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LA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA E' SOLO L'INIZIO... MOLTO RESTA DA FARE
Grazie alle tre nomine di Trump la Corte Suprema ha preso una decisione storica eliminando il diritto all'aborto e determinando la chiusura di molte cliniche abortive di Planned Parenthood, ma non ha restaurato il diritto alla vita (VIDEO: Storia della Roe vs Wade)
di Stefano Fontana

La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America che dichiara incostituzionale l'aborto, emanata nella Festa del Sacro Cuore di Gesù, apre provvidenzialmente una nuova epoca nella quale tutti i sostenitori della vita dovranno combattere più di prima: come hanno detto i vescovi degli Stati Uniti, non è la fine di qualcosa ma è un inizio. In questa nuova epoca ci sarà anche il nostro Osservatorio con il suo impegno.
Spesso, davanti ad alcune tendenze perverse dei nostri sistemi politici, così sistematicamente presenti ad ogni latitudine, rimaniamo sconfortati e pensiamo che le dinamiche di morte siano irreversibili perché tanti e troppi interessi materiali e ideologici le alimentano. Spesso parliamo di un "sistema" contro la vita, espressione di una "cultura della morte", come scriveva Giovanni Paolo II, una cultura della morte che sembra corrodere ogni aspetto di bontà e bellezza e fare il vuoto attorno a sé.

IMPOSTARE IL FUTURO SU BASI DIVERSE
Questa sentenza dimostra che questa presunta irreversibilità non esiste. È vero che la storia non può tornare indietro e che quanto è accaduto rimane come accaduto. È così anche per i milioni di bambini a cui è stata strozzata la vita nel grembo delle loro mamme. Però è possibile rileggere il passato e impostare il futuro su basi diverse, di bene anziché di male. È difficile, certo, richiede lotta, impegno e sacrificio, ma non è impossibile. La secolarizzazione, sia religiosa che morale, ossia la corrosione del senso della vita, non è irreversibile, essa dipende dalla volontà umana e dalla Provvidenza divina. Dipende, più precisamente, dalla libertà umana docile alla Provvidenza divina.
La sentenza della Corte suprema non dice la parola fine anche perché da questo momento gli Stati americani non sono più obbligati ad ammettere l'aborto, ma la decisione viene ricondotta agli Stati stessi. Insomma, la sentenza non vieta l'aborto in tutti gli Stati americani. In questo senso non è corretto dire che "rovescia" la Roe vs Wade, la sentenza che nel 1973 aveva imposto l'aborto a tutti gli Stati americani. Quindi di lavoro da fare ne rimane ancora molto negli Stati Uniti.
Ne rimane ancora molto - e forse di più - anche nelle altre parti del mondo, soprattutto nei Paesi europei ultra-secolarizzati dove l'elite di Bruxelles reagirà con forza, come aveva già fatto quando Trump aveva bloccato i finanziamenti pubblici per l'aborto e la UE li aveva aumentati per compensazione. Nei Paesi europei, e specialmente nell'Unione Europea, l'ortodossia ideologica contro la vita è perfino superiore che negli Stati Uniti.

