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«Se ci penso mi viene lo schifo perché eravamo cento cani sopra una gatta, una cosa così l'avevo vista solo nei porno, eravamo troppi e sinceramente mi sono schifato un poco, però che devo fare la carne è carne, ma ti giuro dopo che si è sentita pure male, piegata a terra, ha chiamato l'ambulanza, l'abbiamo lasciata lì e siamo andati via. Voleva farsi a tutti, alla fine gli abbiamo fatto passare il capriccio»
La pornografia, cancro di questa generazione più di altri, visto che i bambini incappano in un video porno a 8 anni, per sbaglio. Cioè mio figlio Michele fra 3 anni.
Esistono bambini di seconda elementare già dipendenti dal porno. Agghiacciante. Ma è.
Esistono bambini alle elementari, con una idea già distorta della donna, che perdono il rispetto per la donna grazie ad un cavolo di cellulare.
Che perdono il desiderio di entrare in relazione con lei, di amarla e rispettarla, e che non riescono a vederla se non come mero strumento di godimento personale, grazie ad un cavolo di cellulare.
Un sex toy da esigere, perché desiderato. Da comprare se non lo si possiede. O da rubarsi, se non in vendita.
Chi fa uso di pornografia rinforza la credenza che il maschio debba dominare e la femmina sottomettersi, oltre a normalizzare pratiche sessuali estreme. Nel porno le donne sono rappresentate come macchine riceventi solo sesso, non altro: «Lei era tutta ubriaca, l'amica sua l'ha lasciata sola, voleva farsi a tutti. Alla fine gli abbiamo fatto passare il capriccio».
Una macchina, non più umana, deputata al mio puro godimento.
Gli studi mostrano che chi fa uso di pornografia, infatti, tende a rapportarsi ad una donna come oggetto: si elaborano le immagini sessualizzate delle donne con i processi con cui si elaborano gli oggetti, e non con processi che di norma usiamo quando ci relazioniamo con altri esseri umani.
Zero empatia: «Dopo si è sentita pure male [...] si toccava là sotto piegata a terra... 'Chiamate un'ambulanza', [...] l'abbiamo lasciata lì e siamo andati via...».
Un cocktail maledetto tra dipendenza da device e dipendenza da porno, servito su piatti d'argento, per la distruzione dei nostri figli.
Un vero carcere neurobiologico, in cui la gratificazione che cerchi non la trovi più, e hai bisogno di uno stimolo sempre maggiore: parti dalla immagine o dal video visto per caso sul cellulare a otto anni, per arrivare, non così di rado ahinoi, a ritrovarsi piegati a cercare materiale pedopornografico. Neonati, sì. Chiedete a Don Fortunato Di Noto. L'inferno in terra.
E no, non possiamo permetterci di scandalizzarci leggendo le richieste su telegram del video di quella vergognosa e animalesca violenza. Perché se ci scandalizziamo fingiamo che sia un caso. E invece no: chiamare la prostituzione, cioè lo stupro a pagamento, sex work; sponsorizzare la pornografia, cioè la prostituzione filmata, come sana; Only fans e compagnia cantante; la grandissima bugia che abbiamo il diritto di pretendere che tutte le nostre pulsioni debbano essere. No, non è un caso.
Indicare continuamente, perché fa figo, la ricerca del godimento, slegato dalla relazione, fingere che sia la strada per la felicità, per un paradiso a portata di mano, senza limiti, pieno di pulsioni, pretese, desideri assurti a diritti (voglio, posso, pretendo), che tutti dobbiamo pretendere, è l'inferno. Che stiamo permettendo, per i nostri figli.
Vale la pena alzarci in piedi e lottare.
Perché l'altra possibilità sia possibile.
La libertà vera, la felicità vera; quella di sapersi controllare, per l'altro; rinunciare, per l'altro; sacrificarsi, cioè rendere sacro, per l'altro; scegliere il bene, per l'altro. Ed essere felici, insieme.
Difendere l'altro, anche dal branco.
Un'alleanza che va ricercata e ritrovata, insostituibile, tra uomo e donna.
Post Scriptum: Se sei dipendente dal sesso, se sei nella gabbia neurobiologica di prima, se stai distruggendo le relazioni intorno a te, se non riesci a guardare più una ragazza o una donna con libertà, se non riesci ad essere fedele perché non riesci a rinunciare al sesso, se stai distruggendo il tuo matrimonio e anche se non vorresti più, ogni volta che tua moglie non c'è, che i tuoi figli non ci sono, e impossibile per te non rinchiuderti in bagno, o in cantina, se stai perdendo la tua famiglia, il tuo lavoro, lo studio, se sei in gabbia all'inferno, chiedi aiuto. Si può uscire da questa dipendenza, con fatica, ma si può.
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Roberto Marchesini nell'articolo seguente dal titolo "Baby stupratori: la soluzione è educativa, non rieducativa" spiega perché è inutile prevedere misure drastiche contro l'epidemia di stupri. Questi provvedimenti peccano di quello stesso statalismo che ha estromesso la famiglia dal suo ruolo principale: l'educazione.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'8 settembre 2023:
Ecco licenziato dal Governo il «decreto Caivano» per intervenire contro le cosiddette baby-gang. Ricapitoliamo.
