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Lo ricorderemo come il Ddl Zac per via della cosiddetta tagliola (non esaminare la legge articolo per articolo e procedere a scrutinio segreto) che ha affossato il testo di legge dell'on. Alessandro Zan. Quali i motivi di questo insperato successo?
Come causa prossima potremmo ovviamente indicare la volontà di Lega e Fratelli d'Italia di impedire il varo di questa legge. Ma la vittoria in Parlamento la dobbiamo soprattutto a quelle decine di militi ignoti, ma non certo ignobili, che nel segreto dell'urna hanno votato con la coscienza libera dai diktat di partito. «Avevamo 149 voti, contati e controllati», dichiara Loredana De Petris di Leu: «Quindi c'è stata una defezione di 18 voti, 16 sono andati al centrodestra, 2 astenuti. Le assenze non sono state rilevanti. Il problema è di chi dice una cosa e poi ne fa un'altra». A parte che a noi non pare un problema dire una cosa sbagliata e poi farne una giusta (sempre meglio dire e fare cose giuste, ma va bene anche così), il voto segreto ha permesso di mettere in evidenza quanto ordinariamente i parlamentari non siano davvero liberi nel loro lavoro, bensì debbano sempre rispondere agli ordini di partito. Più che rappresentanti del popolo, deputati e senatori sono rappresentanti di partito.
Torniamo però alle cause della morte del Ddl Zan e domandiamoci: quanto ha pesato la reale convinzione che il Ddl Zan fosse una legge intrinsecamente iniqua e quanto invece i calcoli politici? La risposta, crediamo, non può che essere articolata. Dunque, da parte di Fratelli d'Italia l'opposizione era scontata, d'ufficio potremmo dire. Per la Lega, e non solo per lei, vi sono anche finalità strategiche dato che, come è noto, questo governo presenta un arcobaleno - è proprio il caso di dirlo - di anime diverse. Oltre a questo motivo, tra i leghisti e tra coloro che non hanno seguito le direttive di partito vi sono certamente alcuni, se non molti, che hanno trovato il Ddl Zan criticabile su più fronti.
L'ERRORE DI CHI SI È OPPOSTO ALLA LEGGE ZAN
Però qui s'inserisce un distinguo importante. Pensiamo che la quasi totalità di coloro che hanno votato contro il Ddl Zan non ritengano che il testo di legge sia inaccettabile, bensì solo modificabile. E infatti molti hanno proposto modifiche al testo e la Lega, lo ricordiamo, propose anche un proprio disegno di legge sulla cosiddetta omofobia. E qui sta l'errore. Il problema di tutte queste proposte riguarda la ratio comune ad esse: la legittimazione dell'omosessualità e della transessualità (la prima è già avvenuta con la Legge Cirinnà sulle unioni civili e la seconda con la disciplina normativa sulla cosiddetta rettificazione sessuale). In buona sostanza, è doveroso tutelare la persona in quanto tale da minacce, insulti, aggressioni, ingiuste discriminazioni, al di là del fatto che sia eterosessuale o omosessuale, credente o non credente, bianco o nero, etc. E questo il nostro ordinamento giuridico già lo fa. Invece tutte le proposte volte a combattere l'"omotransfobia" - da quella di Alessandro Zan a quella di Matteo Salvini - elevano a bene giuridico due condizioni - l'omosessualità e la transessualità - che invece sono condizioni intrinsecamente disordinate. E l'ordinamento giuridico non può considerare un bene giuridico ciò che è disordinato per la natura umana.
Dunque, questa è una vittoria a metà. Chi ha votato contro lo ha fatto per calcoli politici e/o perché persuaso che il nucleo della proposta fosse anche buono però infettato da derive estremiste liberticide, non perché convinto che la legge fosse essenzialmente ingiusta, ma solo accidentalmente ingiusta. In conclusione, bene che la legge non sia passata, sebbene non per le motivazioni migliori.
Di certo non avremmo potuto chiedere ai nostri politici di far meglio dato che il consesso sociale è fortemente gay friendly. Il Parlamento, in questa materia, ha rispecchiato quasi fedelmente il sentimento diffuso pro-Lgbt. Abbiamo scritto "quasi" perché per il popolino molto probabilmente il Ddl Zan doveva passare. La differenza di giudizio tra il cittadino e il politico con buona probabilità l'hanno fatta il calcolo strategico-politico e un esame attento sotto il profilo delle libertà costituzionalmente garantite. Sicuramente invece riflessioni di carattere morale non hanno spostato l'ago della bilancia al momento del voto.
