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Nella costituzione pastorale Gaudium et spes, i Padri conciliari scrivevano: "Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura" (n. 51). È sulla lunghezza d'onda di questo insegnamento che si dovrebbe porre l'Istruzione Dignitas personae. I suoi contenuti non sono altro che una genuina promozione del senso della vita umana e una sua spassionata difesa. Perché la vita umana possa essere promossa è necessario che si crei una cultura favorevole alla sua accoglienza in ogni espressione che ne viene manifestata. È necessario, per questo, l'apporto condiviso di quanti, credenti o non credenti, ritengono che questo sia il momento favorevole per approdare a uno sforzo comune in favore dell'accoglienza della vita personale. Se in alcuni momenti, comunque, diventa urgente giungere anche a una difesa della umana, per paradossale che possa sembrare, significa che questa è in serio pericolo. Non è la visione catastrofica quella che caratterizza l'insegnamento della Chiesa; ciò che preme, piuttosto, è una lettura realistica del momento presente che come ogni epoca storica è sottoposta a tante luci e molte ombre.
Non deve meravigliare, d'altronde, l'impegno del Magistero in questo particolare settore. La Chiesa è stata impegnata in prima persona nel corso dei secoli in difesa di alcuni principi fondamentali che oggi sono patrimonio dell’umanità. Certo, all’epoca fu contestata da frange di benpensanti che proprio in nome del progresso e delle leggi dell’economia preferivano calpestare i diritti fondamentali delle persone. Come dimenticare, ad esempio, l’impegno dei missionari contro la schiavitù nei paesi soggetti alla colonizzazione oppure la difesa dei lavoratori agli inizi dell’ottocento? Oggi la posta in gioco che segnerà i prossimi decenni e la vita della società è determinata dalla difesa della dignità della persona dal suo concepimento fino alla sua morte naturale.
L’Istruzione della Dottrina della fede, per questo motivo, si viene a porre in un momento del tutto peculiare. I suoi contenuti, particolarmente in riferimento alle varie tecniche di sperimentazione sull’embrione susciteranno reazioni diverse. Alcuni preferiranno ignorarli con supponenza come se non li riguardassero, altri rincorreranno la via più facile della derisione ed altri ancora etichetteranno quelle pagine come foriere di buio oscurantismo che impedisce il progresso e la libera ricerca. Molti altri, infine, condivideranno certamente la nostra preoccupazione e la nostra analisi. Al di là degli schieramenti, quindi, ci saranno persone che saranno provocate da queste pagine a formulare qualche interrogativo e, vorranno verificare la validità delle argomentazioni portate. Rimane, in ogni caso, una considerazione che merita di essere riportata per verificare l'ambito all'interno del quale l'Istruzione intende procedere: "La Chiesa giudicando della valenza etica di alcuni risultati delle recenti ricerche della medicina concernenti l’uomo e le sue origini, non interviene nell’ambito proprio della scienza medica come tale, ma richiama tutti gli interessati alla responsabilità etica e sociale del loro operato. Ricorda loro che il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita" (Dignitas personae, n. 10). Nessuna invasione di campo, pertanto, da parte del magistero della Chiesa quando entra in un ambito specifico come quello della sperimentazione sull’embrione, che è oggetto di più scienze di cui nessuna può arrogarsi il diritto di dire l’ultima parola. Ciò che questa Istruzione intende fare è esprimere il proprio contributo autorevole nella formazione della coscienza non solo dei credenti, ma di quanti intendono porre ascolto alle argomentazioni che vengono portate e con queste intende confrontarsi. Un intervento, pertanto, che rientra pienamente nella sua missione e che dovrebbe essere accolto non solo come legittimo, ma anche come dovuto in una società pluralistica, laica e democratica.
