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C'è un passaggio, nella lettera che Papa Ratzinger ha inviato ai vescovi di tutto il mondo riguardo al caso Williamson e alla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, che lascia trasparire tutta la sofferenza interiore e l'amarezza che il pontefice deve aver provato in queste ultime settimane a causa delle critiche e degli attacchi subìti per le decisioni da lui assunte nei confronti degli scismatici di Ecône. Scrive a un certo punto Benedetto XVI: «Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco». Il Papa non fa - com'è ovvio - nomi né cognomi, ma è facile pensare che egli si riferisca a quegli episcopati europei che non hanno mancato di esprimere in forma ufficiale e pubblica la loro presa di distanze dalla scelta pontificia. Ma non solo, visto che larga parte della stessa pubblicistica cattolica non si è mostrata di certo entusiasta nel vedere «condonata» la scomunica i seguaci di monsignor Lefebvre. In più, si tengano a mente le dichiarazioni, le interviste, le prese di posizione di numerosi teologi che si sono affrettati a spiegare urbi et orbi che l'atto papale ha rappresentato un netto passo indietro nella storia della Chiesa.
Un quadro davvero desolante, che però non deve stupire più di tanto. Esiste infatti a tutt'oggi, nella Chiesa cattolica, una sorta di «pensiero dominante» che si nutre di luoghi comuni ormai in voga da decenni, che venera anch'esso i suoi totem ideologici, che considera alla stregua di un reato di lesa maestà la messa in discussione dei suoi slogan «ecclesialmente corretti». Quasi inutile ribadire che tra questi luoghi comuni, tra questi totem, tra questi slogan, c'è quello della mitizzazione del Vaticano II, pensato come rifondazione della Chiesa, come rottura con una storia ritenuta infame, come presa di distanze da una tradizione da ripudiare. E' questo «pensiero dominante» che, sin dai primi mesi di pontificato ratzingeriano, diciamo sin dal discorso di Benedetto XVI alla Curia romana del dicembre 2005, riguardante la corretta ermeneutica del Concilio, ha soffiato sul fuoco della polemica, ha diffuso nell'opinione pubblica e nel mondo cattolico l'immagine falsata e artefatta di un Papa con lo sguardo tutto rivolto al passato, intento a restaurare ciò che il Vaticano II aveva superato, mosso unicamente da una ferrea e ostinata volontà conservatrice.
Una «leggenda nera» anti-ratzingeriana, questa, che ha conosciuto una seconda fase di sostanziosa crescita nel luglio del 2007, al momento dell'emanazione del motu proprio Summorum pontificum, con il quale Benedetto XVI ha «liberalizzato» la celebrazione della Messa secondo il rito di San Pio V, definito forma straordinaria dell'unica liturgia cattolica (la cui forma ordinaria è quella fissata dal Messale riformato da Paolo VI nel 1970). A quella decisione seguirono dapprima vibrate proteste, e poi un vero e proprio ammutinamento da parte di sacerdoti ma soprattutto vescovi, fermamente intenzionati a non concedere (contravvenendo così allo stesso dettato del motu proprio) la Messa col rito antico ai fedeli che legittimamente ne facevano richiesta.
E così arriviamo allo tsunami di polemiche di questi ultimi 40 giorni e alla lettera papale resa nota quest'oggi dalla Santa Sede. Una missiva che, se da un lato contiene il riconoscimento, da parte del Papa, di alcuni errori che potremmo definire «di gestione» dell'intera vicenda legata alla revoca della scomunica, dall'altro lato non fa che confermare ed esplicitare le ragioni e le motivazioni che hanno spinto Benedetto XVI a compiere un passo così importante: in primis la ricerca della «piena unità tra i credenti», compito specifico assegnato al successore di Pietro, come Ratzinger sottolinea nella seconda parte della missiva.
Ma il nocciolo della lettera è in fondo, ancora una volta, rappresentato dalla questione dell'interpretazione del Vaticano II: Ratzinger fa direttamente riferimento a coloro che a parole si dicono «grandi difensori del Concilio» senza però comprendere che esso è in continuità con «l'intera storia dottrinale della Chiesa»: «Chi vuole essere obbediente al Concilio - scrive il Papa - deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l'albero vive». E' chiaro che, seguendo una lettura distorta del Vaticano II, i lefebvriani divengono i supremi rappresentanti di tutti coloro che si sono opposti alla rottura col passato e alla discontinuità con la storia della Chiesa operate dal Concilio. Ed è per questo che essi non dovrebbero in alcun modo essere riaccolti, appunto perché emblema di una Chiesa che non esiste più, spazzata via dal vento della rivoluzione conciliare. Osservare come questa mentalità abbia messo radici profonde e quanto essa ancora incida all'interno della comunità cattolica ha evidentemente amareggiato il Papa, che si è visto contestato proprio da coloro che invece dovrebbero essere i suoi collaboratori fedeli e obbedienti.
Perciò, dopo aver puntualizzato che la revoca della scomunica si applica ai singoli e non all'istituzione, e che quindi la remissione operata a favore dei quattro vescovi lefebvriani non significa per ciò stesso la riappacificazione definitiva con la comunità San Pio X; dopo aver sottolineato che «da rappresentanti di quella comunità abbiamo sentito molte cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi»; ebbene, dopo tutto ciò Benedetto scrive: «Non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo». Più chiaro di così...
Concludendo: non sappiamo ancora come evolverà e quale esito finale avrà la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Quello che però già oggi si può sottolineare - e la missiva ne è indirettamente la conferma - è l'evidenza di un ampio dissenso nei confronti del pontefice all'interno della Chiesa stessa, l'emergere di un contrasto (tra Papa da un lato e parte di vescovi e teologi dall'altro) che tocca una ferita ancora aperta e sanguinante nel corpo ecclesiale (appunto l'ermeneutica del Concilio), di cui la questione lefebvriana è solo una manifestazione. Da questo punto di vista, Benedetto XVI ha davvero scelto, con coraggio, di dare un significato audace e profondo al suo pontificato, ben al di là di quella «continuità con Giovanni Paolo II» che a molti sembrava l'unica ragion d'essere dell'elezione di Ratzinger al soglio di Pietro.
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