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Siamo ormai giunti alla terza domenica di Quaresima e, nel Vangelo di oggi, abbiamo un chiaro annuncio della morte e risurrezione di Gesù. Ai Giudei che lo interrogavano, Gesù disse: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Gesù intendeva parlare del tempio del suo Corpo, che è il vero tempio della divinità, di cui la costruzione di pietra era solo una immagine.
Gesù parla della sua prossima passione e morte, ma i farisei non comprendono questo linguaggio. Anche noi tante volte non comprendiamo il linguaggio della croce e cerchiamo di allontanare quanto più è possibile questo mistero dalla nostra vita. San Paolo, invece, nella seconda lettura ci vuole far comprendere che la Croce «è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24).
Anche noi, come i Giudei, chiediamo dei segni, o, come i pagani, cerchiamo solo una sapienza umana; ma Gesù ci offre un solo segno: la sua Croce; e ci insegna una sola sapienza: quella che lo condusse a offrire la sua vita in sacrificio per noi. Il cristiano deve comprendere bene questa lezione e saper riconoscere nella croce che porta un dono che lo rende ancora più simile al nostro Maestro Divino.
Il brano del Vangelo di oggi deve essere compreso bene. Il gesto di Gesù non deve essere inteso come un atto di impazienza di fronte ai venditori di animali e ai cambiavalute. Dobbiamo infatti ricordare che il Tempio di Gerusalemme aveva dei locali che si utilizzavano appositamente per la vendita degli animali destinati al sacrificio, e per il cambio delle monete. Infatti, questi animali dovevano essere comprati con una moneta speciale, di qui la necessità dei cambiavalute.
Gesù non era contrario a questo culto esterno: Egli stesso si recava al Tempio per adempiere queste prescrizioni. Il vero significato del suo gesto è un richiamo all'interiorità. Se questa mancasse, la cerimonia esterna diverrebbe un gesto inutile, buono solo ad ingannare la coscienza, facendo credere di essere a posto con Dio, quando invece non lo si è.
La Quaresima è il tempo adatto per penetrare anche noi in questa interiorità, per scrollarci di dosso la nostra superficialità nel culto divino. Il nostro culto esteriore, le nostre preghiere, la penitenza e i digiuni devono essere un'espressione d'amore, altrimenti varranno ben poco. Queste pratiche dovranno essere accompagnate dalla misericordia verso il nostro prossimo. Se con la preghiera chiediamo, sarà sempre con la misericordia che otterremo. Le più grandi penitenze non serviranno a nulla se saremo dominati dalla durezza del cuore.
Comunque, il gesto di Gesù è di grande insegnamento anche per il rispetto esteriore che dobbiamo avere per la Casa di Dio. Per questo motivo valgono le severe parole di Gesù: «Non fate della casa del Padre mio un mercato!» (Gv 2,16). Anche noi rischiamo di rendere la chiesa non solo un mercato, ma addirittura un teatro e un luogo di divertimento, profanato spesso da mode indecenti e scandalose.
Gesù stesso, un giorno, si lamentò con santa Gemma Galgani in questo modo: «Il mio Cuore è sempre contristato, me ne rimango quasi sempre solo nelle chiese e se molti si radunano hanno ben altri motivi e devo soffrire di vedere la mia chiesa, la mia casa ridotta in un teatro di divertimento...». E, a santa Margherita Maria, così diceva: «Io ho una sete ardente d'essere onorato dagli uomini nel Santissimo Sacramento e non trovo quasi nessuno che, secondo il mio desiderio, si sforzi di dissetarmi, usando verso di me qualche contraccambio».
In questa Quaresima dobbiamo fare un proposito molto importante: quello di venire spesso in chiesa, non soltanto per la Messa domenicale, ma anche per delle brevi visite a Gesù Sacramentato. Il pensiero che Gesù rimane notte e giorno nelle nostre chiese, nei nostri tabernacoli, non ci deve lasciare indifferenti. Dobbiamo sentire il dovere di venire ad adorare Gesù, di metterci ai suoi piedi e di donargli un po' del nostro tempo. Sarà il tempo meglio speso, e il Signore ci ricolmerà delle sue benedizioni.
La prima lettura di oggi ci richiama, invece, alla fedeltà alla Legge di Dio, ovvero ai dieci Comandamenti. I dieci Comandamenti tracciano quello che deve essere il nostro cammino, il cammino di ogni uomo che vuole raggiungere la felicità non solo su questa terra, ma, soprattutto, in Paradiso. Solo dall'osservanza di questa legge potrà scaturire la vera gioia, una gioia che nessuno potrà toglierci. Ad un certo punto della sua vita, san Leonardo da Porto Maurizio così diceva: «Ho settantadue anni e non sono stato neppure un giorno triste». Questo lo poteva dire perché egli visse sempre nell'amicizia con Dio, nell'osservanza dei suoi Comandamenti. Così potremo dire anche noi se faremo di questa legge di vita la luce per il nostro cammino.
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