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La storia dei bambini colombiani rappresenta un «manifesto meraviglioso che dimostra come educare». Il prof. Alberto Villani, direttore di Pediatria generale e dell'emergenza dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma pensa con commozione alla forza dei piccoli sopravvissuti da soli per 40 giorni. Ma poi il confronto con i bambini italiani, troppo protetti dai genitori, lo fa diventare subito serio: «La resilienza nasce anche dalla capacità di affrontare le difficoltà, ma si arriva ad affrontarle se si è educati a farlo. I nostri ragazzi invece stanno in mezzo alle "foreste" urbane abbandonati, senza sapere come cavarsela».
Partiamo dal lieto fine. Come è possibile che siano riusciti a sopravvivere?
«Innanzitutto dobbiamo dire che questa vicenda straordinaria sarebbe stata impossibile con bimbi di un'altra nazionalità. Quei bambini sono indigeni, sono cresciuti in quell'ambiente e quindi lo conoscono. Fin da piccolissimi sono addestrati a saper vivere in una condizione ostile, riconoscono le piante e tutto ciò che può essere utilizzato per alimentarsi. Sanno come gestire in maniera ottimale le risorse naturali, come avvantaggiarsi in tutte le situazioni».
La più grande ha appena 13 anni, però.
«In quelle popolazioni una tredicenne ne sa più di un adulto, non sono i nostri "bamboccioni" italiani, sono persone abituate a confrontarsi da sempre con le difficoltà e a superarle. Del resto, avveniva così anche in Italia all'inizio del secolo scorso: il fratello e la sorella maggiore di fatto era il custode dei più piccoli. Ribadisco, è una storia sorprendente in ogni caso, perché è un miracolo che siano sopravvissuti a un incidente aereo; ed è davvero straordinario che siano andati in giro vagando per 40 giorni in una foresta, però in quelle etnie sapersela cavare è il primo insegnamento»
Per i bambini è ancora più difficile sopravvivere in condizioni estreme.
«I bambini sono i più fragili, soprattutto quelli piccoli: la disidratazione rappresenta un problema rilevantissimo. La ragazza deve essere stata molto brava nel garantire per esempio l'apporto idrico, quindi nel trovare i ruscelli, la rugiada sulle foglie. Non dimentichiamo che si può stare senza mangiare per giorni, senza bere invece no. Ma sorprende ancora di più che ce l'abbia fatto il bambino di un anno, è miracoloso che si sia salvato, sicuramente deve esserci stato un accudimento significativo da parte della tredicenne».
Cosa si può imparare da questa storia?
«È evidente l'importanza dell'educazione, delle regole. In quella popolazione c'è il vero insegnamento, che non consiste nell'accontentare e soddisfare le esigenze, ma educare a comportamenti che garantiscano la sopravvivenza. È la riprova che se nei bambini si investe in maniera intelligente e virtuosa, questo è il risultato. Se li si abitua invece a essere semplicemente accontentati in tutto, sono meno reattivi: la resilienza nasce anche dalla capacità di affrontare le difficoltà e si arriva ad affrontarle solo se si è educati a farlo».
Sta dicendo che è sbagliato essere protettivi?
«Si parla oggi di disturbi neurocomportamentali, ma in realtà in questo caso c'è la dimostrazione che i bambini sono estremamente resistenti: vanno solo educati ad affrontare diversi contesti e questo lo ottieni solamente educando le persone. La ragazza di 13 anni sapeva come cavarsela. Quante ragazze della stessa età in Italia sanno comprarsi da mangiare e cucinare?».
Ma in una città, come si fa a lasciare una bambina a occuparsi da sola della spesa?
«La spesa la si può fare andando con i genitori. Ma poi basta insegnare ai più piccoli a vestirsi da soli, a lavarsi. Oggi il ruolo genitoriale è totalmente abbandonato, assente. Essere genitori significa trasmettere esperienze, insegnare a come gestirsi; in quel tipo di società quel ruolo esiste ancora».
Allora chi dovrebbe educarli?
«Fino a 35 anni, spesso una donna non ha mai preso un bambino in braccio. A scuola non si parla di genitorialità; i bambini non sanno cosa significhi avere un fratello e una sorella ed essere accudenti». [...]
Nota di BastaBugie: secondo noi la soluzione al problema sta molto semplicemente nelle famiglie numerose. Dove i figli sono sei o otto si impara molto più facilmente ad aiutare presto in casa. Ad esempio le bambine sono naturalmente portate ad aiutare la mamma nei compiti dell'accudimento e le mamme con più figli si fanno aiutare più volentieri. Dove i figli sono pochi si pensa erroneamente che "il loro lavoro è lo studio" per cui si preservano dai lavori più umili e quotidiani, ma così li si condanna a non sapersi arrangiare, né a saper faticare. Gli effetti devastanti di questa impostazione sono sotto gli occhi di tutti.
VIDEO: GIOCO DI SOPRAVVIVENZA NELLA FORESTA
Nel seguente video (durata: 12 minuti) dal titolo "12 Indovinelli Estremi per Testare le tue Abilità di Sopravvivenza" puoi fare un gioco che simula la caduta dall'aereo e la sopravvivenza nella foresta. Puoi fare questo gioco con i tuoi figli e alla fine raccontare l'episodio dei bambini colombiani sopravvissuti di cui ha parlato l'articolo. Al termine puoi annunciare ai tuoi figli che dovranno cambiare molte cose: dovranno imparare ad arrangiarsi da soli e ad aiutare di più in famiglia perché... non si sa mai. Se non ti piace questa idea, puoi almeno fare il gioco. Si divertirà tutta la famiglia.
https://www.youtube.com/watch?v=ETvC8G6z4uw
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