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Le prime pagine dei giornali anglo-sassoni, non solo americani, ieri titolavano sulle nuove rivelazioni della Commissione sui fatti del 6 gennaio, negli Stati Uniti. Dunque, sul processo informale a cui membri del Congresso stanno sottoponendo l'ex presidente Donald Trump, sospettato di aver incoraggiato l'assalto al Campidoglio, il 6 gennaio dell'anno scorso, mentre veniva certificata la vittoria elettorale di Joe Biden. La novità è che l'allora presidente passò le quattro ore della crisi di fronte al televisore della sala da pranzo della Casa Bianca, ignorando chi lo "supplicava" di intervenire per fermare i manifestanti e, anzi, facendo il tifo per loro. «Ha scelto di non agire», ha dichiarato Adam Kinzinger, uno dei due Repubblicani membri della Commissione.
L'ottava sessione della Commissione, questa volta si è dunque concentrata sui "187 minuti di crisi" e sulle azioni dell'ex presidente, passate al vaglio minuto per minuto. La conclusione della Commissione è che Trump non abbia fatto alcuna chiamata alla polizia e a qualsiasi altro servizio di sicurezza, benché consapevole di quel che stava accadendo al Campidoglio. Il tutto perché motivato dal suo «desiderio egoista di restare al potere».
ACCUSE POLITICHE SENZA PROVE
Questo è il messaggio che passa: Trump era sostanzialmente un golpista che non ha accettato l'esito di libere elezioni. La Commissione, voluta dalla presidente della Camera Nancy Pelosi, è un organo parlamentare e non può spiccare sentenze con valore legale, ma le sue conclusioni potrebbero avere un forte impatto sui media, soprattutto in campagna elettorale (si voterà a novembre per le Medio Termine). Ma siamo veramente sicuri di parlare di un'inchiesta vera? O non è piuttosto un'operazione politica?
La scelta delle accuse e le testimonianze sono quelle di un tipico processo alle intenzioni. Nessuno, finora, ha infatti dimostrato l'esistenza di una pianificazione della protesta e poi dell'assalto dei manifestanti più estremisti al Campidoglio. E non c'è alcuna prova che sia stato l'ex presidente a organizzarlo. L'accusa di golpe è già esclusa, perché quello del 6 gennaio non fu un golpe. Fu una protesta, disarmata, violenta quanto si vuole (anche se l'unica vittima fu tra le fila dei manifestanti), ma non un tentativo di espugnare le istituzioni americane, men che meno di prendere il potere. I manifestanti condussero una protesta non autorizzata, sfregiarono la sede del potere legislativo statunitense, dileggiarono, dissacrarono, si ripresero in atteggiamenti provocatori, poi se ne andarono. Non fu un golpe.
UNA COMMISSIONE DI PARTE
Se non fu un golpe e non ci sono prove che fosse una protesta organizzata da Trump, allora cosa resta? Solo il tentativo di distruggere l'immagine dell'ex presidente. Ma anche in questo caso, le accuse e le testimonianze vanno prese con beneficio di inventario. I testimoni sono selezionati da una Commissione che è costituita interamente da Democratici, salvo due membri che però sono dei Repubblicani dichiaratamente contrari a Trump. Non ci sono troppi controlli incrociati sul contenuto delle testimonianze, alcune delle quali dubbie. Cassidy Hutchinson, ex assistente di Trump, ad esempio, aveva descritto un presidente fuori controllo che, nell'auto presidenziale, lottava con il capo del servizio di sicurezza e voleva addirittura catturare il volante, per dirottare il percorso e andare a unirsi ai manifestanti del Campidoglio. Non ci sono conferme dirette su questo episodio ed ex agenti della sicurezza, membri fidati dei servizi segreti, hanno però espresso più di un dubbio: The Beast, l'auto blindata presidenziale ha un divisorio che separa il conducente dai passeggeri sui sedili posteriori. Gli spazi sono ristretti e, solo per la sua mole, Trump avrebbe avuto forti difficoltà a lottare con l'agente per arrivare al volante. I dubbi passano, quel che resta, invece, è l'immagine del presidente canaglia che vuole addirittura dirottare l'auto presidenziale per compiere un ultimo atto sovversivo.
Perché cercare di infangare l'immagine di un ex presidente? Perché potrebbe ripresentarsi nelle presidenziali. E i numeri gli stanno dando ragione. In vista delle elezioni di Medio Termine, per il rinnovo di gran parte del Congresso e dei governatori, la maggioranza schiacciante dei candidati repubblicani che hanno vinto le elezioni primarie, sono quelli sostenuti da Trump, uomini di sua fiducia: ad oggi, sono 147 su 158. L'ex presidente, che comunica solo sul suo social network Truth, sta girando per gli Stati, in comizi molto affollati di pubblico. Ormai è quasi certa la sua candidatura per il 2024, resta solo da capire quando sarà annunciata. La Commissione sul 6 gennaio, che dovrebbe concludere i lavori entro settembre (due mesi prima del voto, forse anche meno) può sbarrargli la strada, soprattutto se riuscisse a trarre delle conclusioni che possano tradursi in un'incriminazione.
Nota di BastaBugie: Luca Volontè nell'articolo seguente dal titolo "L'aborto è la fissa dei Dem USA. Il Paese non li segue" parla del Partito Democratico che ha approvato alla Camera due disegni di legge radicali (aborto fino alla nascita incluso) che però hanno scarsissime possibilità di passare al Senato. Aumenta la frattura con la maggioranza dei cittadini, poco inclini all'abortismo estremo dei Dem e sempre più preoccupati per l'inflazione e le altre difficoltà quotidiane.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 19 luglio 2022:
Non saranno le polemiche e le misure imbracciate dai Democratici a favore dell'aborto, dopo la sentenza Dobbs della Corte Suprema, a far vincere le elezioni del prossimo novembre al partito di Joe Biden. I cittadini americani sono molto preoccupati per l'andamento dell'economia, l'inflazione e le difficoltà che incontrano nella vita di tutti i giorni. A dirlo, con un editoriale, è Politico, la rivista online da sempre al fianco dei liberal americani.