FESTEGGIAMENTI... AMARI
Ci possiamo anche concedere adesso 24 ore di festeggiamenti, ma da domani si torna in barricata almeno per due motivi. In primo luogo, gli attivisti Lgbt ci possono ancora far del male con le armi del diritto anche senza Ddl Zan: i reati di diffamazione, calunnia, gli artt. 604 bis e ter del Codice penale vengono (ab)usati abitualmente per zittire l'avversario. Le vicende giudiziarie di Silvana De Mari, Simone Pillon e Massimo Gandolfini insegnano in tal senso a non abbassare la guardia. In poche parole, queste norme in mano a giudici particolarmente sensibili alla causa Lgbt si possono trasformare in tanti Ddl Zan.
In secondo luogo la volontà della maggioranza dei partiti di modificare il testo dell'on. Zan ci fa comprendere che a breve si tornerà in Parlamento con un testo nuovo sull'"omofobia" (c'è chi addirittura vuole riesumare il vecchio Ddl Scalfarotto). Insomma non sarà un testo pessimo come quello dell'on. Zan, ma solo meno peggiore. Questo non ci deve far dormire sonni tranquilli perché, lo ripetiamo, nessuna legge sull'omofobia è accettabile. Inoltre, anche se passasse una legge soft sull'"omofobia", in breve tempo la sua applicazione nelle aule giudiziarie diventerà hard e col tempo la stessa legge potrebbe modificarsi in peius (Legge 40 docet).
Ciò detto, però, il motivo di maggior speranza intorno a questa vicenda viene non dai parlamentari, ma dai pro-family. È indubbio che l'associazionismo cattolico si sia risvegliato su questo tema e abbia dato battaglia lungamente e con convinzione, marciando sotto il vessillo del rifiuto del disegno di legge senza se e senza ma. Non crediamo che tutte queste ottime energie siano riuscite ad orientare più di tanto il voto di qualche parlamentare, ma di certo hanno illuminato le menti di molti cattolici e le hanno consolidate nel bene, nonostante la Conferenza episcopale italiana volesse una legge frutto solo del compromesso tra visione cattolica e visione laica, proposta ben sintetizzata dalle parole del presidente della stessa Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, che nel maggio scorso dichiarò: "Più che affossata, la legge andrebbe corretta".
La famosa nota verbale consegnata dalla Santa Sede al Governo italiano sui rischi che il Ddl Zan non rispettasse gli accordi del Concordato, seppur lodevole, si inserisce però in questa strategia minimalista dei vertici della Chiesa italiana. Strategia invece, come ricordavamo, non sposata da una certa fetta di associazionismo cattolico, lo stesso che, si spera, ingaggerà battaglia contro il referendum dei radicali sull'eutanasia.
Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "Sulla Zan serviva dialogo... la Chiesa che piange il ko" mette in luce lo scandalo di Avvenire, il quotidiano della Cei, che in nome del dialogo avrebbe preferito vedere approvata la legge Zan, anche se un po' mitigata.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 29 ottobre 2021:
"Abbiamo vinto!": il sollievo di associazioni e singoli cattolici impegnati a bloccare il disegno di legge Zan sull'omofobia, che avrebbe introdotto ulteriormente - dopo la legge Cirinnà - l'ideologia gender nel sistema giuridico italiano, è comprensibile. Il disegno di legge, però, non è stato affossato perché ritenuto ingiusto secondo le motivazioni di chi ora esulta. Motivazioni, in buona sostanza, di diritto naturale, ma per una serie di convergenze di atteggiamenti politici che hanno fatto girare la ruota in questo senso.
La vittoria non è stata culturale, mentre alla lunga contano veramente solo le vittorie culturali, quelle ottenute perché alcune idee sono diventate patrimonio comune. Se così fosse stato, potremmo dormire sonni tranquilli per il futuro dopo l'affossamento dello Zan, mentre invece sappiamo che lo scontro è solo rimandato, che c'è stata una battaglia vinta, ma la guerra è tuttora in corso. Da qui a quando essa riprenderà, sarà sempre sulla cultura politica che si dovrà insistere.
