Ai bambini e ai ragazzi delle scuole di Torino, da settembre, verrà imposta una dieta al 100% vegetale almeno una volta al mese nelle mense scolastiche. Un giorno al mese, il secondo venerdì. Non sarà per motivi religiosi, non è il venerdì di magro, che non si rispetta più neppure nelle scuole paritarie cattoliche. Sarà il veganesimo, nuova religione animalista, a ispirare la mossa del sindaco Chiara Appendino.
Il secondo venerdì di ogni mese sulle tavole delle scuole primarie torinesi verranno banditi non solo la carne, ma anche uova, burro, latticini e pesce. Al loro posto, penne al pomodoro, lenticchie in umido, insalata di carote, pane e ananas in inverno, mentre in estate verranno serviti riso e piselli, fagioli in insalata, insalata mista con carote e peperoni e mix di frutta di stagione. Unica eccezione: la possibilità di grattugiare un po' di parmigiano. D'altra parte, i genitori torinesi ne erano consapevoli, quando votavano a maggioranza per la candidata del Movimento Cinque Stelle. In campagna elettorale, Chiara Appendino aveva giurato: "Promuoverò la dieta vegana come atto fondamentale per salvaguardare l'ambiente, la salute e gli animali."
MA ALMENO MANGIARE VEGANO PIACE?
Almeno, piace questa dieta vegana? I precedenti non danno adito a dubbi. I bambini tendono a buttare via la verdura, in massa. A Milano nel 2013, nel pieno dell'era Pisapia, si tentò la sperimentazione il 1 ottobre: un menu vegano, firmato dallo chef Pietro Leeman, per i bambini di materne, elementari e medie. Risultato? Portate rimandate indietro quasi al completo da quasi tutti i piccoli avventori involontari delle mense. A Firenze venne tentato un esperimento di menù per le scuole quasi vegano, con molte più verdure che carni, basati sulla tradizione locale. Risultato? Ribellione dei genitori, che si vedevano tornare i figli a digiuno.
A Bologna venne tentato l'esperimento vegano l'anno scorso. La Asl stessa espresse perplessità: "Condurre una dieta vegana non è una scelta salutistica, ma etica. Per un bambino in fase di crescita è una decisione molto complessa, senza le dovute precauzioni può esporlo a forti carenze nutrizionali", dichiarava in un'intervista rilasciata all'Huffington Post, Emilia Guberti, direttore del Servizio di Igiene Alimenti e Nutrizione dell'Azienda USL di Bologna. E aggiungeva, per essere ancor più esplicita: "Io personalmente non la raccomanderei. Condurre una dieta vegana per un bambino in fase di crescita è molto complesso, perché richiede un lavoro di bilanciamento molto accurato che può comportare mancanze nutrizionali. La dieta vegana a scuola è una delle possibilità proposte, ma resta il fatto che la dieta più salutare è quella standard, prevista dalle linee guida nazionali e regionali, che segue la piramide alimentare di tipo mediterraneo e in cui sono presenti tutte le componenti, comprese quelle di origine animale".
LA GUERRA DEL PANINO
La dieta vegana imposta nelle scuole torinesi è una notizia che assume tinte ancor più opprimenti se la si legge assieme all'emendamento al disegno di legge 2037 sulla ristorazione collettiva, proposto proprio questa settimana. Questo emendamento dovrebbe porre fine alla "guerra del panino", ingaggiata dai genitori degli scolari che preferiscono portarsi il pasto da casa, piuttosto che usufruire necessariamente di quello offerto dalla mensa scolastica. Un anno fa, proprio la Corte d'Appello di Torino aveva dato ragione alle associazioni dei genitori: la mensa scolastica è un'opportunità, non un obbligo, non si può impedire ai genitori di dare la "schiscetta" al figlio. Ma secondo la nuova proposta di legge, "i servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche". Quindi per educare i figli ad essere uguali a tutti gli altri, i genitori devono obbligatoriamente pagare i servizi offerti dalla mensa della scuola, devono accettare che mangino tutti nello stesso luogo, tutti agli stessi tavoli e tutti gli stessi piatti. Tutti uguali. E tutti vegani, nel caso di Torino. Per il bene dei figli, anche contro il parere dei genitori. Perché è solo lo Stato che decide, vaccina, educa e nutre i figli. Non la famiglia.
Nota di BastaBugie: a proposito dello Stato che decide al posto della famiglia Paolo Gulisano nell'articolo sottostante dal titolo "Lo Stato vaccina per il bene del popolo" mette in guardia dalle menzogne di televisioni e giornali sul tema dei vaccini.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 luglio 2017:
Si avvia alla conclusione l'iter parlamentare riguardante il Decreto Lorenzin sulle vaccinazioni, un tema che ha acceso gli animi e che ha visto una certa radicalizzazione dello scontro politico con una ricaduta conseguente sull'opinione pubblica, portata ormai purtroppo a schierarsi manicheisticamente da una parte o dall'altra, senza preoccuparsi troppo di usare il proprio cervello. Per rendersene conto basta leggere i commenti lasciati da molti lettori sui social network o sui forum dei siti per rendersi conto di quale polverone sia stato sollevato in merito alle vaccinazioni.
