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Nessuna persona in salute può prevedere che cosa prova quando si è colpiti da una malattia incurabile, né i progressi scientifici e medici nella cura. E potrebbe cambiare idea su come essere trattato, senza però essere in grado di dirlo.
Che cos'è il testamento biologico? Il testamento biologico è un documento redatto o un modulo sottoscritto da un qualsiasi cittadino con il quale egli, oggi sano, esprime la sua volontà circa i trattamenti sanitari e circa il suo morire, per il tempo in cui non sarà in grado di intendere e di volere.
Il testamento biologico - sostengono alcuni - sarebbe un ottimo strumento per escludere l'accanimento diagnostico-terapuetico. Ma l'accanimento è concordemente condannato: il Codice di deontologia medica contempla già tra i doveri del medico l'evitare l'accanimento. Perciò sotto questo profilo il testamento biologico è perfettamente inutile.
TESTAMENTO BIOLOGICO E CONSENSO INFORMATO
II testamento biologico viene salutato come la più alta espressione della volontà del paziente, come il traguardo del consenso informato. Il cittadino, quando dovesse redigere il testamento biologico, sarebbe costretto ad immaginare una situazione futura sconosciuta, dovrebbe rispondere a una domanda simile: se mi trovassi attaccato ad un respiratore o immobilizzato in un reparto di rianimazione, che cosa chiederei al medico? Davanti ad un'ipotesi simile tutti proviamo paura ed orrore e ciò condiziona potentemente l'espressione della volontà.
L'estensore del testamento subirebbe cosi una coartazione della volontà ed esprimerebbe le proprie disposizioni senza conoscerne con precisione l'oggetto. Il testamento biologico non può essere giustificato sulla base del consenso informato, perché il consenso deve essere espresso quando il medico comunica la diagnosi e propone la terapia e l'informazione deve riguardare un quadro clinico concreto e non ipotetico.
TRE OBIEZIONI
Inoltre, la prudenza che nasce dall'esperienza della vita concreta può fare tre obiezioni.
1) Nessuna persona sana e nel pieno possesso delle facoltà mentali può sapere che cosa si prova quando si è colpiti da una i malattia incurabile e si è entrati nella fase avanzata di essa. Chi scrive il testamento è estraneo al vissuto della malattia. Perciò invocare il principio del consenso informato è fuorviante.
2) Nessuno può prevedere con certezza quali saranno i progressi scientifici e medici nella diagnosi e nella cura di una malattia. Terapie oggi penose, domani, grazie ai progressi tecnici, potrebbero essere praticate con minori oneri. Perciò il testamento reso oggi per un futuro prossimo o remoto potrebbe diventare impreciso o fuori luogo.
3) Non è detto che le volontà che io oggi esprimo corrispondano esattamente a ciò che io desidererà quando sarò colpito da una malattia grave e sarò incapace di esprimere i miei desideri. Potrei aver cambiato idea e non aver avuto il tempo di manifestarlo. Posti tutti questi dubbi circa un bene fondamentale, com'è quello della vita, è doveroso astenersi da qualsiasi atto che possa pregiudicarla in forza del principio di precauzione.
In altri termini, è vero che il medico non può essere certo che il malato abbia cambiato idea: potrebbe averla cambiata, il che è la cosa più probabile, però può anche non averla cambiata. Ma se è in dubbio sull'autentica volontà attuale del soggetto, non deve correre il rischio di non somministrare delle terapie proporzionate senza le quali il malato muore.
TESTAMENTO BIOLOGICO E LIBERTÀ DEL PAZIENTE DI DECIDERE IN AUTONOMIA
II testamento biologico è presentato dai suoi fautori come l'espressione più alta dell'autonomia del paziente: il malato sarebbe finalmente protagonista della propria vita, potrebbe decidere con la massima autonomia senza subire angherie dalla medicina moderna ed iniziative gratuite dal medico. Il modello medico-paziente che sottostà al testamento biologico è quello contrattualistico che suppone una parità fra medico e paziente. Tale modello, però, altera l'identità delle due figure. Il medico, da professionista che agisce nell'interesse ed in vista della salute del paziente, è ridotto ad essere un esecutore delle volontà del paziente: il medico sarà anche abilissimo tecnicamente, ma, una volta introdotto il testamento biologico, non potrà più prendere alcuna decisione e, se le disposizioni del testamento biologico fossero vincolanti, non avrebbe più la facoltà di valutare il quadro clinico ed il carattere proporzionato o meno delle terapie.
Il paziente diventerebbe un puro cliente che potrà chiedere tutto al medico. Il testamento riconoscerebbe al paziente anche la capacità di prevedere a tavolino un astratto quadro clinico e fissare dei limiti oltre i quali ci sarebbe accanimento.
In realtà, la parità tra i due contraenti non esiste, perché il medico «sa», mentre il paziente, anche quando è perfettamente informato sulle sue condizioni e sulle possibilità terapeutiche, non è libero di sfuggire alla malattia e spesso è incapace di un confronto obiettivo con istanze morali e scientifiche. Il rapporto medico-paziente è un rapporto strutturalmente asimmetrico. Il medico, se non vuole essere ridotto a semplice erogatore di servizi, deve conservare la sua autonomia professionale e la sua dignità etica per cui, avendo di mira il bene e la vita del paziente, valuterà sempre se le richieste del paziente o il trattamento terapeutico adottato siano adeguati al caso concreto.
