L'allegra, spietata macchina da guerra della lobby gender è ormai partita e non la ferma più nessuno. E, come al solito, le vittime presunte si rivelano, in realtà, carnefici. E' una caccia agli untori in piena regola, quella cui si assiste. Ad ogni latitudine e ad ogni longitudine. Dove «untori», però, sono considerati i cattolici.
SPAGNA: LA CLAVA DELL'OMOFOBIA
L'ultimo caso giunge dall'Andalusia. Qui il ministero dell'Istruzione, della Cultura e dello Sport ha pensato bene di sanzionare il collegio cattolico «Divin Pastore» di Sanlúcar de Barrameda per una «grave infrazione». Ovvero non aver rispettato tre dei quattro obblighi imposti dall'art. 62.2 comma d della Legge Organica n. 8/1985 regolante il diritto allo studio, in particolare nelle procedure di selezione e revoca del personale. Sembrano banali questioni burocratiche, insomma. Ma tradiscono già il sospetto di "omofobia",... Violazione, secondo l'accusa, commessa «intenzionalmente» e provocando «turbativa nella didattica». Esorbitante la multa: 122.989,86 euro. E' evidente l'intento di mettere in ginocchio l'istituto religioso. Magari di costringerlo alla chiusura.
Tutto ha avuto inizio con la denuncia sporta oltre un anno fa da un professore, dettosi certo di non esser stato confermato in quanto omosessuale, evidentemente convinto che sbandierare il vessillo Lgbt basti ormai per assicurarsi la vittoria. Quali i fatti? Il docente era stato assunto con 21 ore settimanali, per sostituire parzialmente una collega sino al 12 dicembre 2013. Alla scadenza, pienamente rispettata, semplicemente non è stato rinnovato nell'incarico, come confermato da un fax inviatogli dalla scuola. Gli è stato preferito un altro. Capita. Ma l'interessato non si è dato per vinto. Ed ha spostato la controversia nelle aule giudiziarie.
Il Tribunale del Lavoro n. 3 di Jerez ha respinto il suo reclamo. Per questo, il docente ha deciso di far ricorso alla Corte Suprema di Giustizia dell'Andalusia. Ed ecco il colpo di scena: dal cilindro è spuntata una registrazione, fatta non si sa come, in cui la responsabile gli avrebbe fatto notare come, se i genitori avessero saputo del suo orientamento, ciò avrebbe potuto costituire un problema. Il che, quand'anche fosse, non suona né strano, né anomalo, trattandosi di una scuola cattolica.
Ma la Giunta al potere nella regione, guidata da Susana Díaz, segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo, ha già deciso di entrare a gamba tesa nella vertenza, dicendo la sua ed ipotecandone l'esito. Con forza. Anzi violenza. Quella sanzione mostra sin d'ora quale sia l'esito auspicato dal governo locale della Comunità Autonoma. Con estrema chiarezza. E, soprattutto, con prepotenza.
TURCHIA AL VOTO, TRISTE SCELTA: O ISLAM O LGBT IN PARLAMENTO
Si prospettano tempi difficili per la Turchia: in vista delle elezioni parlamentari, previste per il prossimo 7 giugno, sembra esser schiacciata tra l'islamofilia sempre più sfacciata mostrata dall'Akp del presidente Recep Tayyip Erdoǧan da una parte ed il laicismo più sfrenato e gay friendly della Sinistra nazionale dall'altra. E' come scegliere tra la padella e la brace ed il rischio è, in un caso come nell'altro, di finire arrostiti...
Così ecco spuntare, in piena campagna elettorale, il nome di Deva Özenen, cristiana solo a parole, poiché pronta a calpestare pacchianamente nei fatti la Dottrina della Chiesa, sventolando come una bandiera il fatto di essere transgender e femminista ad oltranza. "Arruolata" nelle fila del progressista Partito dell'Anatolia, ha già dichiarato di voler promuovere a piè sospinto l'agenda Lgbt in blocco e l'ideologia gender: «Stiamo cercando di affermare i nostri diritti - ha urlato - non ci importa se la società sia o meno pronta per noi», mostrando così anche il bizzarro senso della democrazia della Sinistra arcobaleno...
Lo stesso dicasi per Banş Sulu dell'Hdp, il cosiddetto Partito Democratico dei Popoli, altro partito progressista, il cui motto non si sa se sia o meno una minaccia: «E' solo l'inizio», recita. Ma, se il buongiorno si vede dal mattino, ciò che dice Sulu non può certo far presagire alcunché di buono: omosessuale dichiarato, attivista convinto, vuol farsi paladino di una libertà di scelta dell'identità sessuale pressoché totale e senza vincoli in nome di tutta la galassia gender, anche degli intersex, di chi cioè ritenga di non essere biologicamente determinabile. La provocazione è la sua strategia politica, sin da quando nel 2011 chiese formalmente di sposare il suo "partner", Aras Güngör, transgender ancora definito «donna» sui suoi documenti di identità. Ottenendo ovviamente parere negativo, i due han minacciato di ricorrere alla Corte Europea per i diritti umani, certi di trovare lì manforte.
Certo, a detta degli stessi candidati Lgbt, l'85% della popolazione turca (ed è già una percentuale probabilmente al ribasso) non approva assolutamente la loro morale sessuale, tanto meno le loro pratiche, come si può evincere osservando le reazioni in occasione dei loro interventi in pubblico. Ma il fatto stesso che per la prima volta esista l'ipotesi di avere in prospettiva nel parlamento turco transgender e gay rappresenta un'ulteriore riprova di quanto aggressiva sia ormai a livello internazionale l'azione di propaganda promossa dalla potente lobby Lgbt, pronta ad attecchire ovunque. Con l'unica eccezione dei Paesi dichiaratamente islamici, quelli della sharia. Lì, improvvisamente, strilli ed urla hanno fine.