Ha suscitato molte polemiche la recente decisione della regione Lazio di assumere al San Camillo di Roma solo medici ginecologi non obiettori di coscienza. Secondo Zingaretti, il governatore del Lazio, non si tratta di una guerra di religione, «vogliamo solo garantire un diritto».
Dello stesso tenore l'intervento della nota esponente dei radicali Emma Bonino, la quale tiene a precisare «che la legge è molto chiara e le istituzioni devono garantire il servizio (...) Ora a parte la coscienza di ciascuno, compito dello Stato è far applicare le leggi. Non è una discriminazione per nessuno, è semplicemente, finalmente, applicare la legge».
Di contro, l'ordine dei medici di Roma è intervenuto nel dibattito ricordando che «soltanto ragioni superiori potrebbero consentire di superare il diritto fondamentale di invocare legittimamente l'obiezione di coscienza in determinate situazioni e queste ragioni superiori non ci risulta esistano. Infatti, non risulta che i servizi di interruzione volontaria di gravidanza, nel rispetto della legislazione, non siamo mai stati assicurati nell'azienda sanitaria pubblica».
Mentre secondo la Conferenza Episcopale Italiana e il ministro della Salute Lorenzin, con questo bando si è «violata la legge 194». Sulla stessa lunghezza d'onda il cardinale Ruini, il quale arriva addirittura a sostenere che «si tratta di una forzatura abortista rispetto a quelle che sono la lettera e lo spirito della legge 194 (...) il suo scopo non è per nulla quello di portare chi lo desidera ad abortire, di aprire possibilità in questo senso, semmai essa intende aiutare a non abortire, e in questo senso davvero parlerei di prevenzione» (La Stampa, 23 febbraio 2017).
DUE (FINTI) SCHIERAMENTI, UN UNICO PENSIERO
Quello che emerge dalla controversia sul nosocomio romano sembra essere l'implicita accettazione della legge abortista da parte di entrambi gli schieramenti; ciò conferma, qualora ancora ve ne fosse bisogno, di quanto sia ormai largamente accettata in ambito culturale, politico e financo religioso l'ineluttabilità dell'aborto volontario e del presunto diritto della donna all'autodeterminazione. Infatti, la ridda di polemiche e diatribe dialettiche intorno al caso San Camillo pare assomigliare di più ad un "teatrino", in cui ciascuno recita la sua parte, piuttosto che ad uno scontro serio e drammatico tra due opposte fazioni: l'una, di natura tutta ideologica, che intende affermare la libertà di scelta della donna, l'altra che pone invece come prioritari i dettami della legge naturale.
È opportuno rammentare che oltre ad essere un diritto l'obiezione di coscienza sull'aborto è un grave dovere. Non esistono infatti "motivi superiori" che possano rendere lecito ciò che è intrinsecamente illecito, in questo caso l'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente. D'altro canto, il prevedibile e ideologico attacco all'obiezione di coscienza ci consente di fare alcune riflessioni: i dati statistici dimostrano chiaramente come, purtroppo, il seppur massiccio ricorso all'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario non impedisca alla donna di accedere comunque all'aborto volontario, e quanto dunque sia immotivata, in quest'ottica, la corsia preferenziale riservata ai soli medici non obiettori. Tuttavia, il punto cruciale sembra essere un altro: si assiste ad uno scontro tra due opposti diritti, quello falso all'autodeterminazione e quello vero all'obiezione di coscienza.
In effetti, la legge 194/1978, al di là delle affermazioni di facciata, ha de facto istituito il diritto di uccidere, tant'è che l'aborto è addirittura a richiesta, dal momento che la procedura di accesso alla cosiddetta interruzione volontaria di gravidanza non prevede la necessità che la donna adduca motivazioni particolari, oltre ad essere completamente gratuito, ossia a carico del servizio sanitario nazionale.
COMBATTERE INUTILMENTE
Pertanto, l'obiezione di coscienza, benché incoerentemente e ipocritamente prevista dalla stessa legge, si pone come un'inaccettabile ostacolo alla fruizione del presunto diritto di abortire. In altre parole, autodeterminazione e libertà di coscienza non possono convivere in quanto si escludono a vicenda, proprio a livello di premesse intellettuali e filosofiche, al di là del reale impatto che la seconda ha sulla prima.
Dunque, l'attacco all'obiezione di coscienza rappresenta l'approdo logico ed inevitabile dell'ideologia abortista. Si potrebbe obiettare che le uniche armi a disposizione del mondo pro-life per ottenere qualche risultato politico significativo, in questo caso la difesa del diritto all'obiezione di coscienza, siano quelle che il sistema giuridico attuale consente di utilizzare. Tuttavia, così facendo si corre il rischio di combattere inutilmente, soprattutto se si rinuncia ad affermare la verità tutta intera sull'aborto e si finisce per colludere col nemico sull'essenziale, cioè sull'accettazione della legislazione e della mentalità abortista.
La 194/78 è una legge intrinsecamente ingiusta e non contiene alcuna parte buona, ma al contrario essa calpesta e nega il diritto primario alla vita, contenendo perciò in nuce i presupposti anche per la negazione del diritto all'obiezione di coscienza. Abbiamo l'occasione di affermare pubblicamente tale verità partecipando alla Marcia per la Vita, la cui VII edizione si svolgerà a Roma il prossimo 20 maggio. Ci auguriamo che la classe medica partecipi in massa a quella che rappresenta una delle più grandi manifestazioni pro vita d'Europa.