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Destano perplessità i continui interventi con cui esponenti politici e lo stesso Beppino Englaro insistono per l’introduzione, nella legge sul testamento biologico, di emendamenti finalizzati a consentire la sospensione dell’idratazione e alimentazione. È lecito chiedersi se dietro tale insistenza non vi sia anche il tentativo di dare soluzione ai risvolti penali delle vicende udinesi.
Non vi è dubbio che la morte per disidratazione di Eluana è avvenuta a seguito dell’esecuzione di un 'protocollo', in forza del quale si provvide non solo alla chiusura del sondino nasogastrico, ma anche alla deliberata esclusione di qualsiasi forma alternativa d’idratazione e alimentazione, senza nemmeno tentare una seria riabilitazione della deglutizione, indispensabile premessa per la ripresa dell’idratazione e alimentazione per bocca.
Tuttavia, una condotta consistente nel privare una persona incapace d’idratazione e alimentazione sino a provocarne la morte non è consentita dall’attuale ordinamento e può configurare diverse ipotesi di reato (maltrattamenti in famiglia, omicidio ed omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio), se pure con responsabilità diverse, a seconda dell’atteggiamento psicologico dell’agente e della sua eventuale convinzione di agire conformemente alla volontà dell’incapace (artt. 572, 575 e seguenti, e 580 del c.p.). Contro tali ipotesi, si sostiene la legalità delle condotte eseguite per lasciar morire Eluana, in quanto avvenute in applicazione del decreto della Corte di appello, al quale si è preteso di attribuire efficacia di sentenza passata in giudicato, esecutiva ed obbligatoria. Si tratta evidentemente di una tesi infondata. Il provvedimento, infatti, autorizzava solo l’interruzione dell’uso del sondino nasogastrico e non la morte per disidratazione di Eluana. Inoltre, è noto che i provvedimenti di volontaria giurisdizione sono meramente autorizzativi e che la loro emissione ed esecuzione può avvenire solo entro i limiti e nel rispetto delle leggi vigenti. Ne deriva che il soggetto che provveda all’esecuzione di quanto autorizzato risponde comunque della sua azione, ove contrasti con norme vigenti e inderogabili.
Contrariamente alle tesi diffuse dal signor Englaro, dai suoi legali e pure, sorprendentemente, da alcuni alti magistrati, le condotte eseguite presso la 'Quiete' di Udine confliggono con norme penali inderogabili, e dovrebbero essere sufficienti a configurare l’elemento oggettivo di gravi reati. Ovviamente, la gravità della condotta illecita dovrebbe essere poi commisurata all’elemento soggettivo, anche in relazione allo specifico livello di preparazione giuridica e qualificazione professionale. Con le leggi penali vigenti, appare dunque da escludersi che si possa non procedere penalmente nei confronti di quanti hanno concorso, a vario titolo, al prodursi della morte di Eluana, al fine di accertarne le specifiche e personali responsabilità, pur tenendo conto dell’elemento psicologico e della condotta a ciascuno riferibile.
Al contrario, ogni punibilità sarebbe esclusa dall’approvazione di una legge che consentisse di interrompere l’alimentazione e idratazione nei soggetti in stato vegetativo, mettendo una pesante pietra su un fatto che ha profondamente scosso, insieme alle coscienze, la certezza del diritto e la credibilità dell’Ordinamento giuridico italiano.
Troverebbe, infatti, applicazione la norma secondo cui 'nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali' (art. 2, 2°, c.p.).
Paradossalmente, l’illegalità delle condotte poste in atto presso la 'Quiete', è sottolineata proprio dal fatto che, se - per ipotesi - esse non fossero illecite, non vi sarebbe alcun bisogno di introdurre per legge la novità di una autorizzazione alla interruzione di idratazione e nutrizione, come gli emendamenti al ddl Calabrò si propongono di fare.
Non è accettabile che siano equiparate a terapia, piuttosto che indispensabile soddisfacimento di bisogni fondamentali dell’essere umano, l’idratazione ed alimentazione di chi non possa provvedervi autonomamente e le cui condizioni siano tali che la morte consegua proprio dal mancato soddisfacimento di tali bisogni fondamentali.
Quanti si affannano a mediare per 'migliorare' il testo in discussione al Senato dovrebbero valutare se, nella delicata materia, debba prevalere la non punibilità di chi ha compiuto un’azione estrema (non consentita dalle leggi vigenti, benché sbandierata come lecita), o non debbano piuttosto prevalere altri e più elevati valori.
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