Da questo punto di vista, la lunga battaglia contro il disegno di legge Zan è stata condotta da una piccola avanguardia, decisa e agguerrita ma comunque piccola e comunque avanguardia. La cultura prevalente nell'Italia di oggi, quella dominante più o meno in tutti i partiti, ed anche quella presente nell'apparato ecclesiale hanno ben altre idee, molto lontane dalle concezioni di famiglia e di doveri e diritti di chi ha animato e condotto la lotta allo Zan. I cattolici che hanno lottato lo hanno fatto nella solitudine e perfino nel disprezzo dell'apparato ecclesiale ad ogni livello, ma soprattutto ai livelli superiori.
Disprezzo che si nota benissimo, per esempio, nell'editoriale di ieri del direttore di Avvenire Marco Tarquinio. I cattolici che hanno lottato contro l'approvazione del disegno di legge Zan, sono chiamati da Tarquinio "odiatori e menatori seriali", "seminatori di slogan a buon mercato", autori di "violenza verbale". L'archiviazione dello Zan "non è un bel giorno per la società italiana": così sostiene Tarquinio secondo cui c'è stata come una scatola spaccata a metà, da una parte gli "ideologi dell'indifferenza", ossia i sostenitori dell'equivalenza delle relazioni sessuate, e dall'altra, appunto, gli "odiatori e menatori seriali".
Questo quadro, però, è solo nella testa di Tarquinio, il quale, anteponendo dogmaticamente il dialogo ai contenuti, non riesce ormai più a concepire che una legge possa essere irrimediabilmente ingiusta e che su di essa l'unico dialogo possibile con chi invece la sostiene sia la competizione culturale e politica. Lamentare che in questa occasione è mancato il dialogo, come fa appunto Tarquinio, significa negare l'esistenza di leggi talmente ingiuste da interdire moralmente lo stesso dialogo, se non nella versione della disputa, dato che il dialogo non può mai farsi a proposito del male, ma solo nel bene. Il disegno di legge Zan era una di queste leggi, la piccola avanguardia l'aveva capito, i media dell'apparato ecclesiale no.
Anche monsignor Paglia, in un suo commento alla vicenda, dimentica che ci sono situazioni in cui bene e male si contrappongono frontalmente. Purtroppo la Chiesa del dialogo non riesce più a vederle e infatti Paglia dice che quel disegno di legge bastava correggerlo, si augura che venga ripresentato e che, sbolliti gli animi, si possa ancora dialogare su di esso. Paglia sottolinea la gravità dell'omofobia - che in realtà è pressoché inesistente nel nostro Paese - ma non sottolinea per niente la ben più rilevante gravità del riconoscimento politico della relazione omosessuale, che disarticola e corrode i legami matrimoniali, familiari, la figliazione, l'educazione e così via. Paglia parla di sovranità del popolo in democrazia e del bisogno di tener conto dei "diritti di tutti": ma dove trova simili concezioni? Non certo nella Dottrina sociale della Chiesa. Anche lui si dissocia dalla piccola avanguardia e si lamenta per l'occasione perduta.
Quando si lotta in pochi, il merito aumenta. E quindi onore al merito a quanti, specialmente tra i cattolici, si sono impegnati. Però bisogna essere consapevoli che non si avrà l'appoggio della Chiesa organizzata, delle strutture diocesane e pastorali quando si intraprendono simili battaglie. Bisogna farle sulla propria pelle e questo è stato ampiamente dimostrato dalle vicende che si sono concluse con l'affossamento di un testo di legge intrinsecamente iniquo che l'apparato ecclesiastico voleva limitarsi a modificare qua e là.
Il giorno precedente la votazione in Senato che ha condannato a morte il disegno di legge Zan, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva inviato una lettera a Pro Vita & Famiglia, precisando una cosa che purtroppo non precisa nulla, ossia che sulla questione gender i cattolici devono rifarsi al Magistero. La cosa era ovvia già prima della precisazione. I problemi stanno altrove. Spesso su queste cose il magistero stesso non si rifà al magistero precedente.
Spesso succede che davanti alle scelte concrete il magistero viene dimenticato e chi lo vuole ricordare e applicare viene chiamato "odiatore e menatore seriale" dai nemici interni, fedeli al magistero. Spesso, adducendo motivi pastorali di apertura, il magistero loda e si relaziona con personaggi e gruppi che fanno l'esatto opposto di quanto esso aveva insegnato. Sulla questione omosessualità tutto questo si è verificato in molte occasioni e possiamo realisticamente ritenere che - a meno di cambi repentini stabiliti dalla provvidenza - avverrà anche nel prossimo futuro.
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