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SACERDOZIO AL FEMMINILE? NO, GRAZIE... LO DICO DA DONNA
Cosa accadrebbe se nel confessionale trovassimo una donna? Come minimo si passerebbe dai 5 minuti attuali a una forbice che va tra i 20 minuti e le due ore e mezzo
di Raffaella Frullone
 

Ci sono cose che non passano mai di moda: il tubino nero nell'armadio, la Ferrarelle nei ristoranti di Roma, i richiami alla responsabilità di Mattarella e dire che la Chiesa è maschilista, anzi misogina. «Ma avrà anche dei difetti», mi viene spesso da commentare, ma poi devo aggiungere che è una battuta prima che scatti la pubblica gogna. Ovviamente la maxima culpa è una: la prerogativa maschile del sacerdozio, oltraggio supremo alla parità di genere che ormai è il vangelo dei tempi contemporanei. Qualunque cosa significhi poiché, dato che vorrebbero farci credere che i generi sono 57, un'ipotetica parità sarebbe difficile da calcolare. Comunque le capisco, le femministe dico, o le nonunadimenoquandiste, ma anche le donne che in buona fede sposano questa causa senza comprenderla a pieno, le capisco dicevo, se manca la dimensione verticale e si legge tutto nell'ottica del potere è chiaro che il no al sacerdozio femminile venga visto come un'inspiegabile ingiustizia. Io invece, a San Pietro per il capitolo nazionale del monastero Wi-Fi, mi sono ritrovata a pensare agli scenari apocalittici che si presenterebbero se le donne dovessero, ad esempio, confessare. Non confessarsi, ma confessare, ovvero sedersi in confessionale dalla parte del confessore, cioè colui che ascolta in silenzio. Già qui siamo all'ossimoro, ma proviamo a giocare al "what if".
Intanto partiamo dalla durata media di una confessione: si passerebbe dai cinque minuti circa attuali, a una forbice che va tra i venticinque minuti e le due ore e cinquanta, qualora dall'altra parte ci fosse un'altra donna. Ogni informazione uscita dalla bocca della eventuale penitente si trasformerebbe in oggetto di analisi approfondita: «Sì, ma come mai non hai invitato tua suocera a Natale? Ah, lei non ti ha invitato a Pasqua. Come? Viene a pranzo tutte le domeniche? Beh, allora ci sono delle attenuanti al peccato, non è così grave, parliamone». Più che una confessione scatterebbe una sorta di ibrido tra un the con le amiche e una seduta di psicanalisi in cui però vengono dati dei consiglio tutt'altro che spirituali: «Secondo me devi invitarla a Santo Stefano e solo per il caffè.» E poi, mi immagino il marito e padre che ha tradito la moglie che si inginocchia e la confessora lo apostrofa con: «Sì, ma con chi l'hai tradita?», «Quanti anni ha lei?», «Ma non ti vergogni?» e via proseguendo in un crescendo che si fa sempre più somigliante a un interrogatorio di Criminal in onda su Neftlix.
Ma poi, osiamo credere, come la metteremmo con il famigerato segreto confessionale? La confessora è tenuta all'obbligo di non rivelare ad alcuno quello che ha ascoltato. A nessuno. Non "solo alla migliore amica che non lo dice a nessuno" (che però lo dice alla sua migliore amica che non lo dice a nessuno), sarebbe chiamata a custodire tutto nel silenzio, anche i fardelli più pesanti, quelli che lacerano il cuore anche di chi li ascolta, che soffrirebbe per giorni con l'anima in pena. Non solo, il confessore, la confessora in questo caso, dovrebbe comportarsi come se non sapesse nulla, dovrebbe far finta di niente insomma, anche di fronte alle menzogne più terribili, ai peccati più indicibili, alle miserie più atroci.
Riassumendo: ascoltare in silenzio, custodire nel silenzio, non tentare di risolvere situazioni intricate con consigli pratici non richiesti, comportarsi come se non si sapesse nulla. Non so voi, ma io passo la mano, grazie, non è per me. Tenetevi la parità, a ciascuno la sua parte.

 
Titolo originale: Se il confessore fosse femmina
Fonte: Il Timone, novembre 2022 (n. 63)