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Sembrava troppo bella per essere vera, la decisione presa dalla Uefa, di negare lo stadio 'arcobaleno' a Monaco di Baviera, in occasione di Germania-Ungheria, di ieri sera. Il motivo era quello di evitare riferimenti politici di alcun tipo. Così, stavamo già tirando un sospiro di sollievo perché finalmente "c'è chi dice no".
Peraltro, la proposta era partita dal sindaco Dieter Reiter, che avrebbe voluto sostenere il movimento 'LGBT'. Anzi, a dire il vero, il sindaco tedesco, con il suo gesto, avrebbe voluto esprimere una presa di posizione precisa, contro il governo di Budapest, reo, secondo certa poco imparziale narrazione, di aver approvato leggi discriminatorie nei confronti degli omosessuali.
In realtà, l'Ungheria di Orbán ha approvato con una maggioranza schiacciante un pacchetto di norme che vietano la pubblicità LGBT, sui media e nelle scuole. Quindi, il no della Uefa, in questo caso suonava particolarmente significativo. Eppure è accaduto che, alle prime proteste la UEFA, pur mantenendo ferma la decisione di non colorare di arcobaleno lo stadio, tuttavia, un mezzo passo indietro l'ha fatto, tingendo di tutti i colori il proprio logo, apposto ad un comunicato stampa, in cui ha risposto alla pioggia di critiche così: "Oggi la UEFA è orgogliosa di indossare i colori dell'arcobaleno. È un simbolo che incarna i nostri valori fondamentali, promuovendo tutto ciò in cui crediamo: una società più giusta ed egualitaria, tollerante con tutti, indipendentemente dal loro background, credo o genere. Alcune persone hanno interpretato la decisione della UEFA di rifiutare la richiesta della città di Monaco di illuminare lo stadio di Monaco con i colori dell'arcobaleno per una partita di EURO 2020 come "politica". Al contrario, la richiesta stessa era politica, legata alla presenza della squadra di calcio ungherese allo stadio per la partita di questa sera con la Germania. Per la UEFA, l'arcobaleno non è un simbolo politico, ma un segno del nostro fermo impegno per una società più diversificata e inclusiva".
Ma noi aggiungiamo che, non si capisce perché si sarebbe dovuto illuminare lo stadio con i colori arcobaleno, mostrando sensibilità verso una sola forma di discriminazione. E tutte le altre? E perché non tenere conto delle donne discriminate o dei cristiani perseguitati o di chi subisce atti di razzismo? Siamo alle solite: l'atteggiamento discriminatorio viene, come al solito, proprio da parte di chi dice di voler combattere le discriminazioni e pretende, seppure implicitamente ma, con atti concreti (come questo, ad esempio) di creare una sorta di classifica, persino tra le discriminazioni. Una pretesa arrogante, insomma che tende a ribadire che, in teoria tutti sono uguali, ma nei fatti, ci sono alcuni più uguali degli altri.
Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Manuela Antonacci, prosegue la sua lucida analisi con l'articolo seguente dal titolo "Ecco come il calcio si era inginocchiato ai diktat arcobaleno già prima di Euro2020".
Ecco l'articolo completo pubblicato su Provita & Famiglia il 24 giugno 2021:
Anche il mondo del calcio, ormai, sembra essere entrato nel mirino LGBT.
La Federcalcio tedesca, già dalla seconda partita del girone di Euro2020 disputata dalla Germania nella scorsa settimana, aveva reso noto che l'Uefa ha dato il suo consenso perché il portiere della nazionale, Manuel Neuer, indossasse la fascia di capitano con i colori dell'arcobaleno. Cosa che si è ripetuta anche ieri sera, in occasione dell'ultima partita del girone tra Germania e Ungheria, la stessa partita della discordia con il no all'illuminazione arcobaleno dello stadio ospitante, l'Allianz Arena di Monaco di Baviera.
Come appare ben chiaro, il suo, vorrebbe essere un modo per esprimere solidarietà nei confronti della comunità LGBT+, durante il mese di giugno, il Pride Month. Ma si tratta di un gesto davvero arbitrario, se si pensa che, se non si usa la fascia di capitano standard, in realtà si va incontro a provvedimenti. O almeno di solito, tranne appunto quando in mezzo c'è la dittatura lgbt.
Non solo, davvero due pesi e due misure, rispetto a quanto per esempio è accaduto a Gennaro Gattuso, qualche settimana fa che, dopo aver lasciato la Fiorentina, non è stato assunto dal Tottenham, perché i tifosi, quando sembrava tutto fatto, si sono scatenati sui social contro di lui, con l'hashtag #NoToGattuso.
Il motivo? Gattuso sarebbe accusato di omofobia e razzismo e tutto sarebbe dovuto ad una frase pronunciata da lui, addirittura nel 2008, in cui semplicemente affermava: "Il matrimonio in chiesa deve essere tra uomo e donna, anche se siamo nel 2008 e ognuno fa quello che vuole. Io credo nell'istituto della famiglia da quando sono piccolo e per qualcuno che ha fede il matrimonio omosessuale è molto strano".
Parole in cui non si prende di mira nessuno, ma si esprimono semplicemente le proprie convinzioni, riguardo ad una tematica diventata, però, terreno di scontro per chi vuol imporre non solo un'identità, ma anche una conseguente idea della famiglia fluida e, pur essendo completamente sganciata dal reale e della scienza, come se fosse l'unica e sola possibile e pensabile, pena essere segnati col marchio d'infamia di "omofobo" e subirne tutte le conseguenze del caso. Diktat ancora più grave se pensiamo che l'ex calciatore si era espresso in particolare sui matrimoni in chiesa, ribadendo quindi la sua fede e quella di milioni (e miliardi) di cristiani.
Eppure c'è, fortunatamente, anche chi lo difende. Carolina Morace, allenatrice di calcio e dirigente sportiva, che non ha fatto mai mistero della propria omosessualità, ha fatto un post su Twitter (proprio il social su cui più si sono scatenati i tifosi del Tottenham) in italiano e in inglese, schierandosi dalla parte dell'ex allenatore di Milan e Napoli: "Io e Rino Gattuso abbiamo lavorato insieme al Milan e non abbiamo mai smesso di scambiarci idee e competenze professionali. Gattuso è contro ogni forma di discriminazione ed è una persona dalle doti rare. Chi afferma il contrario non lo conosce". Chiaro no?". Ogni tanto, dunque, una voce logica e lontana dai pressing ideologici, ma purtroppo per il panorama internazionale di Uefa e del mondo del calcio non basta.
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