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Contraddittorie le indicazioni ai docenti: parlare del regime ma non criticare i leader. Secondo i nuovi programmi, il dittatore «agiva razionalmente, in base alla situazione».
Il ministero ha diramato una direttiva sullo studio del premio Nobel e della sua opera
In Russia regna un no¬tevole disorientamen¬to per quanto riguarda l’insegnamento della sto¬ria: come conciliare l’idea della continuità del Paese come 'grande potenza' con la necessità di spiega¬re il terrore staliniano e di prendere posizione rispet¬to a esso? Ciò genera una serie di contraddizioni ap-parentemente senza via di uscita.
A poco più di un mese e mezzo dalla morte di Alek¬sandr Solzhenitsyn, il mi¬nistero dell’Istruzione del-la Federazione Russa ha e¬manato una ' direttiva' sullo studio della sua ope¬ra nelle scuole. Il docu¬mento constata che oggi il grande scrittore viene stu¬diato nel corso di lettera¬tura del Ventesimo secolo, ma «spesso gli insegnanti danno un’idea frammen¬taria della sua personalità e della sua opera». Il mini¬stero raccomanda di «con¬centrarsi sulla sua biogra¬fia, sulla storia dell’assegnazione ad esso del pre¬mio Nobel per la letteratu¬ra e della sua espulsione dall’Urss ». In particolare, nelle classi superiori oc¬corre «svolgere dibattiti, seminari e tavole rotonde che coinvolgano gli stu¬denti nella discussione dei temi toccati dallo scritto¬re» . Benissimo. Ma tutto que¬sto comporta sviscerare te¬mi come il terrore stalinia¬no nel suo insieme, il si¬stema dei Gulag, gli arresti e le esecuzioni indiscrimi¬nate di milioni di persone, la persistenza del totalita¬rismo anche dopo la mor¬te di Stalin. E tutto questo contrasta con un’altra di-rettiva, emanata dall’Acca¬demia pedagogica per l’in¬segnamento della storia, nella quale prevale l’inter-pretazione 'giustificazio¬nista' del terrore stalinia¬no.
Lo 'scandalo' è denuncia¬to da un giornale russo di orientamento liberale, Vremja Novostej. Tutto è partito dalla discussione di un manuale per gli istituti superiori, scritto da Alek¬sandr Filippov, Storia della Russia 1945-2007, che mol¬ti considerano il testo-ba¬se per l’insegnamento del¬la storia di quel periodo e che viene 'raccomandato' dal ministero stesso agli in¬segnanti di tutto il Paese. Le ' direttive' dell’Accade¬mia pedagogica sostengo¬no che «l’attenzione fon¬damentale degli studenti deve concentrarsi sulla spiegazione dei motivi e della logica delle azioni del potere». Vremja Novostej commenta: « Così, fin dal¬l’inizio, ci raccontano che la storia di cui si propone lo studio è in primo luogo la storia del potere. La storia della gente non c’è. Ri¬mangono solo i fini e i mezzi dello Stato. E ben¬ché la parola 'giustifica¬zione' non figuri, in so¬stanza si tratta proprio del¬la giustificazione dei mez¬zi». Infatti, nelle direttive del¬l’Accademia leggiamo: «È necessario indicare che Stalin agiva in una situa¬zione storica concreta, a¬giva in modo pienamente razionale, come gestore del sistema, come coerente as¬sertore della trasformazio¬ne del Paese in una società industriale guidata da un unico centro, come leader di un Paese minacciato a breve da una grande guer¬ra». Tutto il resto è visto in quest’ottica: negli anni ’30, «nelle campagne dell’Urss, non vi fu una carestia or¬ganizzata. La carestia fu provocata sia dalle condi-zioni meteorologiche sia dal carattere incompiuto dei processi di collettiviz¬zazione» . E il 'giustificazionismo' continua: negli anni ’ 30, nel quadro della moder¬nizzazione dell’Urss, non venne costruito né il so¬cialismo, né il capitalismo, ma la «società industriale»; il patto Molotov- Ribben¬tropp fu una risposta al trattato di Monaco, l’ag¬gressione alla Polonia del 1939 fu dettata dalla ne¬cessità di «liberare i terri¬tori di Ucraina e Bielorus¬sia» (si veda oggi il caso della Sud Ossezia). Per quanto riguarda l’annessio¬ne dei Paesi baltici nel 1940, essa fu motivata dal fatto che «in passato essi appartenevano all’Impero Russo» . E i popoli ( ceceni ed altri) deportati in mas¬sa nel 1944? Secondo le di¬rettive dell’Accademia, oc¬corre parlarne «con parti¬colare riservatezza e pru¬denza» . Le 'direttive' dell’Accade¬mia pedagogica pur non negando la fucilazione da parte dell’Nkvd di alcune migliaia di prigionieri di guerra polacchi a Katyn nel 1943, affermano che «que¬sta fu non solo una que¬stione di opportunità poli¬tica, ma anche una rispo¬sta alla morte di molte de¬cine di migliaia di soldati dell’Armata Rossa, fatti pri¬gionieri dai polacchi dopo la guerra del 1920, iniziata non dalla Russia Sovietica, ma dalla Polonia». Vremja Novostrj commenta: «In¬somma, di fatto viene am¬messo il principio della 'giusta' vendetta storica». Resterebbe da spiegare co¬me tutto ciò si concili con l’esortazione ad approfon¬dire lo studio dell’opera di Solzhenitsyn.
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