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Nel mio ambiente lavorativo (ho 26 anni e sono un tecnico informatico) ci sono tante brave persone, impegnate e oneste, che frequentano anche la chiesa. Purtroppo però si esprimono spesso in modo volgare, facendo uso continuo di certe "parolacce". Ho provato più di una volta a far notare loro la "stonatura" di questo linguaggio, soprattutto a chi tra loro si dice cristiano, ma rispondono che certe parole "scappano", o che il mondo è cambiato, il linguaggio si è evoluto e non è più il caso di prestare a certe parole la stessa attenzione che ci prestavano i nostri nonni... Effettivamente la società di oggi ha per così dire "depenalizzato" le parolacce... le sentiamo anche sulla bocca dei politici, nei TG, a volte le usano persino i preti nelle omelie (per usare un linguaggio più "giovanile"!). Le mie domande a questo punto sono due. La prima, forse banale, è: dire parolacce è peccato? Io continuo a evitarle, ma ormai ogni giorno ignoro quelle dei miei colleghi di lavoro (tanto lo sanno come la penso). Secondo voi manco per omissione?
Agostino R.
RISPOSTA DELLA REDAZIONE
Caro Agostino,
ti ringraziamo della domanda che ci dà modo di affrontare una questione che forse ai più può apparire banale e secondaria, ma non lo è affatto. Magari più persone si ponessero l'interrogativo che tu ti poni! Invece si è oggi troppo leggeri e superficiali nelle proprie parole e nei propri atteggiamenti.
Per risponderti, dobbiamo riflettere su chi è il cristiano - come in qualche modo anche tu hai intuito, indirizzando i tuoi richiami soprattutto a coloro che si dicono tali. Il cristiano non è solo e semplicemente chi è stato battezzato, o chi entra in chiesa la domenica. Il cristiano è colui che, per il Battesimo, è stato innestato in Cristo e attraverso la vita di grazia (alimentata dai Sacramenti della Confessione e Comunione e custodita con la fuga dal peccato) si mantiene effettivamente unito a Lui, come ci ha spiegato il Signore con una bellissima immagine: «Io sono la vite e voi i tralci» (Gv 15,1). Come il tralcio trae dalla vite la sua linfa vitale, così il cristiano trae il suo modo di pensare, agire ed esprimersi dallo "spirito di Cristo". È come se, in pratica, il cristiano avesse la mente, il cuore e la bocca innestati nella mente, nel cuore e nella bocca del Signore. Pensiamo a come parlava Gesù. Nel Vangelo vediamo che Gesù usava, quando occorrevano, espressioni anche molto vivaci e dure per riprovare il comportamento ipocrita degli scribi e dei farisei, ma non è mai scivolato nella volgarità. Ripugna anche il solo pensarlo. Come nella mente del Signore non vi era alcuna immondezza, così ugualmente nei suoi gesti e nelle sue parole era perfettamente limpido e regolato, coerentemente con quanto Lui stesso ha insegnato: «La bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12,34). Se questo è vero, come è verissimo, allora non ci si può scusare dicendo che "certe parole scappano". La realtà, se la si esamina più seriamente, è che le volgarità scappano solo a chi ne ha il cuore pieno. Niente più della parola manifesta chi siamo e cosa abbiamo nella nostra mente. Vengono così "svelati i pensieri di molti cuori" e, in alcuni casi, c'è davvero da arrossire!
Sentiamo invece cosa dice lo Spirito Santo per bocca degli autori ispirati. San Paolo esorta i cristiani: «Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano» (Ef 4,29). E ancora: «Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità, cose tutte sconvenienti» (Ef 5,3-4).
Per san Giacomo vale lo stesso discorso: «Se qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana» (Gc 1,26). E ancora: «Se uno non manca nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo» (Gc 3,2). L'apostolo qui aggiunge una verità preziosa: chi è pulito e casto nel parlare, è pulito e casto anche nel resto della propria vita.
Sarà anche vero che il mondo è cambiato e si è abbassato il livello di decenza del linguaggio comune, ma il criterio ispiratore della condotta dei cristiani non è stato mai quello di omologarsi al mondo.
Alla luce di tutto ciò, le volgarità e le parolacce (il cosiddetto turpiloquio) restano un'offesa fatta a Dio, e quindi un peccato, anche se in genere non eccedono il peccato veniale. Per questo debbono essere bandite dalla bocca di un cristiano. D'altra parte quando uno cerca di coltivare la presenza e l'amicizia del Signore, certe parole gli provocano fastidio anche al solo sentirle.
Hai fatto molto bene a richiamare più volte i tuoi colleghi. È chiaro anche che non puoi insistere ogni giorno, e per il tuo silenzio non manchi di omissione. Bisogna infatti tenere presente la distinzione molto importante tra precetti morali positivi (quelli che comandano di fare una determinata cosa) e precetti morali negativi (quelli che la proibiscono). I primi obbligano sempre, ma non in ogni momento. I secondi obbligano sempre e in ogni momento. Nei primi rientra la correzione fraterna e pertanto non si è tenuti a farla sempre (bisogna esaminare le circostanze, se sia producente o controproducente). Nei secondi rientrano per esempio i precetti che proibiscono di bestemmiare o di commettere atti impuri. Questi precetti obbligano sempre e non vi è mai alcuna dispensa.
Caro Agostino, conservati puro nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, nei desideri e il tuo esempio sarà un richiamo costante per tutti. Il Signore ti ha messo in mezzo ai tuoi colleghi perché comprendano che non è necessario dire volgarità per essere ascoltati e interessanti. Forse, benché non te lo dicano, nel segreto del loro cuore ti ammirano. Ricordati di quello che diceva il grande Santo di cui porti il nome, ricavando l'affermazione dalla Sacra Scrittura, e cioè che tutti i beni ci vengono insieme con la purezza (cf. Sap 7,11).
Grazie ancora per averci dato modo di affrontare questo tema così importante per tutti, ma soprattutto per i cristiani chiamati a rendere testimonianza della vita in Cristo con le opere e con le parole, come si addice ai santi (cf. Ef 5,3).
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