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Abbiamo ascoltato una pagina di Vangelo sconcertante, ma ricca di luce. Essa ci aiuta ad accostarci al mistero di Dio e della sua condotta verso di noi; ci aiuta, se non a capire fino in fondo, almeno ad accogliere e ad adorare i disegni di un Dio che di fronte alle sventure umane ci appare distratto e indifferente, mentre è sempre vicino, compassionevole, desideroso di farci entrare tutti nel gioco spesso enigmatico del suo amore. È questo un episodio significativo e singolare, nel quale la persona del Signore Gesù si manifesta in tutta la sua originalità e in tutta la sua imprevedibilità. Il comportamento di Cristo ci sorprende, ci stupisce, è lontano da ogni idea di bontà puramente convenzionale. Proprio per questo la narrazione è affascinante e stimola la nostra riflessione.
DIO CI NEGA UNA GRAZIA PER DARCENE UNA PIU' GRANDE
Si diresse verso le parti di Tiro e di Sidone: siamo dunque fuori della Palestina. È una delle poche volte che Gesù sconfina dal territorio ebraico e arriva sulla costa fenicia, in un paese straniero. Qui è al riparo dall'odio crescente e dalle insidie dei suoi nemici come anche dalle richieste assillanti dei suoi connazionali; qui per qualche tempo può dedicarsi con tranquillità al compito che si è voluto assegnare come prevalente e primario: l'istruzione e la formazione dei Dodici, di coloro cioè che dovranno essere i capi della sua Chiesa e gli annunciatori del suo Vangelo. Ma anche qui viene raggiunto e importunato da qualcuno che chiede. Una donna cananea, che veniva da quelle regioni: una straniera, dunque. Ma alla nazionalità la donna non bada. Conosce solo la sua pena di madre; conosce solo la malattia crudele di sua figlia. Le persone che soffrono non sono mai straniere: sono avvicinate e accomunate dal dolore, il quale non conosce confini. Questa donna suscita compassione anche in noi, che ascoltiamo le sue parole a tanta distanza di anni. Ma sembra non riuscire a commuovere Gesù. Egli non le rivolse nemmeno una parola. Questa insensibilità, insolita in colui che tanto spesso abbiamo visto commuoversi sulle sventure umane, meraviglia gli apostoli, i quali - forse anche per togliersi il fastidio di quel lamento interminabilmente ripetuto - si mettono a intercedere per lei: Esaudiscila, vedi come ci grida dietro. Con grande nostra sorpresa, proprio Gesù mostra di ricordarsi di quella condizione di straniera, di cui nella sua pena si era dimenticata la donna; e rifiuta la grazia, adducendo assurdamente a pretesto le esigenze del suo piano di azione: adesso, dice, è il momento degli ebrei, le pecore della casa di Israele; dopo la mia risurrezione si penserà anche agli altri. Questa durezza ci sbigottisce: è una durezza voluta, una durezza addirittura ostentata, evidentemente per provare la fede. Non abbiamo un Signore facile: non abbiamo un Signore che immediatamente si arrende, che subito consente a ogni nostra implorazione. Abbiamo un Signore che vuole soprattutto educarci, che vuole farci crescere di dentro; che proprio per questo ci mette alla prova, e perciò sembra spesso eludere le nostre domande; talvolta sembra addirittura nascondersi, perché la nostra fede si purifichi e si irrobustisca. Ma il nostro sbalordimento non ha ancora toccato la punta più alta. Di fronte alle insistenze della donna, Gesù trova una frase tanto impietosa da essere perfino offensiva: Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini. È, per così dire, una crudeltà inventata dall'amore; che non è mossa dall'intento di rifiutare, ma da quello di dare di più; che non vuol negare la grazia, ma vuol donare, con la grazia esterna esplicitamente implorata, una più grande e più preziosa purificazione del cuore.
FIDUCIA, UMILTA' E PERSEVERANZA NELLA PREGHIERA
La donna non si scoraggia, non si arrende, non cede: sa leggere, oltre le parole aspre e scortesi, la misericordia e la dolcezza del cuore di Gesù. Insiste, ma con un'umiltà che troppo spesso manca alla nostra preghiera: si vero, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Qui dobbiamo meditare e imparare. Senza che ce ne avvediamo, è facile che il nostro atteggiamento nei confronti di Dio sia guastato da una venatura di arroganza. Abituati come siamo a esigere tutto come un diritto, ci dimentichiamo che di fronte a Dio diritti veri e propri non ce ne sono. Poiché nella convivenza umana abbiamo un po' tutti l'inclinazione a ritenerci vittime di soprusi e di ingiustizie, finisce che siamo tentati di metterci anche di fronte al Signore dell'universo con l'animo di chi ha l'autorità di chiedere un rendiconto: perché mi hai fatto capitare questo? Perché mi mandi questa sofferenza? Perché permetti tante cose ingiuste? È umano, è comprensibile che questo avvenga. Ma se vogliamo che la nostra religione diventi più perfetta e la nostra preghiera più limpida e più gradita, dobbiamo tentare di riprodurre in noi l'atteggiamento di questa madre angosciata, di cui ha parlato la pagina evangelica odierna. La donna cananea sa unire una totale sottomissione all'insistenza di chi conosce in profondità il cuore del Signore e la sua pietà inesauribile. Il suo perseverare nel chiedere non è petulanza, ma è solo il frutto di una grande fede. Una fede che Gesù elogia pubblicamente: Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
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