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A partire dai principi espressi nella prima parte dell’Istruzione, vengono analizzati nella seconda parte alcuni problemi che sono emersi o si sono delineati negli anni successivi alla pubblicazione dell’Istruzione Donum vitae. Le questioni prese in esame sono:
1) Le tecniche di aiuto alla fertilità
2) La FIV (o fecondazione in vitro) e l’eliminazione volontaria degli embrioni
3) La ICSI (o iniezione intra-citoplasmatica di spermatozoi)
4) Il congelamento di embrioni
5) Il congelamento di oociti
6) La riduzione embrionale
7) La diagnosi pre-impiantatoria
8) Le nuove forme di intercezione e di contragestazione
Occorre richiamare, prima di prendere in esame le singole questioni, i tre beni fondamentali su cui si commisurano le singole scelte:
a) il riconoscimento della dignità di persona ad ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, con la conseguente soggettività del diritto alla vita e alla integrità fisica;
b) l’unità del matrimonio, che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre e madre solo l’uno attraverso l’altro;
c) i valori specificatamente umani della sessualità, che "esigono che la procreazione di una persona debba essere perseguita come il frutto dell’atto coniugale specifico dell’amore tra gli sposi" (n. 12).
Iniziamo l’analisi del testo a partire da quest’ultimo punto. Il desiderio da parte di una coppia di sposi di avere un figlio è più che legittimo: questo fatto giustifica, però, il ricorso a qualsiasi tecnica in grado di soddisfarlo? E quali sono le caratteristiche di quell’atto coniugale che il fare del medico e del biologo vuole sostituire con le tecniche di fecondazione artificiale?
E’ un atto che coinvolge nella totalità e nella reciprocità i coniugi: ed è proprio in questa relazione interpersonale che può realizzarsi la chiamata all’esistenza di una nuova vita umana. Dal dono delle persone scaturisce il dono della vita: "L’atto coniugale - si legge al n. B.4 della Istruzione Donum vitae – esprime simultaneamente l’apertura al dono della vita: è un atto inscindibilmente corporale e spirituale. E’ nel loro corpo e per mezzo del loro corpo che gli sposi consumano il matrimonio e possono diventare padre e madre". Può questo atto essere consegnato nelle mani di estranei o essere ridotto ad una mera successione di fatti tecnici?
Le tecniche di fecondazione artificiale nella forma sia intracorporea (ad esempio l’inseminazione artificiale con prelievo del seme fuori dall’atto coniugale) sia extracorporea (ad esempio la FIV e la ICSI) sostituiscono con la tecnica l’atto coniugale nella chiamata all’esistenza di una nuova vita: "Alla luce di tale criterio – si legge al n. 12 della Istruzione Dignitas personae – sono da escludere tutte le tecniche di fecondazione artificiale eterologa e le tecniche di fecondazione artificiale omologa che sono sostitutive dell’atto coniugale".
Esse attuano – in altre parole – una divisione tra l’unione dei coniugi e la possibilità di procreare: da effetto di un incontro diretto e immediato dei coniugi, la nuova vita diviene il risultato di una procedura tecnica, che può essere anche perfetta da un punto di vista tecnico, ma che resta inesorabilmente impersonale. Non sono i genitori a dare la vita, ma un medico o un biologo: una presenza – quest’ultima – non accidentale, ma determinante.
L’artificialità è, allora, sempre un fatto negativo? La risposta a questa si trova nel n. 13 della Istruzione Dignitas personae, che – richiamando la Istruzione Donum vitae – scrive: "Le tecniche che si presentano come un aiuto alla procreazione non sono da rifiutare in quanto artificiali. Come tali esse testimoniano le possibilità dell’arte medica, ma si devono valutare sotto il profilo morale in riferimento alla dignità della persona umana, chiamata a realizzare la vocazione divina al dono dell’amore e al dono della vita".
Non vi è, dunque, rifiuto dell’artificialità in generale, ma di quella artificialità che stravolge il più personale degli atti umani, quello procreativo. Non vi è, dunque, rifiuto dell’artificialità intesa come ciò che l’uomo è in grado di produrre e può sopperire ad una funzione del corpo, ma di quell’artificialità che contraddice la natura dell’essere umano.
