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Il brano che abbiamo ascoltato, nella narrazione evangelica segue immediatamente quello della scorsa domenica. Si tratta anzi dello stesso episodio, avvenuto a Cesarea di Filippo, e ha gli stessi interlocutori: Gesù e Pietro, e sullo sfondo gli apostoli. C'è anche qui una frase rivolta da Cristo a Pietro; ma quanto diversa da quella su cui abbiamo meditato otto giorni fa!
"Beato!", aveva detto Gesù poco prima. Adesso gli dice: "Satana!" Neppure ai farisei i tradizionali e più fustigati oppositori del Signore era mai stata riservata una parola così severa e così amara.
Gli aveva detto: "Tu sei la pietra su cui costruirò la mia Chiesa". Adesso gli dice: "Tu sei per me uno scandalo", cioè una pietra di inciampo, un ostacolo posto sul mio cammino.
Gli aveva detto: Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. Adesso gli dice: Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. E cioè: tu, che poco fa' hai avuto una folgorazione divina, un dono dall'alto, una illuminazione che ti ha consentito di penetrare nel mistero della mia persona e ti ha fato partecipare alla conoscenza viva e salvifica del Figlio di Dio fatto uomo, adesso sei ripiombato nella nebbia dei ragionamenti umani, ai quali la logica divina resta sempre lontana e straniera, sei ritornato spiritualmente ottuso, come sono di solito gli uomini che si ritengono intelligenti, colti, prudenti, e non riescono ad afferrare e a capire il disegno del Padre.
Si direbbe che questa frase di rimprovero detta a Pietro sia perfettamente simmetrica e perfettamente contraria a quella di lode rivoltagli poco prima. E non possiamo non ammirare l'assoluta giustizia e la sovrana libertà interiore di Cristo, che dà sempre a ciascuno quello che ciascuno si merita, e non si lascia mai condizionare da niente, neppure dalle amicizie o dai calcoli umani degli appoggi e degli aiuti esteriori.
PIETRO RAPPRESENTA TUTTI NOI
Ma non possiamo non domandarci (e con questo interrogativo arriviamo al centro della riflessione di oggi): perché questo cambiamento di tono? Che cosa ha provocato il passaggio brusco e inaspettato dall'approvazione più esplicita e più solenne al biasimo più violento? Che cosa è avvenuto che ha fatto, per così dire, cadere in disgrazia Pietro, proprio nel momento che aveva ricevuto la missione più impegnativa e più onorifica che possa essere affidata a un uomo?
È avvenuto (ci dice il brano letto oggi) che Pietro forse troppo compreso della sua recente dignità di fondamento della Chiesa e di detentore delle chiavi del Regno aveva cercato di allontanare Gesù dal cammino della croce: Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai.
E Gesù, che proprio in quel momento aveva dato il primo annunzio, la prima profezia della sua tragica morte, si è sentito colpito in ciò che gli era più intimo e suo; si è sentito colpito nel centro segreto della sua personalità di Salvatore, perché la morte in croce per la nostra salvezza era il traguardo di tutta la sua vita terrestre, ed egli era venuto appunto per essere un "redentore crocifisso".
In un momento di luce, Pietro l'aveva proclamato Messia e Figlio di Dio. Ma era stato solo un momento; subito era ricaduto nella mentalità corrente degli ebrei, per i quali "Messia" doveva significare uno che riesce a vincere sul piano umano, un trionfatore esterno, un realizzatore diretto della giustizia in questo mondo, un conquistatore glorioso.
Che cosa poteva contare pensava Pietro dentro di sé, con tutta la mentalità mondana una religione che non fosse anche risultato, successo, vittoria garantita in questa vita, o quanto meno non offrisse una speranza ravvicinata, una speranza per questo mondo? Che affidamento poteva dare agli uomini un Vangelo il cui maestro sarebbe finito sul patibolo, come uno sconfitto e un fallito?
Perciò Pietro protesta: Non ti accadrà mai; e diventa, per così dire, il precursore di quella lettura del messaggio evangelico, che lo vede primariamente, se non esclusivamente, rivolto al conseguimento di una giustizia, di una liberazione, di una prosperità soltanto terrestri. Ma è una concezione che Gesù, come si è visto, chiaramente e sdegnosamente rifiuta.
O, più semplicemente, Pietro diventa il portavoce di tutti noi, che facciamo una gran fatica ad accettare, anche come prospettiva, come idea, la strada della croce.
Perciò, nella pagina evangelica letta, Gesù indugia a spiegarla ai suoi discepoli e a noi, e ritornerà molte volte su questo argomento, perché è un insegnamento difficile.
Difficile, perché a tutti noi ripugna istintivamente pensare che nel piano di Dio non ci sia Pasqua (cioè: non ci sia gioia vera e duratura, non ci sia vita eterna, non ci sia salvezza) se non passando attraverso il venerdì santo; non ci sia vittoria, se non attraverso l'umiliazione e la morte di colui che dovrebbe essere sempre e subito vincitore. Essere i soldati di un generale che prevede e addirittura programma le proprie sconfitte, non piace a nessuno. Non piaceva a Pietro e non piace nemmeno a noi.
Difficile, soprattutto, perché intuiamo facilmente che se questa è la strada percorsa dal nostro Signore e Maestro, inevitabilmente questa dovrà essere anche la nostra strada. E la cosa ci piace ancora meno.
E difatti Gesù deduce esplicitamente questa temuta e irritante conclusione, e dal fatto della sua croce ricava la necessità della nostra croce: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Rinneghi se stesso: in un tempo in cui dappertutto, perfino nella vita religiosa, si sente parlare solo di impegno a realizzare se stessi, questa frase di Cristo è davvero provocatoria, ed è un invito serio a esaminare quanto si possa ancora dire che siamo almeno nelle intenzioni, nei tentativi, nei desideri profondi del nostro essere veramente discepoli del nostro Maestro, il Signore crocifisso e risorto.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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