per poi rientrare in occasione della discussione.
Il 6 ottobre, la madre di un'alunna protesta con la preside della scuola, sostenendo che la figlia «è stata confinata nel corridoio perché musulmana». Il 7 ottobre il padre di un'alunna denuncia «un clima d'islamofobia» nella scuola e chiede la sospensione di Paty. Brahim Chnina, la cui figlia frequenta la classe terza (equivalente alla nostra seconda media), parla su Facebook dell'immagine mostrata dal professore e invoca una «mobilitazione contro l'insegnante». Chnina, la cui sorellastra si è unita allo Stato islamico nel 2014, invita tutti a denunciare il professore al Collettivo contro l'islamofobia in Francia (Ccif).
IL RADICALIZZATO, I VIDEO E LA DECAPITAZIONE
La preside dell'istituto inizia a ricevere minacce e il 7 ottobre Chnina denuncia Paty per «diffusione di immagine pornografica». Anche la figlia denuncia il suo professore, nonostante non fosse in classe il giorno in cui aveva mostrato le vignette. L'8 ottobre Chnina, accompagnato da Abdelhakim Sefrioui, inserito dai servizi segreti nella lista dei soggetti radicalizzati, va dalla preside a protestare e la sera pubblica un video nel quale rivela il nome di Paty e incita i musulmani «a dire basta».
I sindacati degli insegnanti chiedono alle autorità di ritirare il video, sapendo che «Paty rischia grosso», e chiedono al sindaco di Conflans-Sainte-Honorine di proteggere il docente. Il 12 ottobre Chnina, insieme alla figlia e a Sefrioui, pubblicano un secondo video spiegando i fatti e chiedendo la sospensione di Paty. Lo stesso giorno il professore, insieme alla preside dell'istituto, sporge querela per diffamazione. Il 16 ottobre Paty viene pugnalato e decapitato da un rifugiato russo 18enne di origine cecena, Abdhoullakh Anzorov, poi ucciso dalla polizia.
Ieri i francesi sono scesi in piazza contro il terrorismo islamico e per ricordare Paty. Molti insegnanti hanno denunciato il «clima di tensione» in classe ogni volta che si parla di islam, testimoniando i frequenti insulti agli ebrei e a Israele e gli attentati terroristici giustificati dagli alunni, che spesso gridano in classe «Allahu Akbar». Come testimoniato a Tempi da Bernard Ravet, direttore per tre anni di tre collège pubblici nelle banlieue di Marsiglia e autore del libro Principal de collège ou imam de la République?, le scuole francesi sono troppo spesso completamente in mano agli islamisti e le autorità si disinteressano a un fenomeno che «mette in serio pericolo le fondamenta dello Stato».
Anche Dominique Schnapper, che dal 2018 presiede il Consiglio dei saggi della laicità, voluto dal ministro dell'Educazione nazionale, Jean-Michel Blanquer, ha riconosciuto che «da quindici anni ci rifiutiamo di guardare in faccia la crescita dell'islam radicale nelle scuole».
DOPO LE LACRIME E GLI HASHTAG, COSA FAREMO?
È il segreto di Pulcinella che il direttore del Figaro, Alexis Brézet, ha voluto sottolineare ancora una volta nel suo editoriale:
«Per due settimane Samuel Paty è stato oggetto di un complotto metodicamente ordito, attentamente organizzato. Dei militanti islamisti l'hanno preso di mira, perseguitato, calunniato. Tra loro un genitore ma anche un attivista islamista, schedato, membro di un "consiglio di imam di Francia". I membri di questa piccola banda l'hanno denunciato alla gerarchia. L'hanno segnalato alla polizia. Hanno gettato il suo nome in pasto ai social media. Hanno postato dei video ingiuriosi nel sito di una moschea. Non avranno armato direttamente la mano dell'assassino, ma hanno senza dubbio ispirato il suo gesto.
