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La sollecitudine di Cristo unico e vero buon pastore, emerge oggi dal brano del Vangelo. Dio è il pastore del suo popolo: Cristo, figlio di Dio, è il buon pastore inviato alle pecore sperdute della casa di Israele. La profezia divina della prima lettura, trova attuazione e verità con la venuta di Gesù Cristo, che si prende cura con bontà e misericordia del suo gregge, per il quale non esiterà a donare la vita. La gente – abbiamo ora ascoltato – assedia Gesù e i suoi – non hanno neppure tempo di mangiare ‒; Gesù e i Dodici non hanno da donare loro cibo e ricchezza, bensì il Vangelo, la parola di verità del Vangelo di cui l’uomo è affamato. Gli apostoli si riuniscono nuovamente attorno a Gesù: ritornano dalla missione e gli raccontano quanto hanno fatto e insegnato. Sono ricchi ora di esperienze e di notizie, forse anche di riuscite e di insuccessi. Il Signore li invita al riposo e al silenzio, a una intimità che distende il corpo e lo spirito, dove è possibile ripassare e valutare insieme le vicende apostoliche. È una pausa necessaria: “Riposatevi un po’, perché l’anima non si disorienti e perda l’equilibrio, e il corpo rinvigorito la soccorra”.
C’è un dovere evangelico di questa quiete, che rasserenando riconosce alla persona umana l’indole oggettiva di creatura, con i suoi multiformi limiti; e preserva dal rischio di un attivismo incessante, esposto a perdere facilmente la giusta gerarchia dei valori. Ma la folla preme, spinta dal bisogno invade subito quella solitudine. E Gesù né l’allontana né si spazientisce. Al contrario, si sente intimamente preso all’affetto, fino alla commozione. Di là dal movimento scomposto e inopportuno, vede le carenze e le necessità; i diritti, i desideri di quella folla. Vede il mistero e l’assoluto che ciascuno personalmente porta in sé, dietro la moltitudine anonima: perché nessuno è anonimo per Gesù Cristo, che ci conosce a uno a uno, e sa bene cosa c’è nel cuore di ognuno di noi.
GESU' CI NUTRE CON LA SUA PAROLA E CON L'EUCARISTIA
Erano come pecore senza pastore, lasciate a sé, senza orientamento e senza dottrina: Si mise a insegnare loro molte cose, annunzia cioè la parola di liberazione e di sollievo, di provvidenza e di amore. Gesù – che anche moltiplica i pani e i pesci – nutre in particolare con la parola del Vangelo, che scende nel cuore e lo illumina. Certo, quella parola non è una delle tante che quella stessa folla poteva raccogliere, o perché saliva dai pensieri di ciascuno, o perché l’andava ricevendo per vicendevole trasmissione, oppure perché impartita da quanti, ufficialmente, interpretavano la legge. È una Parola nuova, che coincide con Cristo stesso.
Anche adesso l’unico pastore del popolo di Dio è Gesù Cristo. Nessun ministero lo sostituisce, tutti lo rappresentano e lo evidenziano: ne sono al servizio. Sono il sacramento della sua permanente presenza, come strumenti e mezzi di comunione. È sempre e solo Gesù che colma il suo popolo della grazia dei santi misteri, quali sono la Parola e l’Eucaristia: Il Signore è il mio pastore. Non altri. È lui il protagonista nei vari sacramenti: quello dell’acqua, della mensa, dell’olio, per usare e trasfigurare nel loro significato pieno le immagini del salmo del pastore. Gesù Cristo, infatti, non dona al gregge qualche cosa, bensì se stesso, divenuto l’unico e perfetto sacrificio.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
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