La proposta di legge del Ministero del Lavoro della Slovacchia, «definita a favore delle comunità svantaggiate» - stimate in 700, pari ad oltre 200mila persone - ha al suo centro il programma di sterilizzazione, in questo caso volontaria, delle donne, in particolare quelle appartenenti all'etnia rom. La notizia è comparsa sui giornali di tutto il mondo ed è stata definita scioccante.
In realtà, come hanno documentato negli anni passati fonti autorevoli - l'Associated Press, per esempio - sono dozzine i casi di sterilizzazioni avvenute tra il 1979 e il 2001 nell'allora Repubblica Ceca, «senza che vi fosse stato consenso formale ed esplicito», quindi in modo forzato e molte donne romni hanno portato i loro casi in tribunale, senza peraltro vedere riconosciuti i loro diritti.
Ma la cosa ancora più grave - in questo clima di ipocrisia dominante - è costituita dal fatto che nessuno ha sottolineato quanto l'iniziativa odierna del governo slovacco s'inserisca in un contesto scandaloso a livello internazionale, dove la sterilizzazione delle donne - uno degli esempi più terribili dell'eugenetica del terzo millennio - è stata usata e viene ancora usata come strumento di controllo della natalità, soprattutto nei paesi poveri del mondo.
Non c'è bisogno di richiamarsi al nazismo o prima ancora ai ventiquattro Stati americani, a partire dall'Indiana, che negli anni '20 introdussero leggi ad hoc o alla Svezia, dove si è praticata la sterilizzazione fino agli anni '70, o a parti consistenti del territorio del Canada.
Durante gli anni '90, in Perù, fu praticata una sterilizzazione di massa nei confronti delle donne indigene, in base al cosiddetto "Programma Nazionale di Salute Riproduttiva". Sembra che tale campagna fosse stata finanziata dall'Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (USAID), tramite un contratto concesso all'Association for Voluntary Surgical Contraception (AVSC). Le donne, minacciate da funzionari o costrette a cedere al ricatto per ottenere cibo e medicinali, furono sottoposte a interventi chirurgici. Molte morirono. Un'indagine indicò che tra il 1995 e il 2000, 331.600 donne furono sterilizzate contro la propria volontà, a causa di una politica eugenista e in nome di un Piano di salute pubblica, il cui vero obiettivo era quello di ridurre il numero di nascite tra i settori più poveri, cioè tra le popolazioni indigene delle zone più disagiate del Paese.
Nel 2000, alcuni dottori uzbeki raccontarono all'Institute for War and Peace Reporting che esisteva un decreto riservato del Ministero della Salute, che ordinava la riduzione del tasso di natalità nelle aree rurali del Paese, suggerendo di praticare isterectomie e di applicare spirali alle donne subito dopo il parto.
In India, sono milioni e milioni le donne sottoposte a sterilizzazione nel Tamil Nadu, sotto l'egida di un programma di "pianificazione familiare", promosso dal governo indiano. Con un tasso di incremento demografico annuo pari all'1,40%, l'India registra attualmente una crescita demografica costante, tuttavia notevolmente inferiore ai picchi raggiunti tra gli anni Cinquanta e Settanta che portarono a drastiche misure di pianificazione familiare, tra cui impopolari campagne di sterilizzazione.
Secondo stime del 1995, le ultime a disposizione, 160 milioni di donne in età riproduttiva hanno fatto ricorso alla legatura delle tube. Di queste, centotrentotto milioni vivono in paesi in via di sviluppo ed è difficile credere che questa pratica di massa, in queste realtà del mondo, sia stata frutto di una libera scelta da parte delle donne. È stata, piuttosto, la conseguenza, di scientifici piani di controllo delle nascite e di aperte violazioni dei diritti umani.
La cosa ancora più grave è costituita dal fatto che queste violazioni - perpetrate per almeno tre decenni - sono state pianificate e perfino finanziate da organismi internazionali legati al sistema delle Nazioni Unite. Per esempio, l'International Planned Parenthood Federation, il Population Council - fondato dal finanziere John D. Rockfeller III e dal presidente della Società Eugenetica Americana Frederick Osborn -, che hanno come scopo il calo delle nascite nei Paesi in via di sviluppo. Anche l'UNICEF, per molti anni, si è mossa in questa direzione.
Pure l'Unione Europea ha concorso a questo disegno, che evidentemente non è stato mai dichiarato nella sua nettezza. Prendiamo, ad esempio, la relazione del 2003 sui diritti umani nel mondo, presentata al Parlamento europeo, dove si legge: «Dal 1994 la Commissione è diventata uno dei maggiori partner nell'affrontare le esigenze di salute riproduttiva nei paesi in via di sviluppo, nel quadro degli obiettivi concordati alla Conferenza internazionale dell'ONU sulla popolazione e lo sviluppo svoltasi al Cairo dieci anni fa. Nel periodo compreso tra tale conferenza e il 2001 abbiamo stanziato oltre 655 milioni di euro per assistenza esterna esplicitamente destinata alla pianificazione familiare, alla salute riproduttiva, alla maternità sicura, all'HIV/AIDS e alla politica e alla gestione demografiche».
Il contesto teorico di queste politiche, rispondenti alle logiche dei cosiddetti "diritti riproduttivi" - la definizione che le Nazioni Unite hanno usato per definire i "nuovi diritti umani" - è stato rappresentato dai movimenti internazionali neomalthusiani ed eugenisti. I primi considerano la crescita della popolazione come una diretta minaccia al benessere dell'Occidente, al suo accesso privilegiato alle risorse fondamentali. I secondi spingono per un processo di selezione e miglioramento genetico delle popolazioni, e ritengono che i poveri, i deboli, i malati, i disabili, non debbano riprodursi.
Questa è la logica all'interno della quale può e deve essere letta la proposta di legge che si discute oggi in Slovacchia ed è anche la logica che ha prodotto una realtà dove l'umano - come l'abbiamo conosciuto - è stato dolosamente e forse irrimediabilmente compromesso, in nome di teorie aberranti e di poteri che le hanno usate per consolidare se stessi e i loro interessi.