Artificialità non equivale ad impiego di una tecnica: essa può essere lecitamente utilizzata anche in presenza di infertilità. Stimolare l’ovulazione, effettuare interventi di microchirurgia per rimuovere zone di endometriosi o per restaurare la pervietà di una tuba di Falloppio, sono forme di intervento tecnico che hanno il solo scopo di restituire la funzionalità ad un organo necessario per una procreazione altrimenti non possibile. Ed ancora, prelevare il seme ottenuto durante l’atto coniugale con un SCD (Semen Collection Device) perforato per veicolarlo, previa preparazione, nelle vie genitali femminili, comporta un ricorso alla tecnica, ma l’intervento del medico è successivo – di aiuto – ad un atto coniugale già verificatosi. "Il medico – si legge al n. 12 della Istruzione Dignitas personae – è al servizio delle persone e della procreazione umana: non ha facoltà di disporre né di decidere di esse. L’intervento medico è in questo ambito rispettoso della dignità della persona, quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia per facilitare il compimento, sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto".
Non vi è dubbio che la difficoltà di avere un figlio può essere motivo di grande sofferenza per la coppia. Per questo motivo il desiderio di una gravidanza è da considerare un’esigenza profondamente umana. È, quindi, necessario, innanzitutto, prevenire l’infertilità in tutte quelle situazioni in cui essa possa essere riconducibile a comportamenti a rischio individuali o a non adeguati interventi di ecologia ambientale o di politica della casa e del lavoro. Si pensi – a questo proposito – che il primo fattore di rischio di infertilità è l’età avanzata della donna nel momento in cui si cerca una gravidanza. Si legge, infatti, al n. 13 della Istruzione Dignitas personae: "C’è da osservare, infine, che meritano un incoraggiamento la ricerca e gli investimenti dedicati alla prevenzione della sterilità". Ed ancora deve essere massimo l’impegno nella diagnosi e nella cura della sterilità.
Qualora, però, questo tipo di interventi non consenta alla coppia di realizzare questa legittima aspirazione, la risposta non può passare attraverso la violazione del diritto alla vita del nascituro o alla distruzione dei significati stessi del matrimonio e della coniugalità. Si deve, invece, aiutare la coppia a scoprirsi "feconda": "Per venire incontro – si legge al n. 13 della Istruzione – al desiderio di non poche coppie di avere un figlio, sarebbe auspicabile incoraggiare, promuovere e facilitare, con opportune misure legislative, la procedura dell’adozione dei numerosi bambini orfani, che hanno bisogno per il loro adeguato sviluppo umano di un focolare domestico".
Il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale extracorporea, come la FIV e la ICSI, porta alla "produzione" di un essere umano. Il rapporto tra chi fabbrica (il medico) e chi ordina (gli aspiranti genitori) la vita e chi viene fabbricato (l’embrione umano) è simile a quello di un produttore con il suo prodotto: e ciò che è prodotto può essere manipolato, selezionato, scartato.
"(Il) desiderio (di un figlio) – si legge al n. 16 della Istruzione – non può giustificare la produzione, così come il desiderio di non avere un figlio già concepito non può giustificare l’abbandono e la distruzione". È questo il punto centrale della valutazione etica delle tecniche di fecondazione artificiale extracorporea, cui si aggiungono altre considerazioni tese a confutare le affermazioni di chi ne sostiene, invece, l’uso. Viene, in modo particolare, evidenziata l’elevata perdita di embrioni umani o – come viene definita – l’elevata abortività delle tecniche di fecondazione artificiale. Tale elevata perdita di embrioni non si è modificata con il passare degli anni (oltre l’80% degli embrioni viene perso anche nei centri più accreditati) ed è insita alla tecnica stessa. Di conseguenza, seppur talora in apparenza non ricercato, il sacrificio di embrioni è, comunque, previsto. Né questa perdita può essere paragonata a quella che si ha, naturalmente, di embrioni: ciò che in natura si manifesta come danno all’essere umano va – se possibile – corretto, ma non certamente imitato.