Risulterebbe veramente difficile, anche per un pensiero estraneo alla fede, non ritrovarsi nell’affermazione di Dignitas personae: "Per il solo fatto d’esistere, ogni essere umano deve essere rispettato. Si deve escludere l’introduzione di criteri di discriminazione, quanto alla dignità, in base allo sviluppo biologico, psichico, culturale o allo stato di salute" (n. 8). Ciò che viene affermato, come si nota, è l’uguale dignità di ogni essere umano per il fatto stesso di essere venuto alla vita. Il vero punto di confine, quindi, per verificare la competenza dell'intervento e la sua legittimità in difesa della vita è fornito dal venire all’esistenza. Davanti a questo principio, passano in secondo ordine l’intelligenza, la bellezza, lo stato fisico, l’età, la razza o la condizione sociale, ecc. Ciò che veramente conta è la vita che viene posta in essere; vita che, fin dall’inizio, è contrassegnata come umana e che in forza di questo deve essere rispettata da tutti, sempre e senza alcuna eccezione.
Alla luce di questi principi si comprendono i giudizi morali che vengono dati in riferimento ad alcune condizioni peculiari; in primo luogo alla sperimentazione sulle cellule staminali, sull’embrione e sulla clonazione. Ciò che muove il pensiero del magistero in proposito è in primo luogo la difesa dell’ordine creaturale, secondo cui la fecondazione e la nascita di un essere umano vanno conservati e custoditi in quell’orizzonte della natura che riflette non solo la bellezza della creazione, ma la sapienza stessa del mistero d’amore del Creatore che tutto ha organizzato in un ordine insostituibile e perfetto. Non si dovrebbe dimenticare, inoltre, un ulteriore principio che viene più volte riaffermato nel corso dell'Istruzione: l’uguaglianza fondamentale tra gli uomini. Proprio questo principio cozza contro ogni pretesa di clonazione umana o manipolazione genetica diversa da quella terapeutica. Se si vuole, Dignitas personae compie un passo in avanti nei confronti della precedente Donum vitae del 1987, quando si richiama alla difesa della dignità dell'embrione. Nella precedente Istruzione, infatti, per non entrare direttamente nel dibattito filosofico non si entrò nel merito circa la definizione dell'embrione come "persona". Nell'Istruzione odierna si esplicita testualmente che: "La realtà dell'essere umano per tutto il corso della sua vita, prima e dopo la nascita, non consente di affermare né un cambiamento di natura né una gradualità di valore morale poiché possiede una piena qualificazione antropologica ed etica. L'embrione umano, quindi, ha fin dall'inizio la dignità propria della persona" (n. 5).
Non sarà da dimenticare, da ultimo, il coraggio con cui Dignitas personae affronta il tema della manipolazione genetica che in molti casi ormai ha tutte le caratteristiche per essere definita eugenetica e, pertanto, intrinsecamente immorale. Questo giudizio si fonda sul presupposto che tale sperimentazione teorizza di fatto la disuguaglianza tra le persone, enfatizzando oltre misura doti e caratteristiche che non costituiscono l’essenza e la peculiarità della persona stessa. In questo senso, l'insegnamento che se ne ricava è quanto mai lungimirante. Esso provoca a riflettere sul rischio di non cadere in nuove forme di schiavitù che già si affacciano all'orizzonte. Si è dinanzi, infatti, a una schiavitù biologica secondo cui una persona si arroga il diritto arbitrario di determinare le caratteristiche genetiche di un altro essere umano. Quanto questa pretesa manifesti una hybris talmente riprovevole non ha bisogno di dimostrazione. Questo comportamento, che ben poco ha dello scientifico, non trova giustificazione alcuna se non l’esercizio del puro potere del più forte sugli altri. Una simile sperimentazione va chiamata con il suo giusto nome e non dovrà essere la Chiesa ad avere timore nel doverne denunciare i pericoli.
Pensiamo che solo una vera educazione al rispetto di sé e degli altri, unita ad una corretta formazione a cogliere il proprio limite possa permettere un rinnovato senso di impegno per la vita. D'altronde, la grandezza della persona consiste proprio nell'avere coscienza del proprio limite e in forza di questo, saper guardare oltre verso una trascendenza infinita che ha voluto imprimere dignità alla vita umana assumendola su di sé e diventando egli stesso persona. Poiché in Gesù di Nazareth "la vita si è fatta visibile" (1 Gv 1,2) e noi ne siamo testimoni, viviamo con la responsabilità di rendere partecipi uomini e donne che incontriamo nel cammino della vita di questo grande mistero che suscita ogni giorno meraviglia e stupore.
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