FRUTTO DELLE NOMINE DI TRUMP
Di lavoro da fare ne rimane molto anche nella Chiesa. Nonostante il comunicato del Presidente dei vescovi americani, l'arcivescovo Gomez di Los Angeles, dichiari senza mezzi termini il proprio ringraziamento al Cielo per la sentenza, si sa che su questo argomento i vescovi americani sono molto divisi e che il gruppetto di vescovi sostenuti oggi dal Vaticano sono su posizioni pastoralmente molto possibiliste sui temi della vita, della procreazione e della famiglia. Questa sentenza della Corte Suprema dividerà anche la Chiesa al proprio interno, o meglio farà emergere le divisioni profonde già fino ad oggi esistenti. Dovremo assistere ad un probabilmente triste gioco delle parti, con dichiarazioni via via più sfumate man mano che si scivola verso l'ala più progressista della Chiesa. Non dimentichiamo il grande appoggio dato dalla Chiesa universale alla elezione del presidente Biden e la grande e pregiudiziale avversione a Donald Trump. Con la sua sentenza la Corte suprema, pur non volendolo, dividerà la Chiesa cattolica, ma sarà una differenziazione salutare che bisognerà affrontare con amore per la Chiesa senza rinunciare all'amore per la Verità.
Alla fine a decidere sono state 6 persone contro 3. Non dobbiamo pensare che sia stato il popolo americano ad emanare questa sentenza. Questo esito è stato frutto delle recenti nomine attuate dal presidente Trump. La sua presidenza può essere valutata in molti modi. Non può tuttavia essere negato che si è trattato di una presidenza "di rottura" rispetto al "sistema". Tra i principali motivi di questa rottura c'è stata anche la politica a favore della vita nascente e contro l'abominevole logica di Planned Parenthood, poi ripresa (purtroppo) da Biden e dalla Harris con il sostegno di molti cattolici. Anche questo è un elemento da tenere presente e che non chiude ma apre ad una nuova epoca di impegno. La garanzia la si avrà solo quando il modo di pensare della gente cambierà, quando alla cultura della morte che oggi viene diffusa con ogni mezzo si sostituirà la cultura della vita.

Nota di BastaBugie: Eugenio Capozzi nell'articolo seguente dal titolo "E ora che ne sarà dell'aborto?" chiarisce che la Corte suprema ha preso una decisione dall'enorme significato storico, ma non ha restaurato il diritto alla vita.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 giugno 2022:

