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« Tutto quello che sapete sul fascismo è sbagliato!». Questa provocatoria affermazione apre Liberal Fascism di Jonah Goldberg, (Penguin Books, pp. 488, sterline 9.99), un corrosivo e brillante saggio di storia delle idee che, dopo aver scalato i vertici di vendita delle classifiche statunitensi, approda nelle librerie del Regno Unito. Stufo di sentirsi dare del «fascista» per le sue idee, l’autore, che è un conservatore dichiarato, giornalista del Los Angeles Times e collaboratore della National Review, ha deciso di reagire dimostrando con solide argomentazioni che il fascismo non è affatto un movimento di destra o reazionario, bensì uno dei più riusciti esperimenti della sinistra rivoluzionaria, figlio diretto di quella Rivoluzione Francese da cui trae origine tutto il pensiero di sinistra e progressista, ovvero liberal. Goldberg fa brillantemente piazza pulita di tutti i luoghi comuni politicamente corretti, ricordando anzitutto le radici socialiste di Mussolini e del movimento nazionalsocialista. Tutta la politica del Ventennio deriva dai medesimi principi di giustizia sociale che hanno ispirato anche la rivoluzione bolscevica e il New Deal di Roosevelt, ottenendo però risultati assai migliori. Lo Stato, e non l’individuo con le sue capacità e intraprendenza, è sovrano, e allo Stato devono tendere tutte le energie della comunità, sia essa nazionale – come in Italia – oppure razziale come in Germania o politica come nella Russia sovietica o negli Usa degli anni Trenta. Al di là del concetto di bene comune, da perseguire con mezzi diversi, l’ideologia che unisce le varie rivoluzioni è il pragmatismo, l’onnipotenza del Capo e soprattutto il culto dell’azione, elementi che suscitarono negli Usa stima e ammirazione soprattutto negli ambienti progressisti, mentre all’estrema destra il Ku Klux Klan faceva professione di antifascismo. Non è un caso, infatti, che esistano, come fa acutamente notare Goldberg, moltissimi punti in comune tra fascismo italiano e populismo americano, un vasto movimento politico di sinistra che fu sul punto, alla fine dell’Ottocento, di conquistare la presidenza Usa in nome del popolo e della giustizia sociale contro l’onnipotente plutocrazia.
Al lettore italiano, grazie alla monumentale opera di Renzo De Felice, probabilmente questa ipotesi sembrerà meno stravagante di quanto non sia suonata oltreoceano, anche se il nostro scenario politico si presta ancora alla grossolana strumentalizzazione del concetto di «fascismo», brandito come una clava all’indirizzo dell’avversario politico di turno. Ma il fascismo storico, sconfitto dalla Seconda guerra mondiale, non segna la fine del fascismo ideale, che ritroviamo – secondo Goldberg – in tutte la manifestazioni più eclatanti della sinistra liberal e nelle azioni dei suoi leader carismatici, a partire dal quel John F. Kennedy, di cui si ricorda il vago progressismo pacifista, dimenticando per esempio che i suoi primi passi in politica furono mossi dall’adesione al movimento neutralista America First, accusato di simpatie con l’Asse. Per non parlare, poi, dei movimenti della sinistra più o meno estrema, che a un’accurata analisi rivelano più di una insospettata condivisione di idee e valori con quelli della Germania nazionalsocialista, cominciando dalla simpatia per l’ecologia e la vita sana e naturale.
Hitler era strettamente vegetariano e odiava profondamente i fumatori; Goering fu promotore di una legislazione a tutela della natura e degli animali che rimane ancora oggi un modello esemplare; Hess era un fanatico assertore dell’astrologia e praticava una religiosità che non sarebbe azzardato definire New Age. Per non parlare, infine, dell’esistenzialismo, così intimamente legato alla filosofia di Heidegger; dell’eugenetica, oggi così popolare tra i progressisti; del «decostruzionismo», termine addirittura coniato dagli hitleriani, e persino della critica al consumismo incarnato dai primi supermarket, creazioni del nemico capitalista e apolide, che il popolo doveva boicottare, preferendo le sane botteghe dei commercianti tedeschi.
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