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Chi ha un po’ di dimestichezza sa che cosa sia una battuta di caccia. I battitori fanno rumore e spingono la preda dove sono appostati altri cacciatori. L’animale, credendo di mettersi in salvo finisce per andare incontro al suo ultimo destino. Così fanno da oltre trent’anni i radicali. Propagandano cifre inventate, denunciano emergenze che non ci sono, usano i casi pietosi e spaventano usando con indiscussa perizia le compiacenti sentenze della magistratura.
La società risulta così talmente allarmata da pensare di salvarsi attraverso il sentiero legislativo, la regolamentazione delle procedure limitata ai pochi casi eccezionali. Persino cattolici di eccezionale qualità culturale sembrano ogni volta cascare nel tranello dei battitori radicali, entrati in azione allora per l’aborto, oggi per l’eutanasia.
Si pensa che la soluzione stia nel legiferare sul testamento biologico; errore, il testamento biologico non è la via di salvezza, è il cavallo di Troia per introdurre l’eutanasia.
Nella scorsa legislazione la commissione giustizia, relatore fu il magistrato del PD Felice Casson, emise il parere secondo cui il medico che nell’adempimento delle volontà espresse nel testamento biologico avesse commesso un illecito penale, non sarebbe stato imputabile. Se quindi nel testamento biologico fosse scritto: “in certe condizioni, ammazzatemi” il medico che seguisse tale direttiva avrebbe l’immunità.
Si dice che la sentenza della Cassazione ha già introdotto il testamento biologico in una delle sue forme più deleterie, quella del testamento biologico presunto, per cui tanto varrebbe fare una legge per almeno legittimarne soltanto la forma scritta. Mi permetto di dissentire per questi tre motivi: le sentenze hanno validità solo per il caso specifico, l’effetto pedagogico derivante dalla legge ha portata enormemente superiore. La partita giudiziaria non è ancora conclusa. La magistratura politicizzata e creativa non si farebbe scrupolo di escogitare interpretazioni estese del testo legislativo.
A queste considerazioni si potrebbe giustamente ribattere che non è facile trovare una risposta nella situazione attuale. Giusto, mi limito ad indicare quella che personalmente ritengo sempre sia la strada migliore: la verità. La verità è che il testamento biologico è un pessimo strumento per assicurare l’autonomia del paziente all’interno del pessimo contrattualismo medico.
Solo per citare qualche semplice dato. Secondo lo studio Ethicus che ha riguardato le rianimazioni europee, il testamento biologico ha guidato il comportamento del medico in solo un caso su cento. Nello studio Support, condotto su quasi cinquemila pazienti ricoverati per grave malattia in cinque grandi ospedali americani, le direttive del paziente sono risultate appropriate alla situazione clinica soltanto in 22 casi e sono state seguite in nove).
Su oltre mille pazienti londinesi solo la metà riconosce la differenza tra infarto miocardico e arresto cardiaco. In uno studio condotto dai medici dell’Università Pittsburgh nessun paziente, dopo averne parlato col medico, aveva capito bene che cosa fosse la ventilazione meccanica. In USA il tempo dedicato dai medici a discutere coi loro pazienti del testamento biologico è di 5,6 minuti. Eppure in queste condizioni si presumerebbe che il paziente decidesse dei trattamenti da applicare in scenari futuri, ipotecando così la propria vita.
È stato recentemente pubblicato uno studio che mette in guardia dal testamento biologico: coloro che ne avevano compilato uno hanno ricevuto con maggiore probabilità trattamenti non corrispondenti alle migliori cure per l’infarto. È dimostrato che i pazienti cambiano opinione sui trattamenti che intenderebbero ricevere già dopo quattro mesi, ma la maggior parte di questi non si rende neppure conto che ha cambiato opinione, per cui non pensa di dovere modificare il proprio testamento biologico. Non è un caso che dopo trent’anni dalla loro promulgazione in America sulla rivista dell’Hastings Center sia stata pubblicata una revisione dal titolo assai eloquente: “Basta, il fallimento del testamento biologico”.
Chi davvero sta a contatto dei pazienti e dei familiari sa bene che costoro chiedono di potere avere fiducia in medici capaci di meritarla, professionisti in grado di esercitare le virtù del buon medico, che si aprono alla persona malata con coscienza retta e debitamente formata. L’incontro tra una fiducia e una coscienza, è questa l’espressione con cui la relazione personale tra medico e paziente è stata definita nella carta degli operatori sanitari. Se come medici sapremo parlare al cuore e alla mente dei colleghi, dei pazienti, dei familiari, se sapremo fare diventare vita questa espressione, se con professionalità e dignità ci disporremo al confronto con le istituzioni, sono convinto che tanta carta verrà risparmiata, i cacciatori rimarranno a stomaco vuoto, ma soprattutto tante sofferenze inutili potranno essere evitate e tanto bene sarà fatto.
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