Questo giornale ha sempre espresso una linea ben precisa: non si tratta di mettere in discussione i benefici venuti da questo tipo di pratica medica, ma di valutare con attenzione l'uso che delle vaccinazioni si sta facendo, e di vigilare anche su certe pratiche vaccinali che sottendono determinate visioni ideologiche, come la vaccinazione contro il Papilloma Virus che potrebbe fornire la falsa sicurezza di essere immuni da malattie a trasmissione sessuali invitando implicitamente a comportamenti sempre più trasgressivi. E non da ultimo, la vaccinazione dovrebbe essere sempre proposta e mai imposta, rispettando la responsabilità genitoriale alla quale lo Stato non si deve sostituire.
La pratica vaccinale è senz'altro utile, anche se non va eccessivamente enfatizzata. E' vero che la vaccinazione ha sconfitto (in 200 anni) il vaiolo, ma è risultata scarsamente efficace contro tante altre malattie, come la Tubercolosi, e nessun vaccino è mai stato trovato contro temibili malattie infettive come l'Epatite C o l'HIV. Abbiamo letto dichiarazioni roboanti sulle vaccinazioni caratterizzate da un fideismo assoluto. Se la Chiesa Cattolica esprimesse con tanta sicurezza granitica le proprie certezze di Fede (cosa che purtroppo fa sempre meno in tempi di relativismo dilagante) verrebbe accusata certamente di integralismo.
Abbiamo assistito ad uno scontro tra opposti estremismi, tra i No Vax da una parte e dall'altra gli ipervaccinalisti, con qualche medico esponente di questo fronte che è arrivato addirittura ad esultare come un ultrà per la radiazione dall'Ordine dei Medici di due professionisti anziani critici verso le vaccinazioni. Uno spettacolo davvero indecente.
In questo clima si è arrivati alla discussione di questa legge, di cui è bene ricordare l'iter. Tutto comincia lo scorso inverno, quando si scatena un allarmismo mediatico riguardante una presunta epidemia di casi di Meningite. Nonostante gli esperti dell'Istituto Superiore di Sanità rassicurino che non c'è alcuna epidemia, la paura si diffonde a macchia d'olio rilanciata da vari social network ed è subito corsa ai vaccini antimeningite, da quello contro il Meningococco B, un ceppo rarissimo, e quindi il quadrivalente ACWY, tre ceppi dei quali esistono quasi esclusivamente fuori dall'Europa.
La fobia per le meningiti ha spianato poi la strada alla Lorenzin per lanciare altri allarmi, in particolare rispetto alla diminuzione delle coperture vaccinali di altri vaccini, in particolare il trivalente Morbillo Parotite Rosolia. In realtà i dati epidemiologici non danno affatto il quadro di un Paese colpito da epidemie, con numeri vaccinali in caduta libera. In realtà le nostre coperture sono analoghe o addirittura superiori a quelle degli altri Paesi europei. Nonostante queste evidenze, si è deciso - da parte dell'attuale Governo - di aumentare il numero delle vaccinazioni obbligatorie, portandolo da quattro a dieci. Ricordiamo che l'ultima vaccinazione obbligatoria - quella contro l'Epatite B - era stata introdotta nel lontano 1991. Da allora erano state proposte, ma mai imposte, altre vaccinazioni raccomandate. Il sistema vaccinale-Italia ha sempre funzionato benissimo. Una Regione, il Veneto, qualche anno fa aveva deciso di abolire per i suoi cittadini l'obbligo, adeguando così il Veneto a tutti i più civili Paesi del mondo. Una scelta ripagata dai risultati: le coperture vaccinali in Veneto sono rimaste altissime, e non risulta che a Venezia o a Verona sia scoppiata alcuna epidemia. Non è un caso che il Presidente Luca Zaia stia difendendo con tutte le sue forze la propria scelta, opponendosi al Decreto Lorenzin. Una scelta assolutamente condivisibile.
Alle quattro "obbligatorie" storiche ora si sono aggiunte l'Haermophilus influenzae, la Varicella, la Pertosse, e naturalmente il trivalente Morbillo, Parotite, Rosolia. Chissà perché le vaccinazioni contro le Meningiti, da cui tutta la questione è cominciata, sono restate invece facoltative. Un interrogativo sul quale si attendono delucidazioni.
Anche se stemperate, restano anche le sanzioni: multe e divieto di accogliere nelle scuole - sia statali che paritarie - i bambini non vaccinati. Queste misure coercitive sono quelle che fanno più discutere. Nessun Paese in Europa ricorre a questi mezzi per indurre i cittadini a vaccinare i propri figli. Perché imporre anziché proporre? La risposta della coalizione governativa vaccinista è decisamente preoccupante: perché lo Stato ha la preminenza sulla famiglia, perché l'immunizzazione deve essere di massa, collettiva, per il bene del popolo. Un bene, ovviamente, deciso dallo Stato. C'è da preoccuparsi, perché si comincia con le vaccinazioni e poi non si sa quali limiti possa incontrare un tale disegno.