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La pagina evangelica che è stata letta ci ha offerto soltanto pochi versetti del primo capitolo della narrazione di Marco. Ma in poche righe ci è stato richiamato quasi tutto ciò che è essenziale al nostro impegno di figli di Dio e di appartenenti al gregge del Signore.
Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio (Mc 1,14). Tutto nell'evento cristiano comincia con un "annuncio", anzi con un "buon annuncio": un "evangelo".
Il vangelo di Dio. È un annuncio che viene dall'alto. Per questo è "buono": dagli uomini è difficile aspettarsi delle notizie che davvero ci possano rallegrare. Notizie "dal basso" sono, per esempio, quelle che ascoltiamo dai telegiornali; e quasi mai sono notizie che ci incoraggino nel nostro mestiere di uomini e ci accrescano la voglia di vivere.
Come si vede, la vita nuova, che siamo chiamati a vivere nella Chiesa, non prende inizio da un'analisi sociologica, né da un sondaggio di opinioni, né da una rassegna dei problemi e dei guai umani. Prende inizio dall'"evangelo di Dio", vale a dire, dalla stupefacente novità che c'è sopra di noi, ma a noi vicinissimo e anzi intimo, un Dio che si prende cura di noi e ci vuole bene. C'è sopra di noi - di là da quella che abbiamo sentito san Paolo chiamare la "scena di questo mondo" - un oceano di amore paterno, che è pronto a riversare sulla nostra povertà, sui nostri smarrimenti, sui nostri errori l'onda inesauribile della sua misericordia. Questo è l'annuncio, questo è il "vangelo di Dio".
Il "vangelo di Dio", cioè la riscoperta del Padre, fonte decisiva di ogni speranza, è, dunque, il primo messaggio che ci viene trasmesso da Gesù all'inizio della sua vita pubblica. Egli è venuto tra noi appunto per rivelarci il Padre, per metterci a parte di questa fortuna inattesa che è ormai alla nostra portata. Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18).
Diceva:... Il regno di Dio è vicino (cf. Mc 1,15). Questa realtà salvifica, che ci viene annunziata, è un "regno": un "regno" che si è fatto vicino. Un "regno", che vuol dire: una potenza capace di rovesciare le sorti assurde e tragiche della stirpe di Adamo; una energia infusa nei cuori che si risolvono ad aprirsi, in modo che il male non possa più infiltrarsi e spadroneggiare dentro di noi; una vittoria della verità e della giustizia sulla menzogna e sulla iniquità: vittoria che è già in atto e aspetta solo di essere pienamente manifestata.
Tutto ciò è il "vangelo", e noi siamo invitati ad accoglierlo nella fede: Credete, è la prima proposta vitale del Signore Gesù; Credete al vangelo (Mc 1,15).
Senza questa nostra personale certezza che il regno di Dio è vicino (ibid.), noi restiamo ancora oppressi dal Principe di questo mondo (cf. Gv 12,31) e suoi prigionieri. Se invece cominciamo a "credere" sul serio, allora si delinea in noi la vittoria di Dio: Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede (1 Gv 5,4).
L'URGENZA DI CONVERTIRSI
Ma credere qui non vuol dire soltanto accettare intellettualisticamente come vera la grande notizia che ci è stata comunicata. Vuol dire anche questo; ma vuol dire soprattutto dischiuderci con ogni fibra del nostro essere alla luce e al fuoco dell'amore di Dio.
Niente allora in noi, nei nostri pensieri, nei nostri affetti, nella nostra condotta può restare più come prima; niente deve rimanere nella vecchiezza, nella contaminazione, nella fragilità dell'uomo irredento. Tutto in questa fede deve essere trasfigurato. Perciò Gesù dice: Convertitevi e credete al vangelo (Mc 1,15). Convertitevi, cioè cambiate totalmente; o, meglio, lasciatevi cambiare totalmente, così che non ci sia più niente in voi che sia in contrasto con la realtà giovane e viva che vi viene donata.
Convertirsi è ritrovare il Padre e la sua infinita misericordia. E come è inesauribile l'amore divino che perdona, inesauribile e incontentabile deve essere dentro di noi la volontà di adeguarci sempre di più alla sua santità.
Il tempo è compiuto (Mc 1,15), ti dice Gesù. Non si tratta solo del tempo dei "segni" e delle "figure", che si è esaurito con la fine della missione di Giovanni il Battezzatore. Si tratta del tempo che è stato assegnato a ciascuno di noi: al momento stesso che l'annuncio definitivo della salvezza è arrivato alle nostre orecchie, è arrivata per noi l'ora di arrenderci alla grazia e di entrare con pienezza e senza indugio nell'avvenimento della redenzione.
Se il tempo è compiuto, se l'amore di Dio si è fatto ormai incalzante e imminente sulla nostra esistenza, non ci possono essere più svogliatezze o rimandi.
Se il tempo è compiuto, l'avverbio che conviene alla nostra risposta è "subito". E "subito" è anche, come avete sentito, la parola che contraddistingue la decisione dei primi chiamati: Subito... lo seguirono (cf. Mc 1,18).
IL MINISTERO APOSTOLICO NEL DISEGNO DIVINO DI SALVEZZA
Vi farò diventare pescatori di uomini (Mc 1,17). L'episodio riferito nel vangelo di Marco pone in risalto un altro elemento importante del disegno divino di salvezza, ed è l'assunzione di alcuni uomini a essere i ministri qualificati della predicazione e della grazia sacramentale nella Chiesa. È il "ministero apostolico", che per volere di Cristo dovrà animare, illuminare, dirigere la vita cristiana sino alla fine dei secoli.
La vocazione di Andrea, Simone, Giacomo e Giovanni - come ci è stata qui raccontata - non è solo la vocazione "battesimale" di chi si pone come credente alla sequela dell'unico vero Maestro. È anche la vocazione "sacerdotale" di chi nella comunità ecclesiale sarà l'immagine viva e attiva di Gesù Capo, Sposo e Pastore.
La "pesca" che qui viene compiuta da Gesù è "pesca di pescatori", cioè arruolamento di persone che in modo diretto ed eminente si dovranno fare carico di portare gli altri sulle strade del Regno. Vi farò pescatori di uomini (Mc 1,17).
Essi non costituiranno mai una tribù a parte o una "casta", come nell'Antico Testamento i figli di Levi. Saranno di volta in volta presi dalla gente del popolo che ha un lavoro comune e una famiglia. Ma, per corrispondere adeguatamente alla loro missione, saranno collocati in una situazione "diversa": il loro lavoro a tempo pieno sarà l'impegno apostolico; la loro più autentica famiglia sarà la comunità cui saranno invitati. Perciò "lasciano le reti", come Simone e Andrea; e "lasciano il padre", come i figli di Zebedeo (cf. Mc 1,18.20).
Di questi "pescatori di uomini" il popolo cristiano non può assolutamente far senza. Preghiamo allora perché il Signore assicuri sempre questo dono indispensabile alla nostra Chiesa.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
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