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Caro Direttore, La ringrazio per avere posto con l'abituale lucidità sul Foglio dell'11 febbraio quella che è forse - dopo Eluana - l'unica domanda veramente importante: se con Eluana siano morti in Italia i valori di fede e di ragione che hanno dato all'Europa le sue radici e la sua anima, e se la Chiesa, non avendo potuto impedire questa morte, abbia imboccato la strada che porta all'irrilevanza. La domanda è ancora quella di Eliot: "è la Chiesa che ha abbandonato l'umanità o è l'umanità che ha abbandonato la Chiesa?".
Giacché però non sono un poeta ma un sociologo, sono abituato a considerare i processi sociali complessi come sempre aperti a diverse interpretazioni. Lei propone un impressionante inventario delle ragioni per cui il bicchiere della Chiesa - quando non si è più potuto dare da bere a Eluana - si è rivelato mezzo vuoto. Preti (come quelli del Friuli di cui parla lo stesso numero del Foglio), laici e anche qualche vescovo dissenzienti o colpevolmente silenziosi evidenziano un problema, le cui radici stanno nel pontificato di Giovanni Paolo II. Nessuno come il Pontefice polacco ha avuto la consapevolezza che l'Europa e l'Italia sono ormai terra di missione, bisognosa di "nuova evangelizzazione". Per questa missione Giovanni Paolo II ha privilegiato l'appello diretto ai fedeli, soprattutto ai giovani, rispetto agli atti di governo relativi all'amministrazione della Chiesa. Da un certo punto di vista la strategia ha avuto uno straordinario successo, sollevando un entusiasmo imprevedibile e diffuso, che non ho avuto bisogno di verificare con strumenti sociologici perché l'ho constatato giorno per giorno nei miei figli e nel loro amore affettuoso e contagioso per Papa Wojtyla. D'altro canto, anche gli intellettuali più vicini a Giovanni Paolo II - come George Weigel, il compianto Richard John Neuhaus o Ralph McInerny - hanno fatto notare i pericoli insiti nella scarsa attenzione rivolta al governo della Chiesa e alle nomine episcopali, alcune delle quali non sono state particolarmente felici. Non si tratta, naturalmente, di criticare Papa Wojtyla - anche perché, per molti versi, la sua strategia di contatto diretto con il popolo dei fedeli era, in una situazione di grave e diffusa scristianizzazione, l'unica possibile - ma di rilevare un problema. Nessuno ne è più consapevole di Benedetto XVI, che ha scelto di dedicare all'azione di governo della Chiesa la parte maggiore del suo tempo e delle sue energie. Ma il caso Eluana può forse suggerire, per quanto riguarda l'Italia, un'ulteriore accelerazione. Può darsi - senza pretendere, naturalmente, di voler dare suggerimenti al Papa - che non sia più sufficiente attendere che vescovi inadeguati vadano in pensione e che occorra sostituirli prima, e che su alcune situazioni particolarmente imbarazzanti la severità debba sostituire la paziente attesa di improbabili ravvedimenti.
E tuttavia, per altro verso, il bicchiere è mezzo pieno. Le statistiche ci dicono che la rilevanza della Chiesa nella società italiana - misurata dal consenso dei cittadini e anche dalla frequenza alla Messa -, per quanto certo non corrispondente a quanto il Papa o i vescovi potrebbero auspicare, è comunque assai maggiore rispetto alle vicine Francia, Germania o Spagna. Il referendum sulla legge 40 ha mostrato che la sconfitta non è l'unico esito possibile della sua azione di testimonianza ai valori non negoziabili. Il caso Eluana smentisce tutto questo? Non completamente. L'azione della Chiesa - e dei laici di buona volontà, naturalmente - ha persuaso la maggioranza degli italiani che l'alimentazione e l'idratazione non sono cure mediche, e che far morire una disabile di fame e di sete è profondamente ingiusto. Lo rivelano i sondaggi, che sono cambiati di segno rispetto agli inizi della vicenda di Eluana, e anche le reazioni di tanti politici, a cominciare da quello straordinario interprete della sensibilità comune degli italiani che è il presidente Berlusconi. Magra consolazione, si dirà, perché Eluana è morta. Certo: e tuttavia se nella maggioranza di governo la chiarezza prevarrà sulla tentazione del compromesso e del pasticcio (un rischio che come Lei ha spesso sottolineato non è mai assente, neppure all'interno del centro-destra) può darsi che questo maggioritario consenso trovi qualche eco in Parlamento e contribuisca ad allontanare l'abominio dell'eutanasia dalle nostre leggi.
Le settimane e i mesi che vengono ci diranno se il bicchiere è mezzo pieno o piuttosto, in effetti, mezzo vuoto. I bicchieri, però, non si riempiono né si svuotano da soli. Chi ha a cuore i valori della fede e della ragione che hanno fatto dell'Europa quello che è non può solo lamentarsi del fatto che i vescovi o i sacerdoti non agiscano: deve agire lui. Questo - non un presunto diritto al dissenso morale e teologico - è il vero significato dell'autonomia dei laici cattolici nell'instaurazione dell'ordine temporale di cui parla il Concilio Vaticano II. Il Papa fa, in modo ammirevole, la sua parte. A noi - senza pensare di delegare ad altri - fare la nostra. Io rappresento una piccola - ma non piccolissima - associazione come Alleanza Cattolica che da decenni giorno per giorno, settimana dopo settimana, diffonde i valori non negoziabili della vita, della famiglia, delle radici cristiane dell'Europa attraverso centinaia di riunioni, incontri, conferenze, seminari. Non ci dà certo fastidio, anzi ci fa molto piacere, che altri operino nella stessa direzione. Perché, rovesciando il proclama blasfemo di Osama bin Laden, siamo orgogliosi di amare la vita quanto gli avversari della fede e della ragione amano la morte.
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