"Non passeranno!", si dice. Ma la triste verità che tutti sappiamo è che sono già passati. L'influenza islamista pesa sulla scuola. Secondo un recente sondaggio, il 40 per cento degli insegnanti si "autocensura" su alcuni temi per non creare incidenti. La verità è che questi islamisti sono ben organizzati: hanno nel Ccif la loro vetrina ufficiale, hanno i loro negozi, le loro imprese, i loro brillanti avvocati, i loro attivisti, i loro predicatori che riempiono le moschee, i loro soldati e sicari. Possono contare sui partiti e i media.
E adesso? E domani? Dopo le lacrime e gli omaggi, dopo i grandi discorsi e le manifestazioni, dopo gli hashtag, che cosa succederà? Continueremo con i compromessi davanti alla minaccia islamista o ci risveglieremo, opponendo alla guerra che ci è stata dichiarata un'altra guerra? Questa è la sola domanda che dobbiamo farci.
Va bene la legge contro il separatismo ma questi islamisti non sono separatisti, sono conquistatori che vogliono sostituire, territorio per territorio, le nostre leggi con la sharia. Bisogna chiudere tutte le moschee dove si insegna a odiare la Francia. Espellere immediatamente gli imam stranieri che predicano l'odio. Espellere i radicalizzati stranieri e impedire ai francesi schedati come radicalizzati di essere assunti in impieghi sensibili. Bisognerà infine affrontare il tema dell'immigrazione incontrollata. Ci vuole coraggio, come quello che ha avuto Paty».
Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "Perché la Francia non riesce a espellere i migranti irregolari radicalizzati" spiega che la Francia espelle appena 20 mila migranti all'anno a fronte di 100 mila domande d'asilo rigettate.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 26 ottobre 2020:
Si aspettava solo la conferma ufficiale ed è arrivata puntuale venerdì: Abdullakh Anzorov, il giovane che ha decapitato il docente francese Samuel Paty, aveva legami con i jihadisti in Siria. Il 18enne era un rifugiato con regolare permesso di soggiorno fino al 2030, ma in reazione all'ennesimo attentato terroristico è cresciuta in Francia l'insofferenza verso l'incapacità del paese di espellere gli immigrati (radicalizzati o meno), soprattutto quando non sono in possesso di un permesso di soggiorno.
Un'indagine del Figaro mostra quanto sia legalmente difficile espellere gli ospiti irregolari. In un articolo per il quotidiano francese Didier Leschi, direttore generale dell'Ufficio francese dell'immigrazione e dell'integrazione (Ofii), spiega che anche quando l'Ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi (Ofpra) rigetta una richiesta d'asilo, è sempre possibile effettuare ricorso alla Corte nazionale del diritto d'asilo (Cnda), potendo contare in automatico sull'assistenza di un avvocato pagato dallo Stato. Il ricorso impedisce di ricondurre alla frontiera il richiedente quando questo proviene da un paese che non è ritenuto «sicuro».
L'Ofpra respinge ogni anno circa 100 mila richieste di asilo ed è compito dei prefetti, una volta bocciato il ricorso, emettere l'ordine di espulsione (Oqt). Questo può essere però contestato entro un mese e in ogni caso il soggiorno clandestino in Francia non è più un reato dal 2012. Anche chi viene ritrovato senza documenti non può essere arrestato ma detenuto in un centro amministrativo per un massimo di 90 giorni.
Spesso l'espulsione viene bloccata perché il richiedente presenta all'Ofii una richiesta di interrompere la procedura a causa di un precario stato di salute. Fino al 2016, quando le richieste erano gestite dalle aziende sanitarie locali, l'80 per cento delle richieste veniva accettato. Dal 2016, da quando cioè le richieste vengono gestite direttamente dall'Ofii, il tasso è diminuito al 50 per cento.
In aggiunta, resta il problema dei paesi d'origine, che possono sempre rifiutarsi di far rientrare l'immigrato, insieme ai «problemi di sicurezza sull'imbarco di passeggeri recalcitranti su un aereo». La pandemia complica tutto: i paesi d'origine richiedono che gli immigrati siano in possesso di un tampone negativo. «Il tampone però non può essere fatto con la forza. Chi si rifiuta deve essere obbligato con l'intervento della giustizia. Che però non sempre interviene».
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