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C'era una volta Giovanni Paolo II e la sua lezione sull'Europa che doveva imparare a respirare a due polmoni, quello Occidentale e quello d'Oriente. Il papa polacco, il cui ruolo nella caduta del Muro di Berlino è riconosciuto, aveva anche un'idea precisa della cultura europea e delle sue radici cristiane, di quell'unità che doveva sorgere dalla comprensione profonda di un'unità spirituale.
Per lui era «necessario» e «urgente» procedere quindi a un «avvicinamento tra il patrimonio spirituale dell'Oriente cristiano e la cultura occidentale, in una "Europa di sangue, di lacrime, di lutti, di rotture, delle crudeltà più spaventose"» (Giovanni Paolo II, Intervento al simposio "Ivanov e la cultura del suo tempo", 28 maggio 1983) .
Questa lezione, oggi lo scopriamo con plastica evidenza, mentre le truppe russe avanzano in Ucraina, è stata disattesa. Non perché questo scontro abbia una sua primaria radice religiosa, le questioni sul tavolo sono soprattutto profane, ma in quanto le due culture non hanno saputo riscoprire davvero le proprie comuni radici.
I due polmoni sono gravemente malati. Attaccati da un virus che li ha resi bolsi, rattrappiti. Il livello di ossigeno spirituale è sotto la soglia di attenzione da tempo, purtroppo. Ad Est il virus si chiama nazionalismo, ad Ovest relativismo, due malattie che hanno rialzato il muro; più difficile da abbattere di quello fatto di mattoni.
Oggi le chiese, a partire da quella cattolica, hanno ridotto il loro peso spirituale e di conseguenza anche la loro forza diplomatica. La giornata di preghiera per la pace che papa Francesco ha istituito per il prossimo 2 marzo, inizio della Quaresima, è un gesto importante verso quanto sta accadendo in Ucraina, ma l'uomo non sa più pregare. Anche la pandemia, in un certo senso, lo ha mostrato: l'uomo non comprende più l'importanza di assalire il Cielo per implorare le grazie. I due polmoni sono malati.
Come insegnava Giovanni Paolo II, «l'uomo, icona di Dio, è colui che, in nome di tutta la creazione teofora, dice sì a Dio», allora «l'uomo riconciliato con se stesso e con tutta la creazione può così ricostituire l'essenziale comunità, la "Sobornost" degli uomini». La guarigione dei due polmoni spirituali non è laterale, ma essenziale ad una vera pace, ad una vera sobornost.
Nota di BastaBugie: Anna Bono nell'articolo seguente dal titolo "Preghiamo per tutte le 27 guerre nel mondo" ricorda che sono tantissime le guerre che devastano il pianeta, non solo quelle di cui parla la televisione.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 28 febbraio 2022:
In tutte le diocesi italiane si prega per la pace. [...] Sarebbe giusto che queste iniziative, pensate per l'Ucraina in guerra, diventassero un appuntamento periodico, che ogni mese, ad esempio, i fedeli fossero invitati a momenti di preghiera per la pace, magari di volta in volta ricordando una delle tante, tantissime guerre che devastano il pianeta, combattute in decine di paesi: 27 secondo una stima aggiornata al 2021 e limitando il conto ai conflitti maggiori.
Sono quasi tutti conflitti interni a uno stato, tra eserciti nazionali e milizie armate - separatiste, jihadiste, antigovernative... - oppure tra gruppi antagonisti, per lo più su base etnica o religiosa (non di rado entrambe le cose), che si contendono il controllo di territori, di risorse, dell'apparato statale. La guerra più lunga in corso è quella tra clan in Somalia, iniziata nel 1991. Ha smembrato il paese, con la secessione di Somaliland, Puntland e altre regioni, e l'occupazione di vasti territori a sud della capitale Mogadiscio da parte del gruppo jihadista al Shabaab, autore di continui attentati nella capitale. La più recente è quella in Etiopia, dichiarata contro il governo nel novembre del 2020 dal Tplf, il partito dell'etnia tigrina, nel tentativo di riprendere il controllo dello stato perso nel 2018, dopo averlo detenuto con mano durissima per quasi 30 anni.
Forse le guerre più "dimenticate", una espressione usata non sempre a ragione, sono quelle in Yemen e in Myanmar. In Yemen si combatte dal 2014, da quando cioè il movimento sciita Houthi si è rivoltato contro il governo sunnita, con una escalation a partire dall'anno successivo in seguito all'intervento di Arabia Saudita e di altri stati sunniti in favore del governo. In Myanmar il conflitto attuale segue il colpo di stato militare del febbraio del 2021. È in corso una repressione durissima della rivolta armata organizzata dalle Forze di difesa popolare e che si salda con i gruppi di resistenza etnici.
L'elenco delle guerre è lungo. Molte si combattono in Africa dove il solo jihad è presente in almeno dieci paesi con gruppi affiliati ad al Qaeda o all'Isis ed è in grado di compiere attentati in molti altri.
Oggi, per tentare di mantenere la pace nel mondo, sono attive 12 missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. Dal 1948 ne sono state approvate ben 71. Di quelle attuali, tre sono in Medio Oriente (Golan, Libano e Medio Oriente con sede a Gerusalemme), sei in Africa (Sahara Occidentale, Mali, Sudan, Sudan del Sud, Repubblica democratica del Congo e Repubblica Centrafricana), una in Asia (Pakistan-India), due in Europa (Cipro e Kossovo). Impiegano complessivamente 87.572 uomini messi a disposizione da 121 paesi: 63.889 militari, 7.266 agenti di polizia e 16.457 civili. Il bilancio finanziario per il periodo che va dal 1° luglio 2021 al 30 giugno 2022 è di 6,38 miliardi. Finora nelle 12 missioni in corso sono morte 1.500 persone (ma le perdite in totale, dal 1948, sono 4.161).
È da ricordare anche quanti soldati italiani sono impegnati in missioni all'estero. L'impiego complessivo è di 9.449 militari come consistenza massima e 6.511 come consistenza media, per un totale di 40 missioni: nove svolte in ambito NATO, 12 in ambito Unione Europea, sette in ambito Onu, tre nel contesto della forza multinazionale in Iraq chiamata "coalition of the willing" e le rimanenti esclusivamente nazionali. Nel 2021 il bilancio per sostenere queste missioni militari è stato di 1,25 miliardi di euro. L'Africa è stata la principale destinazione dei militari italiani, presenti in 19 missioni, seguita dall'Europa con 11 missioni e dall'Asia con dieci.
Le perdite in vite umane causate dalla guerra ogni anno sono decine di migliaia - il calcolo per il 2020 è di oltre122mila - molte delle quali civili. Enorme è il numero di persone costrette a mettersi in salvo fuggendo. Secondo l'ultimo rapporto dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, pubblicato nel giugno 2021 e relativo al 2020, i rifugiati, vale a dire le persone che per mettersi in salvo hanno superato i confini dei loro paesi e hanno chiesto asilo, sono 26,4 milioni. I profughi interni, rimasti entro i confini nazionali, sono 48 milioni, a cui si aggiungo 4,1 milioni di richiedenti asilo. Incalcolabili sono altri danni della guerra: perdita del lavoro e di ogni mezzo di sussistenza, famiglie divise, violenze e abusi, bambini arruolati nei combattimenti, decine di migliaia di scuole chiuse, infrastrutture distrutte... è un elenco infinito.
Sempre, non solo quando la guerra si fa vicina, sarebbe buono e giusto pregare per la pace.
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