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Questa è tra le parabole del Signore più ricche di senso e più cariche di fondamentali verità. In essa troviamo raffigurato il disegno originario del Padre, il mistero della nostra vocazione, l'enigma del rifiuto umano che si oppone all'iniziativa di Dio, l'amore del Creatore che è al tempo stesso generoso ed esigente.
LO SPOSALIZIO TRA DIO E L'UMANITA', TRA CRISTO E LA CHIESA
Il Regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio: abbiamo qui non solo l'inizio pittoresco di una parabola, ma anche la rivelazione del segreto primordiale che presiede alla creazione del mondo. Decidendo di dare origine agli uomini e alle cose, Dio dal principio ha voluto che al centro dell'universo ci fosse un'unione vitale, un legame indissolubile, uno "sposalizio" tra la Divinità con tutta la sua infinita ricchezza e l'umanità con tutta la sua povertà: tutto è stato fatto in vista dell'Incarnazione, per la sua manifestazione e per il suo compimento, che è la Chiesa, anch'essa un mistero di donazione sponsale. Dio ha voluto che il senso e lo scopo di tutto fosse una festa d'amore che coinvolge il cielo e la terra.
CIASCUNO DI NOI E' CHIAMATO A PARTECIPARE ALLA FESTA ETERNA
A questa festa di nozze siamo tutti invitati. Siamo invitati per il fatto stesso che esistiamo; anzi nel nostro essere "uomo" o nel nostro essere "donna" portiamo il segno, la profezia, il dono della nostra chiamata. La nostra chiamata all'esistenza è anche chiamata a partecipare alla festa eterna che si celebra in onore del Figlio del Re che si sposa, è anche chiamata a entrare nella sala del banchetto dove Cristo e la Chiesa si legano irrevocabilmente, è anche chiamata a farci annunciatori a tutti di questa gioia cosmica che deve comunicarsi a ogni creatura.
Siamo invitati; cioè, siamo stati voluti, siamo stati desiderati. Questa è la radice più profonda della felicità che sempre, sotto ogni disagio e ogni dolore, vive in un cuore cristiano.
La tristezza e alla fine la disperazione arrivano dove ci si sente trascurati. "Nessuno mi vuole bene": chi perviene all'amarezza di questa persuasione, è vicino alla catastrofe esistenziale. Ma per noi non è mai così: noi sappiamo che un Dio è venuto a prenderci nel nostro niente, ci ha interpellati, ci ha voluti suoi interlocutori e suoi amici. Perciò, mentre per il non cristiano l'esistenza appare spesso un interrogativo enigmatico e senza risposta, per il cristiano l'esistenza è prima di ogni altra cosa essa stessa risposta a una voce che dall'eternità ha pronunciato il nostro nome; è essenzialmente risposta all'appello, che ci è giunto, di entrare nella grande festa di Dio.
L'ENIGMATICO E SCONCERTANTE RIFIUTO DELL'UOMO DI FRONTE AD UN DESTINO DI GIOIA
Ma il racconto che abbiamo letto contiene una sorpresa. Onorati dall'invito del re, i primi chiamati rispondono con un rifiuto. Sembra incredibile, eppure questo è ciò che avviene nella vicenda umana, questo è ciò che può avvenire anche nella nostra storia personale. Noi abbiamo tutti la spaventosa prerogativa di dire di no al Dio che ci chiama. "L'amore non è amato": è la sconcertante realtà che faceva tremare di stupore e di santa passione il cuore dei santi.
Non se ne curarono, dice la parabola: di fronte a un atto di predilezione, il gelo dell'indifferenza. Questa trascuratezza nei confronti del Dio che ci vuole, in forma e in misura diversa può arrivare a imbruttire anche la nostra vita: da essa dobbiamo sempre umilmente pregare perché la grazia di Dio ci preservi.
Rifiutare l'invito del Re è sempre molto pericoloso: qualche volta può portare molto avanti sulla strada del male. Il racconto ci precisa che alcuni di quegli uomini, sprezzanti della benevolenza di cui erano stati fatti oggetto, arrivano fino al delitto: Presero i servi, li insultarono e li uccisero.
Perché in ogni epoca la Chiesa, nell'una o nell'altra parte del mondo, è perseguitata e impreziosita di martiri? Che male facevano i vescovi e i sacerdoti, che sono stati messi in prigione e molte volte fatti morire, anche in questo nostro secolo? Non facevano nessun male; ma poiché annunciavano con chiarezza l'invito del Re, diventavano insopportabili a chi aveva già deciso in cuor suo di dire di no alla salvezza.
DIRE DI SI' ALL'INVITO DI DIO NON SIGNIFICA RIMANERE COME PRIMA
Ma c'è, nella narrazione di Gesù, una seconda sorpresa. Lo stesso re, che appare così largo e accogliente da spalancare le porte del suo palazzo a tutti, "buoni e cattivi", non può tollerare che gli si manchi di rispetto e si arrivi alla festa di nozze senza il vestito adatto, cioè senza il vestito più bello di cui in pratica ciascuno può disporre. Non tutti possono presentarsi in abiti costosi e ricercati, ma tutti possono darsi da fare per presentarsi nel migliore dei modi.
Con questa finale della storia, che per la verità arriva un po' inaspettata, Gesù ci ricorda che il Dio che ci vuole bene e ci sceglie non è però un Dio che si lascia prendere in giro. Entrare in rapporto con lui non è qualcosa di ansioso e terrorizzante, ma in ogni caso è un impegno serio, che va seriamente affrontato.
In fondo qui ci viene richiamato un insegnamento che nella Chiesa è sempre stato tradizionale, anche se ai nostri giorni l'abbiamo dimenticato un po' e non lo si sente più proporre: e cioè che due sono le ali necessarie per volare incontro al Signore e raggiungere il destino di gioia cui siamo stati chiamati: il timore e l'amore, il timore di Dio che è l'inizio della sapienza e l'amore per il Padre celeste, che è il vertice e la somma di tutto ciò che dobbiamo fare per comportarci come è doveroso e giusto in questo mondo.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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