I disegni di legge approvati dalla Camera venerdì 15 luglio, orgogliosamente presentati alla stampa dalla "devota" Nancy Pelosi, non faranno che peggiorare la popolarità dei Dem. Le due proposte mirano a legalizzare l'aborto a livello federale. La prima è il Women's Health Protection Act, che mira a garantire alle donne la possibilità di abortire durante tutti i nove mesi di gravidanza (cioè sino alla nascita) e in tutto il Paese. Una legge simile non era riuscita a passare al Senato né a maggio né a febbraio e, molto probabilmente, non verrà approvata nemmeno stavolta, visto che servono almeno 60 voti. Nel testo votato alla Camera si legge: "Non ci sarà alcun divieto di aborto in uno o più momenti precedenti la possibilità di sopravvivenza del feto, incluso un divieto o una restrizione su una particolare procedura abortiva", e nessun "divieto di aborto dopo la possibilità di sopravvivenza del feto quando, secondo il giudizio del medico curante, la continuazione della gravidanza comporterebbe un rischio per la vita o la salute della paziente incinta".
L'altra proposta di legge, l'Ensuring Access to Abortion Act, intende favorire le donne che si recano in un altro Stato per abortire, se l'aborto è illegale nel loro Stato di origine. Il testo include anche la protezione legale per coloro che assistono le donne nel ricevere un aborto in uno Stato in cui non risiedono e il trasporto da Stato a Stato dei farmaci abortivi che hanno ricevuto l'approvazione della FDA. Ma anche in questo caso si tratta di una misura "bandiera", che difficilmente passerà al Senato. Di contro, nel frattempo, i senatori Repubblicani Rubio, Cassidy e Cramer hanno presentato ottime proposte a sostegno di maternità e famiglie.
Le proposte pro aborto dei Dem rimangono impopolari e, secondo l'ultimo sondaggio Harvard/Harris, l'aborto sino alla nascita è sostenuto solo dal 10% degli americani. La maggioranza dei cittadini, il 72%, è favorevole a divieti sull'aborto almeno dopo le 15 settimane di gestazione e anche il 60% degli elettori Dem sostiene i divieti all'aborto dopo la 15° settimana. Ancora recentemente, un sondaggio condotto dal New York Times/Siena College ha chiesto quali siano i temi più importanti per i cittadini elettori: solo il 13% si dice convinto che l'Amministrazione Biden stia portando il Paese nella giusta direzione. Lo sbandamento dei Dem si sta aggravando anche per la perdita di credibilità presso l'elettorato ispanico e cattolico. Tra la popolazione di origine ispanica si registra un significativo abbandono del Partito Democratico e una chiara preferenza verso i Repubblicani. Una disaffezione marcata emerge anche dal sondaggio commissionato da EWTN News, il più diffuso network cattolico degli USA, e condotto da Real Clear Opinion Research e da poco pubblicato: la maggioranza dei probabili elettori cattolici è insoddisfatta del presidente Joe Biden e dei Democratici al Congresso. Il 45% dei cattolici intervistati afferma di avere un'opinione favorevole di Biden, mentre il 53% afferma di avere un'opinione sfavorevole del presidente (Biden aveva ottenuto il 52% dei voti cattolici nel 2020). L'indice di gradimento dei Democratici al Congresso è passato da positivo a negativo tra i cattolici e anche la percentuale di cattolici che ritiene che la nazione sia "diretta nella giusta direzione" è diminuita rispetto a due anni fa.
I leader pro vita americani hanno duramente criticato le proposte approvate la scorsa settimana dai Dem alla Camera. Sono proposte che certamente fanno perdere voti, anche se potrebbero portare molti finanziamenti nelle casse dei Democratici per la campagna elettorale, come promesso nelle scorse settimane da George Soros e Planned Parenthood. Tuttavia, i sondaggi vedono i Repubblicani in vantaggio dell'8% nei confronti dei Dem; gli indici economici peggiorano sempre di più, con un'inflazione salita al 9,1%, il carburante dell'11,2%, l'energia elettrica del 3,5% (da giugno) e i prezzi alimentari del 10,5% in un anno. Sono tornate le lunghe file ai banchi alimentari di tutti gli Stati Uniti, un fenomeno in crescita.
I Dem che guidano Camera, Senato e Governo pensano però all'aborto e anzi chiedono - con in testa la senatrice Elizabeth Warren - di chiudere ed espropriare i centri di aiuto alla gravidanza in tutto il Paese. Non a caso la "task force per i diritti riproduttivi" del Dipartimento di Giustizia, già descritta sulla Bussola, proteggerà l'aborto e trascurerà la sicurezza dei centri di gravidanza.
Nel frattempo il procuratore generale del Texas ha fatto ricorso contro tutte le misure adottate da Biden e dalla sua Amministrazione nelle ultime settimane, perché "affievoliscono e distorcono" le leggi pro vita del proprio Stato. I Dem continuano a ignorare sia le violenze contro i centri pro life (vedi le ultime gravi minacce in California) sia le difficoltà economiche crescenti di milioni di famiglie, illudendosi che la guerra per l'aborto possa distrarre il popolo dai propri affanni e dalle proprie convinzioni pro vita.
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