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A fine 2008 una mezza tempesta sulla 'decisione' del Vaticano, con la nuova legge sulle fonti del diritto, di 'non recepire più automaticamente' le leggi italiane. Ma tempesta in un bicchiere d’acqua: perché «in realtà non c’è mai stato nessun automatismo; allora, come oggi, furono recepite alcune leggi in via suppletiva, in particolare i Codici civile e penale, e di procedura civile e penale, presi come erano allora». Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale vaticano, torna a spiegare ad Avvenire come con la nuova legge vaticana sulle fonti del diritto, che ha fatto gridare alcuni allo 'scandalo', non cambi nulla rispetto a prima. Tant’è vero che «i nuovi Codici che l’Italia s’è data dopo il ’29 non sono entrati nell’ordinamento vaticano, così che noi, dovendo esercitare la funzione di giudici, avevamo sempre la necessità di andare a vedere quale era la norma vigente in quel momento, cioè nel ’29».
Eppure si è arrivati a parlare di violazione del Concordato.
Il Concordato non c’entra niente, è un accordo tra Santa Sede e Italia che riguarda la vita della Chiesa che è in Italia. Casomai il punto è del Trattato; ma questa non è materia di trattato, perché la Città del Vaticano è uno Stato sovrano, e quindi nel proprio territorio può fare le leggi che vuole.
Insomma, non c’è mai stato nessun automatismo nella ricezione?
Mai. Nel ’29 furono recepite le leggi a,b,c e d così com’erano allora, e senza nessuna ricezione automatica dei loro aggiornamenti, o di altre nuove, e comunque sempre con un filtro. Qui voglio sottolineare che un filtro ce l’ha qualunque ordinamento. Anche l’Italia ha un ordinamento che prevede filtri, il cosiddetto limite dell’ordine pubblico, nel senso che noi siamo disponibili a ricevere valori giuridici di altri ordinamenti, purché non siano incompatibili con i valori fondamentali del nostro.
Qualche esempio?
Per esempio l’ordinamento italiano ammette il divorzio, ma non il ripudio perché sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza, così come non si ammette il matrimonio poligamico.
Adesso, con l’entrata in vigore della nuova legge sulle fonti, che cosa succede?
Succede che la legge è cambiata, ma la struttura fondamentale è la stessa. Restando nel concreto, s’è fatto riferimento al Codice civile italiano vigente – e quindi è stato superato il richiamo al codice del 1865, che era quello previsto nel 1929 – e ad alcune leggi in materia amministrativa, ferroviaria, postale, eccetera. Ma, anche qui, è stato fatto un richiamo 'fisso', come diciamo noi giuristi, non 'mobile', nel senso che se queste leggi un domani venissero cambiate, in Italia, non è che automaticamente le modifiche passeranno nell’ordinamento vaticano. Sono state prese così come sono oggi, e sempre con quel filtro del non contrasto con norme di diritto divino o norme del diritto canonico. Insomma, in riferimento al Codice civile, parliamo di un aggiornamento evidentemente necessario.
Come funzionava quando vi trovavate di fronte a fattispecie di reati che magari neppure esistevano nel ’29? È mai successo?
Certo. C’è stato per esempio un caso di detenzione di droga, due o tre anni fa, e nel Codice penale recepito dal Vaticano non c’era niente a questo riguardo. Per arrivare al più presto a una condanna, perché se no si sarebbe creata una zona franca, abbiamo fatto riferimento sia alle convenzioni internazionali sottoscritte dalla Santa Sede in materia di droga, che prevedono la perseguibilità per lo spaccio, la detenzione eccetera, e sia la disposizione prevista dalla legge del ’29, e che oggi viene sostanzialmente riprodotta, che parlava della possibilità, in presenza di comportamenti lesivi della religione, della morale, degli interessi altrui – e qui c’era un ballo evidente di diritto alla salute, il diritto alla sicurezza eccetera – di intervenire con una sanzione penale.
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