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«Motus in fine velocior»: la nota sentenza latina indica quanto un moto divenga più veloce sul suo finire. Mai verità si attaglia meglio a quest'ultimo scorcio del dimissionario governo Draghi, che con un colpo di coda, a sorpresa (o a tradimento, come molti osservatori hanno commentato...), lo scorso 5 ottobre non ha mancato di varare in zona Cesarini ovvero allo scadere della legislatura una «Strategia nazionale» pro-Lgbt con carattere programmatico, valida per un triennio, fino al 2025, in grado quindi con una serie di «azioni vincolanti» di condizionare anche il prossimo esecutivo.
Non è il ddl Zan, ma su altri piani risulta di eguale portata ideologica. Il provvedimento, approvato dal consiglio dei ministri lo scorso 5 ottobre su proposta del ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia (sic!), Elena Bonetti, infatti, prevede sei aree cruciali di intervento: lavoro, sicurezza, salute, educazione e sport, cultura e media, monitoraggio e valutazione. Il che, tradotto, significa "congedo parentale" per le coppie dello stesso sesso, incentivi per le aziende che assumano transgender, norme definite "antidiscriminatorie" nei contratti collettivi, misure di contrasto agli effetti ritenuti "negativi" dei trattamenti di conversione o teorie riparative per i minori Lgbt, percorsi di "educazione" mirati nelle scuole di ogni ordine e grado con tanto di "formazione" per il personale scolastico e ATA, il "doppio libretto" universitario per i transgender, altri corsi di "formazione" per poliziotti ed agenti di pubblica sicurezza, nonché le cosiddette "buone pratiche" anche nelle strutture penitenziarie, contrasto all'utilizzo di "stereotipi" e "pregiudizi" nella rappresentazione mediatica delle realtà Lgbt, accarezzando la perenne tentazione di porre un bavaglio alla stampa e di cancellare de facto la tanto sbandierata libertà d'opinione, infine la prima indagine statistica atta ad individuare eventuali discriminazioni.
L'ULTIMO BLITZ DI DRAGHI
Tutto questo recependo una raccomandazione, la CM/Rec (2010) 5, adottata dal comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, totalmente priva tuttavia di efficacia vincolante. E siccome le parole hanno un peso, meritano attenzione quelle pronunciate dal ministro Bonetti, che ha voluto precisare come sia non "facoltà", bensì «responsabilità del prossimo esecutivo rispettare o meno» tale provvedimento, con evidente tono di sfida e di sberleffo, per giungere poi all'autoincensazione con un chiaro avvertimento: «Avranno la responsabilità di essere all'altezza di un governo, che ha impresso una svolta storica sul fronte della parità?», il che rende chiarissimo l'intento provocatorio e strumentalmente ideologico di questa «Strategia nazionale».
La senatrice di Fratelli d'Italia, Isabella Rauti, su Twitter ha parlato di «ultimo blitz di Draghi», inaccettabile già per «una questione di metodo», ritenendo grave che un governo in carica da due anni non si occupi - come dovrebbe - solo di ordinaria amministrazione, ma «presenti una Strategia nazionale pluriennale alla vigilia della nascita di un nuovo esecutivo e di un nuovo parlamento». Sulla stessa linea anche l'on. Eugenia Roccella, sempre di Fratelli d'Italia, per la quale «il governo ha avuto due anni di tempo. Farla adesso è una trovata pubblicitaria. Non si possono prendere impegni per il governo successivo», che dovrà ora «riprendere in mano tutto da capo», dettando un immediato cambio di registro. Non meno critici i toni, cui è ricorsa l'europarlamentare della Lega, Simona Baldassare, che ha evidenziato come nel piano si prevedano «forzature ispirate alle teorie gender come i permessi parentali alle coppie omogenitoriali in palese contrasto con la legge nazionale che vieta l'utero in affitto o addirittura incentivi a chi assuma cittadini transgender, piegando il principio di uguaglianza davanti alla legge all'auto-percezione delle persone».
UNA BANDIERA ALZATA
Il ministro Bonetti ha definito tale «Strategia nazionale Lgbt» il frutto di un «processo molto condiviso», scritto «in accordo fra diversi ministeri», suggerendo l'idea che, come si usa dire, se la siano cantata e se la siano suonata tra di loro. La condivisione pare sia avvenuta più all'interno dell'esecutivo, di regioni, enti locali e di una sessantina di associazioni (sarebbe davvero interessante consultarne l'elenco...), che dialogando realmente con quella società civile, che, se ascoltata, avrebbe probabilmente portato ad un risultato ben diverso, essendo ben altre ora le urgenze, dai pesanti rincari generalizzati al conflitto in Ucraina e via elencando.
Il cosiddetto movimento per i diritti Lgbt, in Italia, ha fatto molta strada rispetto alla prima manifestazione, organizzata dall'associazione Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano a Sanremo nel 1972, per giungere sino ai Gay Pride attuali, sparsi un po' ovunque per la Penisola. Ciò richiama perfettamente quanto l'intellettuale cattolico Plinio Corrêa de Oliveira previde in una delle sue opere fondamentali, Rivoluzione e Controrivoluzione, circa le due velocità del processo rivoluzionario, «l'una rapida, generalmente destinata al fallimento sul piano immediato. L'altra, abitualmente coronata da successo, molto più lenta». Afferma subito dopo: «Si direbbe che i movimenti più veloci siano inutili. Ma non è vero. L'esplosione di questi estremismi alza una bandiera, crea un punto di attrazione fisso che affascina per il suo stesso radicalismo i moderati e verso cui questi cominciano lentamente a incamminarsi».
Senza poterci qui dilungare in merito (ma ne varrebbe davvero la pena), è possibile porre il provvedimento del governo dimissionario Draghi proprio in questo novero dei «movimenti più veloci», di cui parla il prof. Plinio Corrêa de Oliveira: v'è la speranza che il nuovo governo lo azzeri o, quanto meno, lo disinneschi. Senza illuderci però che ciò corrisponda ad un suo fallimento vero e proprio, perché - riprendendo il brano citato - ha intanto alzato «una bandiera». Sì, ma arcobaleno...
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