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Il Consiglio dell'Istituto comprensivo di Pioltello ha deciso di chiudere le scuole - due primarie ed una media inferiore - in occasione della festa islamica della conclusione del Ramadan. Il provvedimento non poteva non rimbalzare immediatamente sui media e così infatti è stato. Toccava infatti il punto delicato dei rapporti con l'islam.
La motivazione spiegata poi dal dirigente scolastico tendeva a ridimensionare la strana scelta: si sarebbe trattato solo di una disposizione per motivi pratici. Egli ha spiegato che nel suo Istituto comprensivo il 40 per cento degli alunni risulta di fede musulmana. Mancando in quel tal giorno una fetta così grande della popolazione scolastica, tanto valeva sospendere le lezioni per tutti. Forse il dirigente intendeva dire che in questo modo nessuno avrebbe perso nozioni importanti delle materie scolastiche e non ci sarebbe stata la fatica di registrare le numerose giustificazioni per le assenze. In fondo non si trattava che di un solo, misero, giorno di scuola. Nessun intento politico, nessuna forma di sottomissione all'islam, nessuna prova generale per analoghi eventi futuri.
DECISIONE MALDESTRA
La maldestra decisione ha però peccato almeno di superficialità. È infatti facile osservare che il motivo quantitativo non può essere sufficiente per spiegare simili decisioni. Anche i problemi pratici hanno risvolti non solo pratici. Poniamo che ad essere assenti in un dato giorno fossero il 40 per cento degli studenti italiani, o di quelli indiani di fede indù, o di quelli di altre religioni. Inoltre, perché, paradossalmente, non ipotizzare una assenza di massa per qualche evento pubblico particolare del 40 per cento degli studenti provenienti da famiglie atee? Non stiamo esagerando, stanti gli attuali trend, si può prevedere che in un prossimo futuro nelle scuole italiane ci saranno prevalentemente alunni islamici e atei. Non credo che il Consiglio di Istituto abbia voluto porre la norma pratica che quando si arriva ad una certa percentuale di assenti per motivi religiosi si può chiudere la scuola, però si è avventurato su un terreno minato, nel quale il concetto di discriminazione religiosa è in solerte agguato. La decisione del Consiglio può essere accusata di aver privilegiato una certa confessione religiosa oppure di aver voluto lanciare un segnale su come gestire la scuola interreligiosa del futuro.
Ogni religione ha le proprie feste religiose. Nella scuola multireligiosa come si potranno concedere assenze per motivi religiosi in queste giornate di festa senza discriminare le altre religioni? La chiusura delle scuole alla domenica che nasce dalla religione cristiana è discriminante per i musulmani e per i sihk? Abbiamo visto le tante esperienze di abolizione del presepio o del crocefisso, perché la cosa non potrebbe ripetersi anche per la chiusura domenicale? A Pioltello, forse senza esserne pienamene consapevoli, sono entrati in queste problematiche, sicché la loro decisione è stata comunque un primo passo nel riconoscimento della convenienza di sospendere le lezioni per una festa religiosa non cristiana ma islamica. La convenienza di oggi può però diventare diritto domani. Oggi i musulmani di Pioltello ricevono un favore forse non richiesto, il rispetto pubblico per un loro evento religioso da ossequiare con una astensione dal lavoro scolastico, e per il Ramadan del prossimo anno lo chiederanno apertamente, minacciando un sit-in davanti alle scuole se non sarà loro concesso e, ne siamo certi, senza promettere eventuali analoghi trattamenti da parte loro.
I PROBLEMI DELLA SOCIETÀ MULTIRELIGIOSA
In altri Paesi questi problemi sono scoppiati prima che da noi e di solito la soluzione adottata e suggerita da insigni intellettuali, come per esempio Charles Taylor, è quella di concedere a tutti l'assenza da scuola in occasione della propria festività religiosa. Non bisogna togliere qualcosa a qualcuno, ma darlo anche agli altri. Alla domenica i cristiani potranno non andare a scuola, al sabato potranno farlo gli ebrei e al venerdì i musulmani. Tutti per i loro motivi religiosi. Questa è la politica dei "bilanciamenti", delle "soluzioni di buon senso", degli "accomodamenti equi" con i quali ci si illude di risolvere i problemi della società multireligiosa. Politica che ha due grandi limiti: non riesce a distinguere né tra religioni e preferenze come stili di vita (perché i naturisti o i cultori dello yoga non dovrebbero avere la loro "domenica"?) né tra le religioni stesse, assegnando ad ognuna la stessa importanza.
Detto tra noi: probabilmente gli attori della ridicola e improvvisata commedia di Pioltello non sapevano di queste problematiche, né che la loro decisione - assunta solo per motivi pratici, non dimentichiamo - fosse un primo passo verso l'indifferentismo religioso proprio di ogni società multireligiosa. E non è detto nemmeno che i tromboni che si sono affrettati a richiamare in campo le solite argomentazioni roboanti sulle nostre origini cristiane e sulla nostra civiltà cristiana sappiano valutare la verità delle diverse religioni: non è sufficiente rivendicare i diritti del cristianesimo per motivi storici, ma bisogna farlo per la sua verità, unico argomento perché esso possa vantare un primato sulle altre religioni, per cui le scuole devono essere chiuse per motivi religiosi solo alla domenica, non al venerdì, non al sabato e nemmeno per la conclusione del Ramadan.
Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "E anche Delpini si unisce alla festa islamica" spiega perché la posizione della Cei, Avvenire, e da ultimo l'arcivescovo di Milano fingono una posizione ecumenica, in realtà un po' vigliacca, perché si favorisce il radicamento istituzionale dell'islam.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 22 marzo 2024:
Mancava solo lui, l'arcivescovo Mario Delpini. Ed è puntualmente arrivato a completare il coro cattolico di approvazione per la decisione del preside della scuola di Pioltello che ha deciso di non far svolgere le lezioni il 10 aprile: il 40% degli studenti è islamico e quel giorno festeggia la fine del Ramadan. L'arcivescovo di Milano, dunque, non ha potuto esimersi dal plaudire l'iniziativa del preside di Pioltello, minimizzando il no dell'Ufficio scolastico regionale («avranno i loro motivi») e del ministro Valditara.
Rispondendo alle domande dei giornalisti ha rimandato alla presa di posizione del responsabile del Servizio per l'Ecumenismo e il Dialogo della diocesi, il diacono Roberto Pagani, che ha parlato di una «lettura della realtà più che adeguata», considerata la massiccia presenza di islamici nella scuola e nel comune di Pioltello. Anche il responsabile scuola della diocesi, don Fabio Landi, aveva fatto la sua parte: «Provvedimento non solo assolutamente normale, ma addirittura auspicabile». E ancora in una intervista al Giorno: «Rispettare la festa dei musulmani è un modo per capire l'altro»; «In fondo si interrompono le lezioni anche per carnevale...»; «le scuole tengono in considerazione le settimane bianche, figuriamoci un appuntamento come questo. È un ottimo esempio davanti a una realtà complessa, se usciamo dalla logica di conquista e ci mettiamo in quella dell'incontro»; «il dirigente ha fatto bene. I bambini sono curiosi, vogliono sapere perché l'altro festeggia e come, percepiscono la divisione molto meno degli adulti».
E c'è da dire che anche il segretario generale della CEI, monsignor Giuseppe Baturi, ha plaudito all'iniziativa: «La necessità del rispetto del fatto religioso e dell'identità delle comunità religiose, da parte dello Stato, - ha detto ai giornalisti - è un fatto positivo, appartiene alla laicità tipica dello Stato italiano». E ovviamente anche Avvenire era saltata subito sul carro dell'iniziativa.
C'è una buona dose di ignoranza, di incompetenza e di confusione in questo entusiasmo del clero per la festa del Ramadan. Basta confrontare le succitate informazioni con le questioni poste da Stefano Fontana nell'articolo che la Bussola ha già dedicato alla vicenda di Pioltello. Non staremo dunque a ripeterci su questo.
Qui invece ci preme sottolineare un aspetto che mette in evidenza la gravità delle affermazioni dei vari leader clericali. Essi infatti vanno ben oltre le intenzioni dichiarate (magari un po' furbescamente) dal preside di Pioltello che, peraltro, ha dalla sua parte tutto il Consiglio d'Istituto. Infatti, mentre il preside ha cercato di circoscrivere la portata della sua decisione a un fatto di semplice opportunità (il 40% degli studenti sarebbe comunque assente quel giorno), gli ecclesiastici intervenuti sono invece arrivati a proporre Pioltello come modello universale di dialogo e di convivenza tra diverse religioni.
Sicché dovremo aspettarci prossimamente che sia la Chiesa a spingere per riconoscere pubblicamente le festività islamiche, non solo a scuola. Diciamo "le" festività perché la fine del Ramadan non è certo l'unica e neanche la più importante. Ci sono una decina di feste importanti nell'islam, a cominciare dalla Festa del sacrificio, Id al-Adha, che quest'anno cade dal 16 al 20 giugno: cosa farà la diocesi di Milano, organizzerà lo sgozzamento dei capretti in oratorio, visto che cade proprio durante l'oratorio estivo?
E poi perché allora non fermare tutto per il capodanno cinese o, per stare in tema religioso, per la Pasqua ortodossa, visto che gli ortodossi in Italia sono quasi quanto gli islamici? E perché allora nulla da dire sul no alla protesta dei tifosi ebrei che non vorrebbero si giocasse il derby Milan-Inter il 22 aprile, perché è la loro Pasqua e così viene impedito loro di assistere a una partita importante?
Il punto è che questi ecclesiastici, oltre ad aver perso le ragioni della propria fede e quindi non più in grado di giustificare la prevalenza delle festività cattoliche sulle altre, hanno una spiccata tendenza alla vigliaccheria: si piegano ai musulmani perché li ritengono forti e pericolosi, e aprendo loro tutte le porte si illudono di guadagnarsi dei favori. E poi ammantano questa vigliaccheria di bei discorsi sul dialogo interreligioso.
Non si rendono conto, invece, che certe concessioni sono interpretate politicamente. Per gli islamisti è una prova, vedere fin dove ci si può spingere nella conquista dello spazio pubblico. Si pone un fatto, quindi si apre il dibattito e, come vediamo per Pioltello, si fa un altro passo nel processo di radicamento istituzionale dell'islam. Oggi si concede una festa in una scuola, domani sarà legittimo richiederlo per tutte le scuole, e non solo. Oggi vale per una festa, domani si chiederà per le altre.
È una prova, così come l'episodio avvenuto all'inizio di marzo in una scuola elementare di Pordenone, quando una bambina di 10 anni è stata mandata a scuola vestita col niqab, l'abito scuro che copre tutto il corpo e il viso, lasciando visibili solo gli occhi. La mediazione dell'insegnante ha fatto sì che dal giorno dopo la bambina si presentasse "solo" con l'hijab, il velo che copre i capelli, la stessa bambina che due giorni prima non aveva né l'uno né l'altro.
È così che pian piano l'islam occupa degli spazi e trasforma la società, mentre gli uomini di Chiesa si ritirano e invece di annunciare Cristo "opportune et importune", pensano a negoziare degli spazi in cui sopravvivere.
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