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Muammar Gheddafi, leader della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista, di malefatte alle sue spalle ne ha parecchie. Dicono che si sia ravveduto. Più che altro pare che sia diventato più furbo. Lui proclama di essere ora amico dell’Italia ma, da bravo mercante, tiene continuamente la partita aperta, malgrado la barca di quattrini che ha ottenuto: si presenta da noi con una divisa militare da operetta su cui spicca la foto di un eroe libico anti-italiano, tanto per far capire che basta un minimo sgarro e lui rovescia il tavolo. Difatti ha spiegato che, per tener chiusi i rubinetti dell’immigrazione, bisogna pagare, pagare e pagare. Nel suo felice paese pochi giorni fa è morto, dopo sette anni di prigionia, Fahti Eljahmi, dissidente libico colpevole di aver chiesto la libertà di parola. Gheddafi accetta le scuse italiane per il periodo coloniale ma non si scusa di aver cacciato 35 mila italiani e tutti gli ebrei libici espropriandoli di ogni cosa. Anzi, a dimostrazione che non c’è alcun pentimento, la Libia, in quanto presidente del famigerato Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, ha promosso l’ignobile conferenza contro il razzismo di quest’anno a Ginevra, detta Durban II perché ha rinnovato i fasti anti-israeliani e antisemiti di quella svoltasi a Durban otto anni fa.
Possiamo capire che le ragioni della politica non sono solo morali e che, nella condizione pietosa dell’Occidente, e dell’Europa in particolare, tocchi fare qualche salamelecco a un individuo che può chiuderci una buona parte dei rubinetti energetici e tenerci sotto il ricatto di una valanga migratoria. Si può capire ma a condizione di turarsi il naso e sperando che l’inchino – consolandosi col fatto che anche Obama ha piegato la schiena – non si trasformi in un prostrarsi sul pavimento. Però è un po’ troppo sentir fare in Senato una predica che equipara Reagan a Bin Laden e sentirsi dire: “Fatevi i fattacci vostri, anche il Senato romano ha eletto Giulio Cesare dittatore”. Ci voleva Andreotti per apprezzare un discorso simile.
Tuttavia, almeno le istituzioni culturali dovrebbero seguire un metro diverso dalla politica. Aver pensato di conferire la laurea honoris causa in giurisprudenza a un simile dottore dovrebbe indurre la facoltà universitaria che l’ha pensato a darsi come insegna una faccia rossa di vergogna. Ma è stato anche umiliante che la stessa lezione, con tanto di giustificazione del terrorismo, sia stata impartita nell’Aula Magna dell’università “La Sapienza”. Viene da chiedersi: dove sono quei 67 docenti che riuscirono a impedire la venuta del Papa affermando che una “carica politica o religiosa” nell’università non ha diritto di parola se non a certe condizioni? Non credo che abbiano taciuto perché pensavano che il leader avesse da proporre alla comunità accademica e agli studenti una lezione magistrale di fisica dello stato solido, di filologia romanza o di biologia molecolare. Se fossero stati almeno furbi avrebbero chiesto la revoca della visita per far la figura di persone imparziali. Ma è probabile che loro amino Gheddafi, il rivoluzionario combattente per la libertà dei popoli, quanto detestano Benedetto XVI, il reazionario. I loro amici studenti dell’Onda hanno contestato il leader non perché è un dittatore – a casa propria ognuno è libero di fare quel che gli pare, no? – ma perché ha accettato il pacchetto sicurezza del governo Berlusconi… A parte uno studente che ha chiesto quando ci saranno libere elezioni in Libia, nell’Aula Magna della Sapienza le voci dei difensori di Galileo e della libertà di pensiero non si sono sentite. È proprio un mondo alla rovescia.
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