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KATYN: UN FILM DA NON PERDERE (1° PARTE)
''Venne così annientata la futura classe dirigente della Polonia'' Giampaolo Pansa
di Stefano Lorenzetto
 

Mario Mazzarotto, distributore dell'opera di Wajda candidata all'Oscar che Berlusconi ha consigliato ai leader della nato. Il film sul massacro voluto da Stalin escluso dalla Mostra di Venezia, proiettato soltanto in 7 sale su 4mila. "Ho scritto a Franceschini, segretario del Pd: non mi ha neppure risposto".
Dal diario, anzi dal bestiario, di un onesto giornalista di sinistra: «Finalmente sono riuscito a vedere Katyn. È il film di Andrzej Wajda sul massacro degli ufficiali polacchi, compiuto dai sovietici nella primavera 1940. Vennero uccisi uno per uno, con il colpo di rivoltella alla nuca. Ancora oggi non si conosce con certezza il numero degli assassinati, si va dai 4.000 ai 22.000. Molti erano civili chiamati alle armi. Venne così annientata la futura classe dirigente della Polonia. L’opera di Wajda è bellissima e straziante». Beato Giampaolo Pansa (Il Riformista).
E beati i critici cinematografici che hanno avuto il suo stesso privilegio. Tullio Kezich (Corriere della Sera): «In un Paese che insiste a dirsi civile, questo sarebbe un film da vedere in piedi». Fabio Ferzetti (Il Messaggero): «Una lezione di storia». Natalino Bruzzone (Il Secolo XIX): «Un’opera solenne, ieratica, toccante e austera».
Qualcosa non quadra. A due mesi dall’uscita, Katyn può vantare la circolazione di un samizdat. Su 107 capoluoghi di provincia, in questo fine settimana lo proiettano solo a Milano, Rimini e Napoli. Per vederlo altrove, bisogna rivolgersi ai cinema parrocchiali Don Fiorentini di Imola e Lanzi di Corridonia o al Capitol di Fiorenzuola d’Arda, circuito d’essai. In totale 7 cinema sui 4.000 sparsi in Italia. Lo 0,18 per cento delle sale.
Ma anche fra i giornalisti non tutti hanno avuto la fortuna di Pansa. Un esempio di cui ho conoscenza diretta: l’altro ieri ho dovuto percorrere 1.100 chilometri in auto fra andata e ritorno, arrivare sino a Pescara e cercare il più fantomatico indirizzo in cui mi sia mai imbattuto da quando perlustro il Belpaese: piazza 19 Da Denominare. Qualcosa che mi ha ricordato il limbo dei giusti scaraventati nelle fosse di Katyn, ma anche il tormento di una regione che deve provare a risollevarsi dal terremoto guidata da burocrati provvisti di una simile fantasia toponomastica. Qui in Abruzzo, nella sede della Gm produzioni, ho incontrato Mario Mazzarotto, l’uomo che ha portato Katyn in Italia. Nel Dvd che mi ha messo gentilmente a disposizione neppure la dicitura «Not for commercial use», in sovrimpressione dall’inizio alla fine, riesce a scalfire la potenza drammatica delle scene, tanto opprimente quanto priva di retorica. Alla fine restano solo i bottoni delle uniformi. Quelli cantati dal poeta Zbigniew Herbert, i «bottoni irriducibili testimoni del crimine»: «Hanno vinto la morte, risalgono dal fondo in superficie, unico monumento sulla loro tomba». Stanno lì a ricordare che «Dio terrà i conti».
Tutti incensano l’ottantatreenne Wajda, premio Oscar e Orso d’oro alla carriera, regista di capolavori come I dannati di Varsavia, Cenere e diamanti, L’uomo di marmo e L’uomo di ferro, premiato a Cannes nel 1981. Tutti parlano di Katyn, candidato all’Oscar 2008 come miglior film straniero e dedicato dal regista alla memoria del padre Jakub, capitano del 72° reggimento di fanteria trucidato nel villaggio russo sul fiume Dnepr. Tutti gli addetti ai lavori lo reputano un film struggente. Ma agli italiani è vietato vederlo. Appena in 20.000, a tutt’oggi, ci sono riusciti. Persino il presidente del Consiglio è stato costretto a procurarsene una copia di cortesia e a guardarselo privatamente di notte, in una camera d’albergo, mentre partecipava al vertice della Nato a Strasburgo. Il giorno dopo ne ha raccomandato la visione a tutti i leader dell’Alleanza atlantica e subito il premier britannico Gordon Brown ha seguito il suo consiglio.
Sì, qualcosa non quadra. Proiezioni carbonare nei cinema parrocchiali. Spettatori che si mettono pazientemente in fila davanti al botteghino e vengono rimandati a casa per esaurimento dei posti. Due centimetri di rassegna stampa, 137 pagine raccolte in poche settimane da Press index, dove le parole più ricorrenti nei titoli sono «boicottato», «nascosto», «segreto». Quando il produttore cinematografico Mazzarotto, amministratore unico della Movimento Film che s’è assicurata i diritti di distribuzione di Katyn, ha scelto come sottotitolo per l’edizione italiana Il mistero di un crimine mai raccontato, tutto avrebbe immaginato tranne che di vederselo correggere da una censura invisibile e ferrigna. Adesso tanto varrebbe modificarlo: Il mistero di un crimine che non deve essere raccontato.
La storia si ripete. Per mezzo secolo l’Unione Sovietica attribuì ai nazisti l’eccidio di Katyn. Data l’esperienza di Adolf Hitler nel ramo, il mondo intero non coltivò molti dubbi in proposito. Si dovette aspettare la glasnost, la trasparenza introdotta da Michail Gorbaciov nel 1990, per conoscere la verità già affiorata al processo di Norimberga ma sempre negata dalla macchina propagandistica bolscevica: la strage dei 22.000 ufficiali polacchi era stata ordinata da Stalin.

 
Fonte: Il Giornale, 27 aprile 2009