Annullando la sentenza Roe vs Wade sull'aborto del 1973 la Corte Suprema degli Stati Uniti il 24 giugno ha preso una decisione dall'enorme significato storico, che costituisce la prima vera inversione di tendenza, a livello giuridico e per i suoi inevitabili effetti politici, rispetto al processo di legittimazione, legalizzazione e assimilazione psicologica della pratica abortiva che da mezzo secolo ha contribuito in misura rilevante a cambiare il volto delle società occidentali.
Nel corso di quel processo in esse si è consolidata, cementata la totale subordinazione della maternità, della paternità, della famiglia e della protezione della vita nascente a beneficio dell'unico, incontrastato principio della volontà individuale di un soggetto adulto in posizione di forza, affermando una visione della vita integralmente relativistica, che oggi viene quanto meno posta decisamente in discussione.
Tuttavia, la sentenza del 24 giugno non si può considerare l'inizio di una strada radicalmente diversa per il diritto e la politica statunitensi e occidentali, nel segno di un abbandono di un approccio relativistico e di un ritorno alla salvaguardia del diritto alla vita in ogni sua fase, a cominciare da quella prenatale.
Infatti, i giudici attuali della Corte hanno confutato l'idea, alla base della Roe vs Wade, secondo cui il diritto di una donna di decidere il destino del nascituro ospitato nel proprio grembo potrebbe essere assimilato, entro certi limiti, a un diritto costituzionale, in quanto fondato su un "diritto alla privacy" che, sebbene non enunciato negli Emendamenti alla Costituzione federale, si dovrebbe considerare implicito, dunque coperto dal 9° Emendamento (i diritti enunciati non ne escludono di ulteriori). Da tale interpretazione la Corte nel 1973 derivava la conclusione che, seguendo il 14° Emendamento (le leggi degli Stati non possono negare i diritti personali stabiliti a livello federale) gli Stati non potevano legiferare in modo da comprimere le decisioni personali delle donne in merito alla loro gravidanza. E' vero che nella sentenza del 1973 la Corte aggiungeva che la libertà di abortire doveva essere sempre contemperata dall'interesse generale alla difesa della vita, e invocava una regolamentazione che limitasse l'aborto legale alla fase iniziale della gravidanza. Ma nei fatti, per la costitutiva discrezionalità della distinzione tra fasi diverse della vita prenatale, quell'appello alla privacy aprì la strada a legislazioni di Stato sempre più permissive, e al contempo espose strutturalmente ogni normazione più restrittiva ai ricorsi alla Corte stessa da parte dei sostenitori dell'aborto.
Ora, la Corte nella decisione sul caso Dobbs v. Jackson Women's Health Organization difende, appunto, una legge di Stato (in questo caso del Mississippi) che consente l'interruzione di gravidanza entro le prime 15 settimane (comunque più dei 90 giorni consentiti dalla legge 194 in Italia) da un ricorso in senso permissivo, affermando che il diritto alla privacy è una base insufficiente a innalzare la libertà di sopprimere un bambino non nato a diritto costituzionale fondamentale. La questione dell'aborto, opina la Corte, è dolorosa e divisiva per la società, su di essa esistono opinioni profondamente divergenti, e quindi essa deve essere lasciata alla procedura democratica, consentendo a ciascuno Stato, nello spirito del sistema federale statunitense, la facoltà di decidere le norme in merito. Conseguentemente, sono compatibili con la Costituzione legislazioni anche molto diverse, dal divieto alla facoltà limitata o estesa di abortire. E verosimilmente gli Stati Uniti saranno, da ora in poi, una mappa dai colori fortemente diversi a seconda che le amministrazioni dei singoli Stati siano repubblicane o democratiche, visto che la posizione in merito all'aborto è uno dei dati che maggiormente caratterizzano l'identità politico-partitica di destra e sinistra.
Insomma, la Corte oggi non contesta la valenza costituzionale del diritto di abortire in nome di un diritto prevalente, cioè quello alla vita, ma semplicemente lascia la questione alle decisioni di questa o quella maggioranza, perché si tratta di un tema, ad avviso dei togati, strutturalmente soggetto a interpretazioni diverse.
Certo, tale decisione si fonda su un dato oggettivo della Carta statunitense: se il diritto all'aborto non è desumibile dal testo costituzionale, nemmeno la proibizione di esso è mai esplicitamente menzionata dagli Emendamenti, benché fino al secondo Novecento nella cultura diffusa la soppressione di un bambino non nato è sempre stata considerata un atto intrinsecamente cattivo, prima ancora che proibito dalle leggi.
Tuttavia, se si risale alle radici del costituzionalismo americano, e di quello occidentale, si può constatare che il diritto alla vita - senza eccezioni, senza clausole - viene posto come il primo diritto naturale alla base della convivenza, sia nel Secondo Trattato sul governo civile di John Locke che, ancor più significativamente, nella Dichiarazione di indipendenza delle colonie del 1776. Può una Corte Suprema degli Stati Uniti, che hanno origine proprio in quella Dichiarazione e la citano come il fondamento di ogni loro istituzione, non considerare questo dato di fatto? Anche se nessun Emendamento cita il diritto alla vita in ogni stadio e condizione, esso potrebbe a buon diritto essere considerato implicitamente vigente molto più di quanto lo sia quello alla privacy. Ma nemmeno questa Corte, formata a maggioranza da giudici di orientamento conservatore e aspiranti alla custodia del senso originale della Costituzione, ha avuto il coraggio di spingersi fino a questo punto.
In ogni caso, lo stesso fatto di affermare l'ovvio, cioè che l'aborto non può essere un diritto fondamentale (come del resto anche in altri paesi liberaldemocratici, tra cui il nostro, dove non è mai menzionato come tale) ha scatenato le reazioni rabbiose e inconsulte della classe politica, dei media e della cultura "progressista" in America e nel resto dell'Occidente: le accuse di "ritorno al Medioevo", di "odio per le donne", e deliri simili. Questo perché l'ideologia relativista radicale egemone tra le élites occidentali, strutturalmente intenta a demolire ogni residuo di umanesimo in favore di aspirazione transumaniste all'onnipotenza, non può sopportare nemmeno che si possano ipoteticamente porre dei limiti alla manipolazione, alla mercificazione, all'umiliazione della vita e della persona umana in nome dei desideri illimitati di pochi privilegiati, e che si possa anche solo tentare di salvare, almeno in parte, la sacralità dell'essere umano.

VIDEO: STORIA DELLA ROE VS WADE

La storica sentenza del 1973 della Corte Suprema statunitense



https://www.youtube.com/watch?v=neTPvvdW6rc

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Titolo originale: La sentenza della Corte Suprema USA non è una fine ma un inizio
Fonte: Osservatorio Card. Van Thuan, 25 giugno 2022