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Una conferma alle critiche verso la mentalità e la prassi pro-aborto arriva in modo inaspettato da un’autorevole fonte scientifica. Sollecitata dalle critiche che nascono dal mondo scientifico, l’American Academy of Psychiatry (Aap) ha compiuto un’indagine per capire se i riscontri di esiti negativi dell’aborto sulla salute mentale femminile sono reali oppure semplicemente sporadici.
Evidentemente tanto sporadici non devono essere se, per esempio, nello Stato del Sud Dakota per legge si deve spiegare alla donna che vuole abortire che questo può comportare dei rischi psicologici per lei stessa, o se nel 2006 il Journal of Youth & Adolescence riportava che abortire è un rischio per la salute mentale. Tuttavia l’Aap ha esaminato ben 50 studi scientifici e ha concluso «rassicurando» che, come riporta la rivista Lancet, «tra le donne adulte che hanno una gravidanza non programmata, il rischio di problemi mentali non è maggiore se abortiscono o se portano a termine la gravidanza».
Altro che «rassicurazione»! In realtà questo è un gol incassato da chi sostiene che abortire va nell’interesse delle donne.
Proprio così: non abortire ha un effetto sulla salute mentale della donna paragonabile a scegliere l’aborto. Ma non ci avevano detto che la donna può abortire esclusivamente per salvaguardare la propria salute? Proprio su questo si basa la legge 194. E se i maggiori centri di ricerca del mondo ci dicono che invece far nascere non è un rischio per la salute della mamma, tutto l’impianto di questa legge finirebbe per crollare.
E’ un fatto epocale, a ben vedere, perché mostra che l’aborto non è una soluzione nell’interesse della salute della donna, ma piuttosto una scelta presa più per la paura e la solitudine che per un motivo oggettivo. C’era sempre sembrato strano che abortire fosse una sorta di terapia, e qui trova conferma il dubbio: abortire non cura nessuno. D’altronde, chi non ha mai trovato strano che, se l’aborto è una «terapia» per preservare la «salute» della mamma, esso sia l’unico caso in tutta la medicina in cui il (la) paziente si auto-diagnostica la malattia e si auto-prescrive il rimedio? Questo vale per gli aborti fatti nel primo trimestre di gravidanza, ma ci farebbe piacere conoscere (e il Ministero dovrebbe adoperarsi per farcelo sapere) in che percentuale questa capacità auto-diagnostica è confermata dagli esperti in caso di aborto tardivo: ovvero quanti sono i casi in cui lo psichiatra, a fronte della «auto-diagnosi» di rischio per la salute fatta dalla donna, dice che questa diagnosi non è esatta.
Non sono cose da poco, perché se la 194 viene definita intoccabile, è pur vero che ne reclamiamo l’applicazione totale, della quale fa parte anche l’accertamento delle condizioni di salute e di rischio per la salute che la gravidanza comporta. Ma se un consesso clinico internazionale ne sconfessa le premesse scientifiche, spiegando che la nascita di un figlio indesiderato non è un rischio, su cosa si reggerà ormai questa legge?
In realtà la mentalità che vede l’aborto come un diritto sta scricchiolando e mostra le rughe della vecchiaia inoltrata.
Lo vediamo ad esempio dalle reazioni scomposte alla candidatura negli Usa di una possibile vicepresidente che ha la «colpa» di non aver abortito il figlio Down: si è scatenata una campagna mediatica virulenta, tanto che persino nel vicino Canada alcuni giornali riportano i timori, se Sarah Palin venisse eletta, che il suo esempio avrà «un effetto negativo sulle donne». Ci si sarebbe aspettato che i gruppi femministi esultassero per la possibilità che una donna giunga a una carica così alta, o per la forza dimostrata dalla Palin nel gestire figli e famiglia e carriera. Invece abbiamo visto solo strali negativi, segni di un nervosismo che monta di fronte a una donna forte ma eticamente controcorrente.
Insomma, se non si può aggiornare la legge 194 almeno va aggiornata la nostra mentalità, dicendo chiaramente che l’aborto come «diritto» è cosa vetusta, sconfessata dalla scienza e pericolosa in quanto lascia le donne sole. E anche alla luce dei nuovi dati scientifici vogliamo un maggior impegno da parte dei mass media e dello Stato per mostrare che le scorciatoie della cultura occidentale di fronte alle difficoltà (droga, eutanasia, aborto) sono roba del secolo scorso. Un secolo di cui, su questo fronte, c’è davvero poco da rimpiangere.
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