È decisivo che il medico si faccia carico dello stato complessivo del paziente suo interlocutore, creando tutte le condizioni perché il paziente, mediante il dialogo, l'informazione e l'incoraggiamento, possa orientarsi verso la scelta migliore per la sua persona. Inoltre, il quadro clinico è qualcosa di estremamente mutevole e ciò incide sulla necessità di valutare in tempo reale e non astrattamente il grado di proporzione tra terapia ed effetti ottenuti o sperabili.
Perciò, il testamento biologico, mentre sembra esaltare la libera scelta del malato, in realtà ne lede gravemente la dignità, perché il valore di un individuo umano, per quanto malato, non dipende dalla più o meno normale vita di relazione, che è in grado di vivere. Il testamento biologico carica il futuro paziente di una responsabilità sproporzionata, quella di prendere adesso una decisione immaginando una situazione futura del tutto sconosciuta.
TESTAMENTO BIOLOGICO E TESTAMENTO PATRIMONIALE
Inoltre, dicono alcuni, come lo Stato riconosce efficacia giuridica al testamento con cui un cittadino dispone dei suoi beni patrimoniali, così è necessaria una legge dello Stato che dia efficacia giuridica alla volontà del cittadino in ordine alla fase finale della sua vita. In questo j modo il testamento biologico renderebbe disponibile il bene della vita fisica. Ora, le moderne società civili si fondano sul principio dell'indisponibilità della vita fisica, cioè del mio esistere. La vita fisica è indisponibile:
1) perché il mio esistere è la condizione! per poter compiere atti e gesti di libertà. Perciò è ovvio ricordare che, se disponessi del mio esistere privandomi di esso, mi precluderei qualsiasi esercizio futuro della libertà;
2) perché io, pur godendo dell'esistenza, sperimento di non esser venuto all'esistenza di mia iniziativa, ma piuttosto che l'ho ricevuta e che mi potrebbe essere tolta in qualsiasi istante, sebbene la volontà mia o altrui si opponga.
lo non sono la causa efficiente del mio esserci. Perciò devo ammettere di dipendere nell'essere e che il mio esistere è un bene che non mi sono dato. Ora, mentre posso disporre di quei beni alla cui esistenza io concorro come causa efficiente (come ad esempio la proprietà di oggetti o le prestazioni professionali), non posso eticamente disporre di quei beni di cui non sono causa. Ed è proprio questo il caso del mio esserci.
Sul principio «l'esistenza fisica umana è un bene indisponibile» si è costrutta la civiltà umana e la pacifica convivenza. Da esso si è sviluppata la convinzione della pari dignità e dell'uguaglianza tra gli esseri umani, perché dire che l'esistenza fisica umana è un bene indisponibile significa dire che essa non ha un prezzo, non è misurabile in termini monetari, ma ha un valore mai riducibile in termini quantitativi, ha appunto una dignità eccelsa.
TESTAMENTO BIOLOGICO E ABBANDONO DEL MALATO
Chi redige il testamento si espone - forse I senza saperlo - al rischio di morire di fame e di sete rinunciando all'idratazione ed all'alimentazione mediante fleboclisi o sondino naso-gastrico. Le motivazioni addotte a favore del testamento biologico giocano su un'ambiguità: per evitare l'accanimento - terapeutico si propone il testamento biologico, cioè la generica e vaga rinuncia a terapie. Tuttavia, mentre è moralmente lecito, anzi doveroso, sospendere tutti quegli atti diagnostici o/e terapeutici che si configurano come accanimento ostinato, non è mai lecito omettere di idratare e alimentare, perché idratare ed alimentare non sono terapie.
Se lo fossero, allora tutte le volte che ci sediamo a tavola ci sottoporremo a una terapia? Il testamento biologico nella sua genericità legittima l'abbandono terapeutico di molti malati che grazie alle moderne tecnologie potrebbero continuare a vivere e ad esprimere la loro personalità. Attenua la solidarietà umana e i! vincolo morale e professionale che lega il medico al bene della persona malata. Spinge verso l'eutanasia volontaria e preventiva.
UNO SCUDO PER I MEDICI
L'effetto principale del testamento di vita consiste nel mettere al riparo i medici dal pericolo di azioni giudiziarie in sede civile da parte dei parenti insoddisfatti per un trattamento in fase cronica o terminale. È in altre parole una specie di ombrello difensivo per i medici e per tutto il mondo che ruota intorno all'atto medico e alle responsabilità ad esso collegate. Con questo «trucco" legale, infatti, il medico si libera della responsabilità e scarica ogni decisione sulla volontà del paziente. Cosi, le assicurazioni degli ospedali e delle aziende sanitarie che tutelano l'operato dei dici possono stare finalmente più tranquille.
Per uscire dalla logica del testamento biologico è necessario superare il sospetto che il medico non agisca nell'interesse del paziente e promuovere il modello dell'alleanza terapeutica (cfr. il mio articolo sul Timone di gennaio) e l'umanizzazione del rapporto medico-paziente.
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