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L’Italia respinge le carrette del mare. L’Italia riporta in Libia i clandestini che tentato di raggiungere Lampedusa. Il fatto ha sollevato polemiche: l’Unhcr (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha criticato l’operato italiano, alcuni uomini di Chiesa hanno biasimato il governo Berlusconi, sia il presidente della Repubblica sia quello della Camera hanno espresso le loro perplessità, l’opposizione ha aspramente polemizzato con la maggioranza. Eppure, anche all’interno del centrosinistra, qualche voce che ha invitato a tenere presente la complessità del fenomeno si è levata. E non è un caso che a essersi smarcati maggiormente dalla linea del loro partito, il Pd, siano stati Piero Fassino e Francesco Rutelli. A diverso titolo, in questi anni, si sono occupati del problema e, con onestà, hanno riconosciuto che occorre, innanzitutto, riconoscere alcuni dati di fatto. Primo: i respingimenti non se li è inventati il ministro degli Interni Roberto Maroni. Fassino ha ricordato che «io, come esponente del governo Prodi tra il ’96 e il ’98, ho firmato decine di accordi di riammissione con i paesi dei Balcani e del Mediterraneo, che prevedono il diritto dell’Italia a rimpatriare nei paesi da cui erano venuti i clandestini e l’obbligo di questi paesi di riprenderseli. Il respingimento alle frontiere è un mezzo previsto dagli accordi internazionali, e applicato anche dai governi del centrosinistra». Fu sempre la sinistra nel ’99 a fermare gli scafisti – anche con sistemi ben più cruenti dei respingimenti – che arrivavano dall’Albania e fu Giuliano Amato – come ha ricordato al Messaggero l’ambasciatore libico Hafed Gaddur – a firmare con la Libia il patto di collaborazione per contrastare l’immigrazione clandestina. Trattato che prevedeva i respingimenti? «Certo – ha dichiarato Gaddur – in quale altro modo avremmo dovuto impedire ai barconi di arrivare a Lampedusa? Sicuramente non a colpi di mitra». D’altronde, come ha rilevato Franco Bechis su Italia Oggi, «quel che sta avvenendo oggi fra lo scandalo generale è la normalità da anni». Solo tra il 2005 e il 2008, «l’Unione Europea ha attuato circa 150 mila respingimenti di immigrati clandestini». E, sebbene in queste ultime settimane l’Italia sia stata presentata come un paese “xenofobo”, i dati dicono il contrario. Siamo uno Stato assai accogliente con gli immigrati ed è strano che accuse di inospitalità non siano rivolte ad altri paesi come la Spagna zapateriana che detiene il record 2007 di dinieghi (644.989), un’enormità rispetto alla “xenofoba” Italia (9.394).
TRAFFICI PIANIFICATI A TAVOLINO
Il secondo fatto, ricordato da Rutelli, è che quello dei clandestini è un business in mano alle organizzazioni terroristiche (a Panorama, Rutelli ha paventato il nome di al Qaeda). Rutelli, alla guida del Copasir, il comitato per la sicurezza della Repubblica, ha di recente presentato un rapporto sull’immigrazione clandestina. Il rapporto, redatto grazie alle informazioni d’intelligence, è solo in parte, per ovvi motivi di sicurezza, consultabile on line. Al capitolo 3 (“Immigrazione clandestina”) vi si legge che esiste un «interesse dei trafficanti ad incoraggiare le partenze anche ingenerando false aspettative nei migranti; la presenza, nelle aree di transito dei clandestini, di situazioni collusive che favoriscono la strutturazione di snodi logistici; la crescente invadenza di organizzazioni criminali “multinazionali” nella gestione del traffico». Secondo i nostri servizi segreti i barconi in partenza dall’Africa sono in mano a organizzazioni di terroristi che «costringono il clandestino ad espatriare con la coercizione e il raggiro» e le cui mosse sono studiate a tavolino («la rilevata strategia dei trafficanti di pianificare arrivi in massa per congestionare i centri di accoglienza»). Non è un business da poco. Secondo Antonio Laudati, a capo della Direzione affari penali del ministero della Giustizia, esperto di mafie transnazionali, il «viaggio di ognuno di questi disperati frutta fino a trentamila dollari». Un malaffare sotto gli occhi di tutti, anche di Fabrizio Gatti, inviato dell’Espresso in Libia e Tunisia, che ha scritto di «guadagni spaventosi: per ogni euro investito nel viaggio dei pescherecci, i trafficanti ne guadagnano milletrecento». E due operazioni dei Ros in marzo hanno rivelato che le organizzazioni criminali, rispetto a qualche anno fa in cui si limitavano a gestire il “viaggio”, oggi si occupano anche della fuga dei clandestini dai centri di accoglienza e del loro inserimento nella malavita o nel mondo della prostituzione. Addirittura, si sono verificati casi di rapimenti di clandestini: i criminali, dopo averli aiutati a sbarcare in Italia hanno chiesto alle famiglie d’origine un riscatto per liberarli.
L’IPOCRISIA SUL DIRITTO D’ASILO
Si è detto e scritto che il problema maggiore della politica dei respingimenti è l’impossibilità di riconoscere l’asilo politico a chi ne avrebbe diritto. Vero, anche se, come ha detto Fassino, non bisogna essere ipocriti, «sappiamo bene che invocare immediatamente il diritto d’asilo anche quando non se ne ha titolo è un mezzo cui ricorrono molti clandestini». Lo ha ribadito anche l’ambasciatore Gaddur: «La richiesta d’asilo è diventata una scusa. Perché un uomo che ha diritto allo status di rifugiato dovrebbe imbarcarsi su un gommone e rischiare la vita in mare se può presentarsi all’ambasciata italiana a Tripoli e chiedere asilo?».
Resta, comunque, il problema: respingere la nave con cento immigrati anche se a bordo vi sono cinque o sei asilanti, oppure accoglierli tutti e poi riportarne 95 da dove sono partiti? La soluzione migliore, caldeggiata dall’Italia, è creare agenzie sui territori di partenza o di transito, nei consolati o nella ambasciate, dove poter compilare e lì verificare la domanda d’asilo. è questa la linea del governo che, se non viene rovinata dalle intemperanze verbali di alcuni suoi ministri, può risultare assai gradita anche all’Onu e alla Libia.
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