Alla perdita degli embrioni legata alla tecnica (asincronia ovaio/endometrio; alterazioni cromosomiche, etc.) vanno aggiunte le perdite "volute": per scopi selettivi (con la diagnosi preimpianto); per aumentare la possibilità di annidamento di embrioni in utero (con il trasferimento di un numero elevato di embrioni e conseguente aborto selettivo); per creare una "scorta" di embrioni da utilizzare in un secondo momento. "Questa triste realtà – si legge al n. 15 della Istruzione – spesso taciuta, è del tutto deprecabile in quanto le varie tecniche di riproduzione artificiale che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono a nuovi attentati contro la vita". Una situazione paradossale, che non verrebbe, tra l’altro, ammessa in nessun’altra situazione medica: ovvero che una tecnica abbia un tasso così elevato di esiti negativi e fatali.
Quali conseguenze del ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale extracorporea vi sono, dunque, la crioconservazione (congelamento) degli embrioni e la riduzione delle gravidanze multiple qualora siano stati trasferiti più embrioni di quelli che possono realmente svilupparsi in utero.
La prassi della crioconservazione di embrioni viene valutata dalla Istruzione Dignitas personae (n. 18) come "incompatibile con il rispetto dovuto agli embrioni umani", dal momento che: ne presuppone la produzione in vitro; li espone a rischio di morte o di danno alla loro integrità; li priva temporaneamente dell’accoglienza materna; li espone ad ulteriori offese e manipolazioni. Spesso questi embrioni sono in stato di abbandono e si pone la domanda "cosa fare di loro?".
A chi ha come solo scopo di svuotare le banche di embrioni, si contrappone chi si rende conto della grave ingiustizia fatta nei loro confronti e vorrebbe porvi rimedio. Premesso che cercare una soluzione senza far cessare la produzione di embrioni è un fatto di per sé sbagliato, la Istruzione Dignitas personae esclude sia l’uso degli embrioni abbandonati (orfani) per la ricerca o per usi terapeutici, sia il loro scongelamento, sia la loro cessione a coppie infertili: In quest’ultimo caso si ricadrebbe in una forma di fecondazione artificiale eterologa e di maternità surrogata. Anche la cosiddetta "adozione prenatale", pur essendo "lodevole nelle intenzioni", presenta "vari problemi non dissimili da quelli sopra elencati" (n. 19).
Risulta, dunque, evidente come l’unica vera soluzione sia la cessazione della produzione di embrioni. "Non si intravede – come ricordava già nel 1996 Giovanni Paolo II – una via d’uscita moralmente lecita per il destino umano delle migliaia e migliaia di embrioni congelati…" (n. 19).
Il ricorso alla riduzione embrionale, che si configura come "un aborto intenzionale" e che non trova mai alcuna giustificazione, è considerato inaccettabile (cf. n. 21), così come la diagnosi preimpianto, in cui lo strumento diagnostico è strettamente collegato con l’eliminazione dell’embrione "considerato ‘sospetto’ di difetti genetici o cromosomici o portatore di un sesso non voluto o di qualità non desiderate" (n. 22). Si attua, così una vera e propria forma di eugenismo che "porta a non riconoscere lo statuto etico e giuridico di esseri umani affetti da gravi patologie o disabilità" (n. 22).
Il collegamento con le tecniche di fecondazione artificiale e le già indicate conseguenze a danno dell’embrione umano sono le ragioni del rifiuto della crioconservazione di oociti in ordine "al processo di procreazione artificiale" (n. 20).
Un’altra forma di attentato alla dignità di persona dell’embrione umano è rappresentato dal ricorso a prodotti ad azione intercettiva, che impediscono l’annidamento dell’embrione in utero, o ad azione contragestativa che provocano il distacco dell’embrione già annidato. Tra i prodotti intercettivi si fa riferimento alla spirale e alla "pillola del giorno dopo"; il prodotto controgestativo più noto è la pillola RU486, oltre le prostaglandine e il Metrotrexate. Per quanto riguarda l’intercezione, con cui l’azione di impedimento dell’impianto può essere – anche se non sempre – presente, è da sottolineare che già la sola probabilità che questo possa avvenire rende l’intenzionalità di chi la prescrive e di chi la usa abortiva.. Di conseguenza – si legge al n. 23 della Istruzione Dignitas personae – "l’uso dei mezzi di intercezione e di contragestazione rientra nel peccato di aborto ed è gravemente immorale" (n. 23).
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