Verso la fine di agosto esce la notizia di stupri durati mesi, da parte di un gruppo di minori ai danni di due cugine di 13 anni, a Caivano, in provincia di Napoli. Don Maurizio Patriciello, parroco di un quartiere di Caivano (Parco Verde) ha invitato il premier Meloni a recarsi sul luogo per far sentire la presenza delle istituzioni. Il premier non solo ha fatto visita a questi luoghi, ma ha anche disposto un vero e proprio rastrellamento del quartiere da parte delle forze dell'ordine.
A dire il vero, qualche giorno prima, un evento simile è accaduto a Palermo e, prima ancora, a Firenze. In questi due casi, nessun rastrellamento, anzi: i media hanno sottolineato a più riprese che si trattava di ragazzi «normali». Insomma: una vera e propria «epidemia» di stupri di gruppo perpetrati da ragazzini minorenni. Ovviamente, il pensiero corre attraverso la sempre più precoce sessualizzazione dei nostri bambini, dai corsi di «educazione sessuale» all'uso ormai diffusissimo di smartphone e social media.
Ma veniamo al contenuto del decreto. Ecco le principali misure previste (sempre secondo gli organi di stampa):
- ammonimento, da parte del questore, al minore a partire dai 14 anni;
- una sanzione da 200 a 1000 euro ai genitori per mancato assolvimento degli obblighi educativi;
- fino a due anni di carcere se il figlio non frequenta la scuola dell'obbligo scolastico (18 anni o 16 in caso di qualifica professionale triennale);
- «DASPO» (Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) urbano, cioè divieto di accesso a un determinato comune diverso da quello di residenza;
- «un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda [...] lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti no profit o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da uno a sei mesi»;
- stanziamento di fondi per le scuole del Mezzogiorno.
Tralasciamo alcuni punti, ad esempio l'uso di un provvedimento legato al mondo dello sport (il DASPO) per qualunque provvedimento che limiti la libertà di movimento dei cittadini; oppure il fatto che, invece di promuovere una riflessione sul modello che la nostra società propone ai ragazzi, si intervenga con leggi, divieti, pene sempre più severe; o sul divieto di uso dei cellulari, che pare francamente fantascientifico, vista la situazione attuale. E concentriamoci sugli aspetti educativi evocati da questo ipotetico decreto.
Vediamo che lo Stato, che contribuisce in ogni modo all'attuale modello sociale, si propone di «rieducare» (non suscita un brivido questa parola?) i ragazzi dal punto di vista civico e sociale. Evidentemente ci troveremo di fronte a un esperimento di cura omeopatica. Invece di smettere di minare e di cominciare a rafforzare il ruolo educativo della famiglia («È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli», articolo 30 della Costituzione), in barba al principio di sussidiarietà, lo Stato si arroga il compito di educare (anzi: rieducare!) i ragazzi. E cosa fa ritenere l'estensore del decreto, che un dipendente pubblico sia in grado, abbia i mezzi, le competenze e la capacità di educare i ragazzi (e non aggiungiamo «meglio dei suoi genitori»)? Un titolo di studio? Si da per scontato che i genitori siano analfabeti non scolarizzati? Si da per scontato che il titolo di studio equivalga a una abilitazione educativa? E non è finita! Con questo decreto lo Stato priva la famiglia dei suoi diritti educativi, ma minaccia di punirla perché non ha assolto ai suoi obblighi educativi!
C'è dell'altro: la punizione con la reclusione fino a due anni (!) per i genitori se il ragazzo non assolve l'obbligo (aridaje...) scolastico, sul quale ci sarebbe molto da dire. Questo punto del decreto implica, potenzialmente, parecchie cose. Implica, ad esempio, che i membri delle baby-gang non vadano a scuola. È così? Tutti o la maggior parte dei ragazzi coinvolti in reati gravi non assolvono l'obbligo scolastico? Ho i miei dubbi, ma sono pronto a ricredermi se qualcuno fosse in grado di dimostrarlo. Altra implicazione è la seguente: la scuola ha un ruolo preventivo nei confronti della devianza minorile. È dimostrata, questa efficacia preventiva? Perché questa norma appare, dal punto di vista razionale, così bislacca da indurci a pensare che forse serve ad altro. E a cosa potrebbe servire una norma che, con la scusa di prevenire la devianza minorile, terrorizzi i genitori sull'obbligo scolastico? Ad esempio, a marchiare di illegalità e di pericolosità sociale l'home schooling; un fenomeno che, negli ultimi anni, tra gender e vaccinazioni coatte, sta suscitando parecchio interesse. Potrebbe quindi essere un modo per evitare che i genitori sottraggano i propri figli alla «scuola prussiana» obbligatoria e «gratuita» (per modo di dire).
Insomma: vediamo cosa ne sarà di questo decreto nel passaggio parlamentare. Nel frattempo, però, i dubbi si fanno sempre più pressanti: siamo sovrani o sudditi? Il ruolo educativo spetta alla famiglia o allo Stato? Per la famiglia è un diritto o un dovere? Ai posteri l'ardue sentenze.
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