Con un bellissimo mini-editoriale Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, il 13 marzo ha tagliato il nodo gordiano che avvinghiava la gola dei liberali riguardo allo spinoso tema delle cosiddette nozze gay. Com'è noto, il parlamento europeo ha approvato una mozione che inserisce il «matrimonio» omosessuale tra i «diritti umani». Per la mentalità liberale la tentazione era la solita: io non sono d'accordo, ma che diritto ho di impedire che altri facciano quel che vogliono della loro vita?
In effetti, il radicalismo pannelliano, quantunque sempre e comunque appoggiato dalla sinistra, e malgrado i radicali si chiamassero tra loro «compagni» (non so se lo facciano ancora, ma così si esprimeva, in mia presenza, la storica leader Adele Faccio), ha sempre rivendicato la sua filiazione non marxista ma liberale. La famosa frase di Voltaire («Non sono d'accordo con la tua idea ma mi batterò fino alla morte perché tu possa esprimerla») da allora ha accompagnato la nostra esistenza e, spesso, paralizzato chi riteneva che certe idee non avessero alcun diritto. Naturalmente, Voltaire non si sognò mai di dire una frase del genere perché, per lui, le uniche idee con diritto di cittadinanza erano le sue. Fu una scrittrice inglese, Evelyn Hall, a immaginare, nel 1906, che così ragionassero gli illuministi francesi, allegramente sorvolando sull'uso meticoloso della ghigliottina da parte di questi ultimi contro chi aveva idee diverse dalle loro.
UNA DIMOSTRAZIONE DI SAGGEZZA
Tornando a Il Giornale, parecchi lettori si erano stizziti di fronte alle uscite pro-Arcigay dell'attuale compagna di Berlusconi e del suo maggiore editorialista, correttamente distinguendo tra liberalismo e libertinismo. In effetti, gli illuministi francesi erano sia l'uno che l'altro, liberali e libertini, perché la «liberté» ideologicamente intesa è concetto onnicomprensivo e può essere anche un vaso di pandora da cui esce di tutto: dalla democrazia al totalitarismo, dal contratto sociale all'anarchia. Come non hanno mai mancato di avvertire i papi (ma anche un caposcuola liberale come Tocqueville), se non poggia sulle inamovibili basi del diritto naturale il liberalismo degenera in relativismo. Da quest'ultimo alla legge del più forte (cioè, della jungla) il passo è breve. Adesso Sallusti mette un paletto e dice chiaro e tondo che nella nostra civiltà il matrimonio è quello tra un uomo e una donna, punto e basta. A chi ha gusti diversi non è impedito di estrinsecarli, ma sia chiaro che concernono la sfera privata, non quella pubblica. Perciò, la mozione del parlamento europeo è una «forzatura ideologica, inutile e provocatoria». Di più: «Un nuovo passo verso la disgregazione di un continente che non da oggi ha perso la bussola in tutti i campi, scambiando la giusta laicità con l'anarchia sociale».
Di meglio non si potrebbe dire e il quotidiano di proprietà berlusconiana cancella con ciò un'incertezza in tantissimi dei suoi lettori. Del resto, come la pensasse il Berlusca su certi temi era noto (ricordiamo la sua presa di posizione sul «caso Eluana») e le sue recenti aperture verso il mondo gay sono adesso chiarite e circoscritte dall'editoriale di Sallusti. Spiace, tuttavia, che certo clero non perda occasione per stare almeno zitto e senta l'esigenza di far sapere a tutti quanto è vasto il deserto del suo acume politico. Chi scrive ha passato praticamente la vita a difendere gli uomini di Chiesa dall'accusa veteromarxista di cedere spesso e volentieri alla tentazione di reggere la staffa al vincitore del momento. Ma confessiamo che ci sono volte in cui cascano le braccia. Unirsi al mainstream dell'antiberlusconismo viscerale e moralistico sul famigerato «caso Ruby» era proprio così impellente? Spiazza quei cattolici (e sono tanti) a cui delle debolezze umane del Silvio non importa nulla e lo rivoteranno alla prima occasione. E rafforza la (cospicua) componente laicista di Forza Italia, la quale potrebbe legarsela al dito alle prossime elezioni. Boh. Niente, accontentiamoci di prendere atto di una dimostrazione di saggezza, da parte del direttore del Il Giornale, superiore a quella di certi pastori.